Globalizzazione e spirito europeo

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In un editoriale dal titolo: L’errore dei vescovi, Gianni Baget Bozzo, criticando il recente documento sul vertice di Genova sottoscritto dai vescovi liguri, dice tra l’altro: “Non vi è nel documento dei vescovi liguri la presa di coscienza del carattere rivoluzionario anticristiano e antioccidentale dell’ecologismo. I vescovi liguri guardano al contenuto strumentale del radicalismo ecologico, la compassione per le sofferenze umane e non tengono conto del fatto della sua forma spirituale e dottrinale” (il Giornale, 3 luglio 2001).
Nell’occasione, i vescovi liguri avrebbero dunque mostrato di possedere uno scarso “discernimento degli spiriti”. Essi – prosegue infatti – “non hanno parlato dell’ecologismo radicale, secondo cui l’Occidente è malato a causa del concetto “giudeo-cristiano” del primato dell’uomo sulla natura fisica; hanno dimenticato il fondamentalismo islamico che attacca il capitalismo occidentale come frutto del Cristianesimo; hanno empatia per il comunismo rivoluzionario che esiste ancora in Occidente e per le sue componenti anarchiche”; gli stessi, quindi, “non analizzano le componenti spirituali dell’ecologismo rivoluzionario e dei suoi alleati: non valutano la dimensione anticristiana che esiste nel rigetto dell’Occidente, creazione storica del Cristianesimo”.
Ma il Baget Bozzo che rimprovera ai vescovi liguri di non discernere lo spirito anticristiano che anima l'”ecologismo radicale”, discerne forse lo spirito anticristiano che anima la “globalizzazione radicale”? No, non lo discerne poiché ignora che lo spirito anticristiano – come insegna la scienza dello spirito – può manifestarsi tanto in forma luciferica (quella “naturistica” dell’ecologismo) quanto in forma arimanica (quella “industrialistica” della globalizzazione). Chiunque ignori questa realtà può pertanto discernere un solo “male”, non avvedendosi, oltretutto, di osservarlo dal punto di vista del “male” opposto, e non dunque nella prospettiva di quello spirito cristiano che dovrebbe collocarsi, quale “terzo”, tra i due. Per gli “ecologisti” (luciferici) il “male” è infatti rappresentato dalla globalizzazione (arimanica), mentre per i “globalizzatori” (arimanici) è rappresentato dall’ecologismo (luciferico).
Se quanto andiamo dicendo è giusto, la prospettiva di Baget-Bozzo dovrebbe quindi coincidere con quella materialistica. E infatti vi coincide. “Chi cerca una vera ed entusiastica apologia della globalizzazione – scrive Antonio Socci (il Giornale, 6 luglio 2001) – può trovarla proprio negli scritti di Marx, autore poco noto ai rivoluzionari da parastato dei centri sociali. Ecco la memorabile pagina tratta dal Manifesto del partito comunista: “La grande industria ha creato quel mercato mondiale che la scoperta dell’America aveva preparato. Il mercato mondiale ha dato un immenso sviluppo al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni. La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria. Essa per prima – prosegue Marx – ha mostrato che cosa possa l’attività umana. Ha creato ben altre meraviglie che le piramidi di Egitto. Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Sfruttando il mercato mondiale ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i Paesi. Con gran dispiacere dei reazionari, ha tolto all’industria la base nazionale. Nuove industrie soppiantano le antiche e la loro nascita diventa una questione vitale per tutte le nazioni civili. Le nuove industrie non lavorano più materie prime indigene, bensì materie prime provenienti dalle regioni più remote (…) e i prodotti non si consumano solo nel Paese, ma in tutte le parti del mondo. Subentra una universale dipendenza delle nazioni l’una dall’altra. I prodotti spirituali delle singole nazioni diventano patrimonio comune. Con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare, ha strappato una parte notevole della popolazione all’idiotismo della vita rurale””. Non bastasse, – ricorda ancora Socci – “i contestatori che nei prossimi giorni a Genova proporranno “pastorellerie” e “solidarismi comunitari” furono da Marx liquidati così: “E’ un socialismo reazionario e utopistico, per metà geremiade e per metà pasquinata. Vuole ristabilire i vecchi mezzi di produzione e scambio, l’economia patriarcale nell’agricoltura. Ne fanno parte i filantropi, gli umanitari, gli organizzatori della beneficenza, i membri delle società protettrici degli animali. Insomma è un vile piagnisteo””.
Sia Marx che Baget Bozzo condannano dunque l’impulso luciferico. Ma il primo lo fa in nome dell’ateismo e del materialismo, mentre il secondo vorrebbe farlo in nome di un Cristianesimo che ha però il torto d’identificare, non solo col Cattolicesimo, ma con lo spirito occidentale anziché con quello europeo (che si pone non a caso, quale “terzo”, tra quello occidentale-arimanico e quello orientale-luciferico).
“Oggi – scrive a questo proposito Vaclav Havel (presidente della repubblica Ceca) – il vero problema non è la mancanza di conoscenza, ma piuttosto la mancanza di reazione nei confronti delle minacce. Siamo ancora troppo fermamente trincerati nei nostri immediati interessi, troppo raramente siamo in grado di pensare a quello che succederà domani o fra cento anni. Molto semplicemente: abbiamo perduto l’abilità di considerare le cose dal punto di vista dell’eternità, della storia dell’Essere e della sua memoria. Che cosa c’è di europeo in questo atteggiamento, intendo di autenticamente europeo, nel senso più profondo della parola? Nulla. Al contrario: questo atteggiamento è in contrasto con gli ideali stessi che erano nella culla della civiltà europea”; e aggiunge: “L’Europa dovrebbe farsi carico dei problemi di chi vive in questo pianeta. Questa responsabilità non deve più assumere l’aspetto dei conquistatori d’un tempo. Ma piuttosto avrà il modesto volto di Colui che prende sulle sue spalle la croce del mondo” (la Repubblica, 3 luglio 2001).
Certo, dicendo che “il vero problema non è la mancanza di conoscenza, ma piuttosto la mancanza di reazione nei confronti delle minacce”, Havel mostra di non essersi accorto che la “mancanza di reazione” che lamenta è dovuta proprio alla “mancanza di conoscenza”: ovvero, alla mancanza di quella vera conoscenza che, proprio nel cuore dell’Europa (nella Mitteleuropa), si è impegnata a conciliare le esigenze (luciferiche) del razionalismo francese con quelle (arimaniche) dell’empirismo inglese, fiorendo dapprima col goetheanismo e dando poi i suoi frutti più rigogliosi con la scienza dello spirito di Rudolf Steiner.
“Questo – dice sempre Baget-Bozzo, riprendendo in altra sede l’argomento (il Giornale, 5 luglio 2001) – è un tempo di intensa religiosità individuale, in cui la ricerca del senso della vita è divenuto il principale bisogno sociale, la disperazione, l’angoscia, la violenza gratuita, persino il suicidio, sono una testimonianza di angoscia diffusa. Questo è il tempo dell’angoscia, quella che Kierkegaard aveva scoperto nel cuore della modernità”.
Siamo d’accordo. Ma se questa angoscia – come dice Kierkegaard – è “nel cuore della modernità”, non sarà allora la modernità stessa a doverla superare? E quale senso ha dunque, di fronte a questo drammatico stato di cose, rimpiangere – come fa Baget Bozzo – “la perdita totale del linguaggio cattolico tradizionale” o lamentare il fatto che la “messa tradizionale”, da “quel grande spettacolo che era”, si sia quasi ridotta a un'”assemblea” di “condominio” o di “partito”?
“Noi crediamo – scrive ancora – che demoniaci fossero i principi del Moderno, il razionalismo e la Rivoluzione, ma non le opere che ne sono nate negandone lo spirito: la scienza, la tecnica, la democrazia, il capitalismo, il mercato, la globalizzazione (…) Noi cattolici ortodossi salviamo non certamente lo spirito del Moderno, ma le sue opere materiali: perché in esse, nelle opere, vi è il segno del Creatore e dei suoi Angeli. Non tutto ciò che fu spiritualmente male produce materialmente solo male. Ciò è impossibile nella Creazione” (Tempi, supplemento a il Giornale 12 luglio 2001).
Qui l’equivoco è palese. Come si fa infatti a sostenere che la scienza, la tecnica, la democrazia, il capitalismo, il mercato e la globalizzazione rappresentino una negazione dello “spirito del Moderno”: ovvero, dell’individualismo o di quella che Steiner chiama l'”anima cosciente”? E’ vero, semmai, proprio il contrario: che il “Creatore”, cioè, vive nello “spirito del Moderno” (nell’Io), ma non in tutte le sue opere e, in particolare, nell’uso che se ne fa. E questo perché, nello iato che divide la realtà spirituale dell’Io dalla coscienza che l’uomo ne ha, trova modo d’insinuarsi l’ostacolatore arimanico che deforma le creazioni umane o ne promuove l’uso egoistico.
Dunque, non ci s’illuda: l’angoscia è nel cuore della modernità poiché è nel cuore dell’ego; ed è nel cuore dell’ego poiché nel cuore dell’ego c’è l’Io (spirituale) e nel cuore dell’Io c’è il Cristo. L’angoscia, quindi, non è che il sintomo della distanza che separa l’attuale coscienza o esistenza dell’ego dalla propria essenza o dal proprio fondamento spirituale. Guarire dall’angoscia è pertanto possibile solamente offrendo all’ego la possibilità, innanzitutto conoscitiva, di riaprisi nel pensiero all’Io e, mediante questo, al Logos.

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Di Francesco Giorgi
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