Idee assassine

I

Su Il Giornale (7 marzo 2001) Marcello Veneziani, presentando Il secolo delle idee assassine (il cui titolo originale è: Reflections on a ravaged century) dello storico Robert Conquest (Mondadori, Milano 2001), si chiede: “Ma le idee possono essere assassine?”. Fa bene a chiederselo poiché, in verità, sono piuttosto gli uomini ad assassinare le idee che non le idee ad assassinare gli uomini. Ma di quale mezzo si servono gli uomini per assassinare le idee? E’ presto detto: del nominalismo. Proprio di quel nominalismo – vale la pena ricordare – sul quale si fondano tanto l’agnosticismo, il pragmatismo e l’utilitarismo della borghesia quanto il materialismo sociologico del comunismo, quello biologico del nazismo e quello volontaristico del fascismo. In tal senso, Robert Conquest, se non proprio un'”assassino di idee”, è comunque – come dicevano Platone ed Hegel – un “misologo”. Stando a quanto riferisce Veneziani, egli è infatti convinto che “il Novecento è stato ucciso dalle idee e che i sacerdoti di questo assassinio sono stati gli intellettuali” (soprattutto europei). Ma Conquest non è forse un intellettuale? E per quale ragione non si sente allora idealmente responsabile di tale delitto, così come Ivan Karamazov, ad esempio, si sente responsabile di quello commesso materialmente da Smerdjakov?
Conquest si occupa dunque di “assassinare le idee” (così come insegnano, ad esempio, Locke, Hume, Bentham, Spencer o John Stuart Mill), ma lascia poi che altri, brandendo e agitando tali idee morte (o – come scrive Veneziani – le loro “carcasse sterili” o i loro “gusci vuoti”), assassinino gli uomini. Egli definisce “ideocratici” i regimi totalitari del Novecento. Si può esser certi, tuttavia, che solo qualcuno che non abbia mai sperimentato la natura (spiritualmente viva) delle idee, può davvero credere che una “ideocrazia” o una “pedantocrazia” (così Bakunin definiva il comunismo) rappresenti un fatto “idealistico”. In proposito, osserva giustamente Veneziani: “Debole è soprattutto accusare l’Europa di idealismo: semmai il difetto è l’assenza di idee, e di idee comuni in grado di guidarla”. Chi ha “assassinato” infatti il goetheanismo: ovvero, il frutto più puro della cultura europea? E chi si ostina ancor oggi a ignorare l’insegnamento di Steiner che, di tale frutto, costituisce la resurrezione e lo sviluppo?
Va comunque rilevato che le idee morte, se giovano a coloro che tendono, in un modo o nell’altro, a “imbalsamare” o “conservare” il mondo, non giovano invece a coloro che si ripropongono di cambiarlo o rinnovarlo. Ciò vuol dire, dunque, che i rivoluzionari del Novecento, in tanto si sono dati all’uccisione degli uomini, in quanto sono stati del tutto incapaci di uccidere le idee morte ereditate dalla borghesia.
Ma cosa significa uccidere un’idea morta? Significa far morire la morte: ovvero, ciò che fa il Cristo nel momento in cui opera la resurrezione di Lazzaro. “Senza di me – Egli infatti ammonisce – non potete far niente”: è questa, in fondo, l’unica vera lezione impartita, dal Novecento, ai tanti che, senza di Lui, hanno avuto la pretesa di superare l’egoismo borghese e di rinnovare la vita sociale.


P.S.

 

Abbiamo detto che ci si ostina, ancor oggi, a ignorare l’insegnamento di Steiner e, in particolare, la sua proposta di una “triarticolazione dell’organismo sociale”. Ebbene, Luciano Lanna presenta oggi, su Il Giornale (10 marzo 2001), il dossier che la rivista Ideazione, nel numero di marzo-aprile, dedica alla politica del XXI secolo, e intitola: L’immaginazione politologica. Partecipano al dibattito: Alessandro Campi, Carlo Pelanda, Alessandro Vitale e Gianfranco Miglio.
“Dal sogno della fantasia al potere – scrive Lanna – al deficit di immaginazione politologica: in questa parabola è forse possibile racchiudere la direzione del cambiamento negli ultimi trent’anni. Dalla volontà di trasformare il mondo al minimalismo antipolitico, l’Occidente sembra infatti aver smarrito la sua vocazione a inventare, costruire e sperimentare sempre nuove forme per la politica. E la politologia, così come pensata e praticata nelle università di mezzo mondo, appare ai più come una scienza triste e rassegnata, prigioniera delle proprie convenzioni linguistiche, scarsamente capace di incidere su quella realtà politica che pure costituisce il suo oggetto privilegiato di studio”. In Italia, ad esempio, “fior di politologi e di costituzionalisti – scrive sempre Lanna – si sono accapigliati in questi anni, per proporre nient’altro che ritocchi relativi alla legge elettorale o poco più. E allora? C’è ancora spazio per una scienza politica adeguata ai cambiamenti sociali, tecnici, scientifici, economici degli ultimi anni? Oppure la politica è condannata ad intervenire sulla realtà con strumenti e concetti, mezzi e categorie sempre più obsoleti?”.
Non tanto è vero, tuttavia, che l’Occidente sembra “aver smarrito la sua vocazione a inventare, costruire e sperimentare sempre nuove forme per la politica”, quanto piuttosto è vero che i politologi (ma non solo i politologi) sembrano aver smarrito la capacità di avvicinare e apprezzare qualsiasi idea non sia stata “pensata e praticata” nelle università, nelle assemblee dei partiti o negli altri luoghi deputati a forgiare il cosiddetto “conscio collettivo”. Come si può affermare infatti, da un lato, che “nell’epoca della globalizzazione, della realtà virtuale e delle nuove frontiere bio-tecnologiche è forse arrivato il momento di buttare a mare il vecchio armamentario politologico messo a punto poco più di due secoli fa con la rivoluzione francese, l’ultima vera rivoluzione politico-istituzionale dell’Occidente, dopo la quale nessuno è riuscito in fondo a inventare più niente di nuovo e di originale e di realmente creativo” e ignorare, dall’altro, tutto ciò che d’innovativo, per non dire di “rivoluzionario”, è contenuto nell’opera di Steiner e, in particolare, ne I punti essenziali della questione sociale? Se è vero – come scrive ancora Sanna – che “le istituzioni, gli strumenti, i concetti e i simboli che siamo soliti considerare imprescindibili nel nostro modo di vedere la politica – lo Stato-nazione, i partiti, la rappresentanza, i parlamenti, le costituzioni – sono ovunque in crisi di legittimità e di funzionalità”, cosa si aspetta allora a rivolgersi a un nuovo modo di pensare e d’immaginare? Purtroppo, però, c’è poco da sperare. Riferisce infatti Lenna: Campi “sottolinea come “chi oggi voglia farsi un’idea di come, almeno in linea teorica, potranno evolvere le attuali comunità politiche, di quale potrà essere l’assetto dei poteri che governerà il nostro futuro, difficilmente potrà affidarsi alla lettura di qualche testo contemporaneo di politica o, peggio, alla capacità di previsione o alle semplici suggestioni di un qualunque studioso o uomo politico”. Più facilmente, vedrà soddisfatta la sua curiosità rivolgendosi al cinema, alla letteratura, alla futurologia “con tutto ciò che di eccessivo, di arbitrario e talvolta di gratuito ognuno di questi generi porta con sé”. E su questa intuizione Ideazione tenta la lettura di alcuni film fantascientifici dalla maggiore valenza politica: Matrix, Guerre stellari, Il giorno dei Trifidi, Fanteria dello spazio e Il pianeta delle scimmie“.


F. G.

Roma, 10 marzo 2001

 

Ancora sulle idee assassine


Nell’articolo del quale ci siamo testé occupati, Veneziani scrive inoltre: “Qual è il discrimine tra le idee assassine e le idee feconde? Credo che sia il rapporto con la realtà: quando un’idea ingravida la storia è feconda, quando pretende di sostituirla allora è potenzialmente assassina. Vico parlava di ideale calato nel reale; quando è calato sul reale, a dispetto dell’esperienza di vita, allora sorgono i mostri. Il comunismo per esempio sorge sulla pretesa di abolire la storia passata e “lo stato di cose presenti”, pretende di cambiare la natura umana, di liberare l’uomo dalle sue radici: è quello il gene che lo predispone al terrore e all’odio”.
Veneziani si riferisce qui – com’è ovvio – alle idee politiche. Il comunismo. il fascismo e il nazismo hanno generato infatti dei mostri, poiché hanno preteso di abolire la storia e di sostituirsi a essa, di calarsi sul reale, di cambiare la natura umana e di liberare l’uomo dalle sue radici. Ma se il Novecento è stato il secolo delle idee politiche assassine, non corriamo forse il rischio che quello a venire sia il secolo delle idee scientifiche assassine? L’odierna genetica, in particolare, non sta forse avanzando le stesse pretese avanzate, nel secolo scorso, dalla politica? Non sta tentando, infatti, di fare oggi con la natura quello che la politica ha fatto ieri con la storia? Non sta tentando, ossia, manipolandola e ibridandola, di “abolirla” e “sostituirla”? E non mostra forse, così facendo, di voler “cambiare la natura umana” e di voler “liberare l’uomo dalle sue radici” (naturali e spirituali)? O non proclama, come il comunismo, il fascismo e il nazismo, di voler far questo nell’interesse dell’umanità? Sarà davvero salutare riflettere su questi interrogativi se si vorrà evitare che alle mostruosità prodotte nel Novecento dalla politica, vengano presto a sostituirsi quelle prodotte dalla scienza. Si tenga comunque presente che, come i mostri politici del ventesimo secolo sono stati sconfitti dalla politica (e, per quanto riguarda il fascismo e il nazismo, dalla guerra), così i mostri scientifici del ventunesimo secolo non potranno essere evitati o vinti che dalla scienza. C’è però una sola scienza capace di fare una cosa del genere, e lo ha già dimostrato soprattutto in campo pedagogico, medico e agricolo: la scienza dello spirito di Rudolf Steiner. Solo questa, in effetti, essendo in grado di restituire la scienza all’uomo e l’uomo alla scienza, potrebbe aiutarci ad affrontare e risolvere i gravi problemi (culturali, giuridici ed economici) che il ventunesimo secolo sta già ponendo.
“Giungerà un momento decisivo – ha detto Steiner in una conferenza del 1918 – in cui si dovrà scegliere se andare a destra (ma allora bisognerà essere desti), oppure se andare a sinistra. Se si andrà a sinistra si potrà anche restare addormentati; ma allora sorgeranno nell’umanità degli istinti orrendi”. Inutile dire che “destra” e “sinistra” non hanno qui la benché minima valenza politica, ma stanno solo a indicare che l’umanità sta arrivando a un bivio e che dovrà quindi decidere le sue stesse sorti. Ebbene, il “momento decisivo” di cui parla Steiner è ormai giunto. Oggi, – osserva in proposito Francardo – si arriva infatti “ad affermare, con orgoglio, che ci trasformeremo in macchine, frutto di una selezione naturale in cui il fine ultimo dell’evoluzione non è più l’uomo, bensì la macchina. Nel libro Erewhon di Samuel Butler, scritto nel 1872, l’autore ci accompagna in un mondo fantasioso, più avanzato del nostro, in cui sono state abolite le macchine, perché nel passato erano diventate terribili tiranne. Scrive Butler: “L’uomo è lo strumento di cui si servono le macchine per riprodursi”” (I semi del futuro – Edilibri, Milano 2001, p.143).

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Di Francesco Giorgi
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