L’alfabetizzazione scientifica

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Il Sole 24 ore (18 marzo 2001) regala ai lettori un Dossier-Scienza realizzato – come spiega Armando Massarenti – “sotto l’egida del ministero dell’Università e della Ricerca” e grazie a un “impegno concreto” della Federchimica, dell’Assobiotech e della Farmindustria. Questi soggetti, unitamente agli scienziati, avrebbero infatti capito “che nei prossimi anni l’alfabetizzazione scientifica dovrà essere posta tra le priorità assolute”. Siamo dunque alla vigilia di una vasta “campagna promozionale” a favore della “scienza”.
Dopo le tragedie della Talidomide, di Chernobyl, della cosiddetta “mucca pazza” e in presenza degli inquietanti interrogativi che suscita l’ingegneria genetica, va prendendo corpo un’immagine negativa della scienza? “In Europa – secondo quanto riferisce Paolo Rossi – è in atto un preoccupante calo di iscrizioni alle Facoltà scientifiche”? Ebbene, tutto ciò non sarebbe dovuto che a ignoranza, a pregiudizi ideologici, se non addirittura – come dice Massarenti – a “consapevole cialtroneria”. Non si possono mettere sullo stesso piano – conclude infatti lo stesso – “le ragioni della scienza e quelle della pseudoscienza”. Siamo d’accordo. Rimane da stabilire, tuttavia, quale sia la “scienza” e quale la “pseudoscienza”, e chi siano davvero gli ignoranti, le vittime di pregiudizi ideologici o i “consapevoli cialtroni”.
Ancora Massarenti, ad esempio, dopo aver ricordato che Joseph LeDoux (autore de Il cervello emotivo) parte dal “presupposto” che “le emozioni sono funzioni biologiche del sistema nervoso e sapere come sono rappresentate nel cervello ci aiuta a capirle”, così scrive: “Apriti cielo. Già di fronte a una frase come questa immaginate l’umanista medio del nostro Paese. Si produrrà in espressioni facciali che probabilmente avrebbero interessato lo stesso Darwin, che proprio a partire dallo studio delle emozioni si era convinto della continuità tra esseri umani e regno animale. Ma cosa vogliono questi neurologi e scienziati? Perché non se ne stanno a casa loro ed evitano di invadere un campo che ha una logica tutta diversa da quella scientifica? Oppure, in maniera filosoficamente più accorta: “Proprio non lo si vuol capire che le “scienze dell’uomo”, al contrario delle “scienze della natura”, si basano essenzialmente sulla comprensione, vale a dire sulla capacità empatica che gli esseri umani hanno di mettersi nei panni degli altri?”. Ebbene, cari umanisti, che vi piaccia o no, lo sconfinamento si spinge proprio fin qui, e andrà ancora più avanti.”.
Ma perché questo tono? Abbiamo forse a che fare con dei “Pierini” che si divertono a irridere o indispettire i “cari umanisti”? Non sa Massarenti che il come – per Freud – è spesso più importante del cosa poiché rivela il chi: poiché rivela, ossia, quale sia lo spirito che anima inconsciamente il discorso? Ma lasciamo stare. Joseph LeDoux parte dunque dal suddetto “presupposto”: già, ma non ci è stato insegnato che la scienza non dovrebbe partire da alcun “presupposto” che non sia l’osservazione dei fenomeni e la ricerca delle leggi che li governano? Riferendosi al Dossier, sempre Massarenti così scrive: “L’ambizione è che per il lettore, dopo che lo avrà anche solo sfogliato, l’annosa questione della divisione tra le “due culture”, scientifica e umanistica, venga archiviata per sempre”. Sarebbe però un peccato archiviarla senza essersi resi conto (e il Dossier, in tal senso, non aiuta affatto) che a un umanesimo che non sa essere scientifico, fa da pendant una scienza che non sa essere umana. Non ha senso – è vero – affermare (come fanno gli umanisti) che il campo umano “ha una logica tutta diversa da quella scientifica”, ma non ha neppure senso affermare (come fanno gli scienziati) che l’attuale logica scientifica abbia qualcosa a che fare con l’umano. A entrambi sfugge, in realtà, che la scienza non è un problema di “logica”, ma di “spirito”. Chi sia davvero animato da spirito scientifico sa bene, infatti, di dover ogni volta adeguare la propria logica (o il proprio metodo) a quella del fenomeno che si ripropone d’indagare. Solo chi non sia animato da tale spirito può perciò pensare che la scienza abbia una sua logica (o un suo metodo) e che sia questa a dover essere imposta o sovrapposta ai fenomeni. E poi, una cosa è la logica quantitativa della realtà inorganica, altra quella dinamica della realtà organica, altra ancora quella qualitativa della realtà animica. Si provi, tanto per fare un esempio, a interpretare un sogno (ossia, un fenomeno animico) alla luce della logica del mondo inorganico, e si stia a vedere cosa se ne capisce. Ma gli scienziati attuali non fanno che questo: forti della logica appresa studiando il mondo inorganico, e della quale sono divenuti indubbiamente maestri, non fanno che tentare di estenderne l’applicazione al mondo della vita e a quello dell’anima. E’ proprio così, tuttavia, che si rendono, loro malgrado, non-scientifici o dogmatici, finendo sempre più col somigliare a dei sacerdoti che officiano in nome di un Dio, o di uno spirito, che, avendo da tempo abbandonato, non conoscono più.
Ma per quale ragione Massarenti dice agli umanisti che “lo sconfinamento si spinge proprio fin qui, e andrà ancora più avanti”? Perché “Rizzolati ha scoperto – riferisce con entusiasmo – che una classe di neuroni della corteccia premotoria della scimmia, chiamati “neuroni specchio”, si attivano sia quando l’animale compie certi movimenti diretti a uno scopo sia quando osserva nello sperimentatore o in un altro animale quegli stessi movimenti. In altre parole: se io (o una scimmia: non siamo molto diversi) sto per afferrare con la mano un oggetto, e dunque compio un’azione che ha un certo scopo ben identificabile, nel cervello della scimmia si attivano gli stessi neuroni che si attiverebbero se fosse la scimmia stessa a compiere quell’azione”.
Come si vede, Massarenti sembra tenere in più alta considerazione le scimmie che non gli umanisti; tanto che gli preme far sapere che lui e una scimmia non sono “molto diversi”: ne prendiamo atto, ma, per convincercene appieno, preferiamo attendere che almeno una scimmia ci comunichi, a voce o per scritto, la stessa cosa.
Ma veniamo a noi. Cosa ha scoperto dunque Rizzolati? Ha scoperto che una scimmia attiva gli stessi neuroni sia che compia un’azione sia che la veda compiere da qualcun altro. Ebbene, proviamo a dire l’identica cosa in quest’altro modo: una scimmia attiva gli stessi neuroni sia che veda se stessa compiere un’azione sia che la veda compiere da qualcun altro. A dirla così, non appare affatto sorprendente che siano gli stessi neuroni, in entrambi i casi, a permetterle di vedere. Ma qual è allora il problema? Il problema è che Rizzolati e Massarenti sono convinti – come tutti – che i neuroni servano alla scimmia per muoversi e non per vedere il proprio movimento: sono convinti, cioè, che il movimento dipenda direttamente dai nervi (cosiddetti “motori”) e si meravigliano quindi di scoprire che gli stessi (pur appartenendo alla “corteccia premotoria”) funzionino da “specchio”. La stessa scoperta, tuttavia, non sorprende affatto chi segue la scienza dello spirito, poiché Steiner sostiene, con grande scandalo degli addetti ai lavori, che il sistema nervoso ha a che fare, non col movimento, bensì con la coscienza del movimento: ovvero, che esso è appunto uno “specchio” in cui il movimento (proprio o altrui) non fa che riflettersi.
Intendiamoci: siamo convinti – come osserva Angelo M.Petroni – che l’Italia ha “avuto una Controriforma, senza aver avuto una Riforma” e che per questo rifiuta “la logica della modernità della quale la scienza è insieme origine e destino”. Una cosa, però, è la “logica della modernità” (ossia quella scientifica), altra la “logica materialistica” (ossia quella scientistica). Non siamo pertanto convinti “della centralità della tecnologia per lo sviluppo della società” e appunto per questo sospettiamo che l’auspicata “alfabetizzazione scientifica” altro non voglia essere, in definitiva, che una “catechizzazione materialistica” volta a impedire, al pari di un “immunodepressore”, che un numero sempre maggiore di anime rigetti una teoria e una pratica, non solo “pseudoscientifiche”, ma sostanzialmente estranee, se non addirittura ostili, a quanto di umano continua a vivere, nonostante tutto, nell’uomo.

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Di Francesco Giorgi
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