Idee visibili e invisibili

I

Su Il Sole 24 ore (11 marzo 2001), Armando Passarenti, presentando le Origini della filosofia analitica di Michael Dummet (Einaudi, Torino 2001), così scrive: “Se vogliamo capire la natura dei pensieri, sostiene Dummet, possiamo farlo solo indagando la natura del linguaggio che del pensiero è il veicolo per eccellenza”.
Il che equivarrebbe a dire che, se “vogliamo capire la natura” di una lettera, “possiamo farlo solo indagando la natura” della busta che, della prima, è “il veicolo per eccellenza”. Va comunque apprezzata questa posizione perché – non dimentichiamolo – c’è pure chi nega la priorità del pensiero sul linguaggio.
Ma per quale ragione si crede che la “natura” dei pensieri possa essere “capita” solo indagando quella del linguaggio? Semplicemente perché il linguaggio rappresenta la manifestazione sensibile (udibile) dei pensieri extrasensibili (inudibili). Oggi possediamo tuttavia degli strumenti (i microscopi, ad esempio) che ci consentono di osservare (percepire) anche ciò che è fuori della naturale portata degli organi di senso. Questi strumenti non ce li ha dati però la natura, ce li siamo costruiti da soli. Ebbene, possiamo costruirci uno “strumento” che ci consenta di osservare anche i pensieri: ovvero, ciò che è fuori della naturale portata dell’intelletto (legato appunto ai sensi e al cervello)? Certo che lo possiamo. Per cominciare, dovremmo tuttavia distinguere il “pensare”, quale forza o attività, dai “pensieri”, quali concetti o idee. Dal momento, infatti, che i concetti o le idee si danno attraverso il pensare, è possibile osservare (percepire) i primi solo dopo aver osservato (percepito) il secondo.
“A un certo stadio della storia di qualsiasi disciplina – dice Dummet – le idee diventano visibili, sia pure a coloro che sono dotati di una vista intellettuale particolarmente fine”. L’idea, prima di diventare visibile, è dunque invisibile. Ma invisibile a chi? Proprio a quella “vista intellettuale” che, per “fine” che sia, può prendere coscienza delle idee solo in forma di rappresentazioni. L’intelletto “vede” (percepisce) quindi le rappresentazioni, ma non il pensare e i concetti o le idee. E’ per “vedere” (percepire) quest’ultimi che occorre dunque costruirsi uno “strumento”: vale a dire, un superiore livello di coscienza. Ma come si costruisce tale “strumento”? Col pensiero e, in particolare, con gli esercizi della concentrazione e della meditazione, così come ci vengono presentati e descritti, ad esempio, da Rudolf Steiner ne L’iniziazione (Antroposofica, Milano 1971) e da Massimo Scaligero nel Manuale pratico della meditazione (Tilopa, Teramo-Roma 1984) e in Tecniche della concentrazione interiore (Mediterranee, Roma 1975)
“Per capire la natura dei pensieri” non si deve dunque continuare a speculare astrattamente, ma occorre passare spiritualmente all’azione. E’ importante comunque notare che, mediante siffatti esercizi, è pur sempre il pensiero a osservare e capire la natura del pensiero: ovvero, a osservare e capire sé stesso.
Si provino a immaginare, ad esempio, tre persone: una ai piedi di una montagna, un’altra a mezza costa e un’altra ancora in cima. E’ evidente che quanto si offre alla vista della terza non si offrirà alla vista della seconda né, tantomeno, a quella della prima. Ebbene, con gli esercizi della concentrazione e della meditazione è come se si passasse dal piano (naturale e intellettuale) al quale si offre la “vista” delle rappresentazioni, prima a quello (immaginativo) cui si offre la “vista” del pensare e poi a quello (ispirativo) cui si offre la “vista” (meglio sarebbe però dire l’”udito”) dei concetti o delle idee.
Superfluo ricordare che, per compiere una simile ascesa (o ascesi), occorre “volontà” o, per meglio dire, occorre immettere volontà nel pensiero. E’ immettendo volontà nel pensiero che questo infatti si rinvigorisce, fino al punto di trasformarsi in una forza che percepisce mentre pensa e pensa mentre percepisce. Ma questa lucida percezione, del pensare (quale attività o movimento) prima e dei concetti o delle idee (quali entità o essenze) poi, è appunto quell’osservazione “della natura dei pensieri” che Dummet ritiene (e, nella sua prospettiva, a ragione) impossibile.

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Di Francesco Giorgi
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