Uomini e topi

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Allorché John Steinbeck pubblicò, nel 1937, Uomini e topi, mai si sarebbe immaginato di aver precorso, con il suo romanzo, gli attuali sviluppi della ricerca genetica.
Genoma umano, il primo vero aiuto verrà dai topi: questo è infatti il titolo di un articolo di Edoardo Boncinelli apparso sul Corriere della Sera il 26 giugno 2001
“Un anno fa – vi si legge – venne annunciato che il Progetto Genoma era stato praticamente completato, che si era determinata cioè l’intera sequenza del nostro patrimonio genetico. All’annuncio venne dato molto risalto e non c’è nessuna ragione per ritenere che quanto annunciato non fosse vero, anche se qualcuno avrà avuto interesse a calcare un po’ la mano. Viene allora spontaneo chiedersi: che cosa è successo in quest’anno? Ci sono stati sviluppi di qualche tipo, oppure il progetto ha subito una battuta d’arresto? Certo, c’è stato un gran silenzio in questi mesi, un silenzio un po’ irreale che potrebbe avere diverse spiegazioni. La prima che viene in mente è che fosse necessario un periodo più o meno lungo di oscuro lavoro per completare l’opera, per riempire alcuni buchi e magari per controllare la veridicità di un certo numero di affermazioni. A questo si può essere associato anche un certo calo di tensione. Fino a che si è in vista di un grande traguardo, ci si impegna allo spasimo e le forze si moltiplicano. Quando questo traguardo è raggiunto o quasi, si tende istintivamente a rilassarsi. Ma che non ci si stia affatto rilassando lo dimostra la continua fuga di notizie sulla determinazione della sequenza del genoma del topo, un’altra grandissima impresa che sta procedendo molto speditamente e a proposito della quale si attende qualche clamoroso annuncio da un momento all’altro”.
Se qualcuno ha notato, di recente, una insolita agitazione tra i topi, sappia dunque che questa è dovuta appunto alla “continua fuga di notizie” riguardo alla determinazione della sequenza del loro genoma.
Continua comunque Boncinelli: “Se da una parte è innegabile che noi non siamo topi, dall’altra si deve ammettere che a proposito degli animali di quella specie si possiede un enorme patrimonio di conoscenze che potrebbero essere messe a frutto una volta determinata la sequenza del loro genoma. A certe conclusioni di carattere generale si perverrà molto più facilmente studiando la biologia di quella specie che studiando la nostra. E moltissime delle cose che sono valide per un topo sono valide anche per una scimmia o per un uomo (…) L’unitarietà dei viventi è tale che ci si può permettere di studiare un dato fenomeno biologico nella specie dove è più facile farlo e poi applicare ciò che vi si è appreso agli individui della specie che più ci interessa, la specie umana (…) Il topo è un mammifero e ci si possono studiare cose molto più vicine a noi e al nostro stile di vita. Lo studio del topo non ci potrà informare sulle basi biologiche del linguaggio, ma su quasi tutto il resto sì”.
Peccato, dunque, che l’uomo sia un “mammifero parlante” poiché lo studio del topo e del suo “stile di vita” ci permetterebbero altrimenti di conoscerlo, non per “quasi tutto il resto”, bensì interamente.
Il discorso, come si vede, potrebbe finire già qui. Vale forse la pena, tuttavia, di fare qualche altra piccola considerazione. Dice Boncinelli che qualcuno, nell’annunciare il completamento della mappatura del genoma umano, avrà avuto probabilmente “interesse a calcare un po’ la mano”. Già, ma di quale natura sarà stato un tale interesse? Di natura scientifica o economica? E nel caso sia stato di natura economica, chi ci garantisce che solo in questo caso si sia “calcata un po’ la mano”? E poi, se il risalto con il quale è stato dato l’annuncio è apparso giustificato proprio per il fatto che il Progetto Genoma “era stato praticamente completato”, quali e quanti sono invece quei “buchi” che devono essere ancora riempiti? E, soprattutto, non sarebbe stato più serio “controllare la veridicità di un certo numero di affermazioni” prima e non dopo tale annuncio?
Sostiene Boncinelli che quando un traguardo “è stato raggiunto o quasi, si tende istintivamente a rilassarsi”. Ma questo succede quando un traguardo è stato davvero raggiunto e non quando lo si sta invece per raggiungere o lo si è quasi raggiunto. Ogni scalatore che sia giunto in prossimità della vetta, può infatti testimoniare ch’è proprio a quel punto che “ci si impegna allo spasimo e le forze si moltiplicano”.
“Se da una parte è innegabile – dice Boncinelli – che noi non siamo topi, dall’altra si deve ammettere che a proposito degli animali di quella specie si possiede un enorme patrimonio di conoscenze che potrebbero essere messe a frutto una volta determinata la sequenza del loro genoma”. Ma “messe a frutto” nell’interesse di chi? Dei topi o degli esseri umani? E per quale ragione, poi, per comprendere ad esempio il Faust si dovrebbe mettere a frutto l’”enorme patrimonio di conoscenze” acquisito leggendo magari Topolino, e non piuttosto cimentarsi direttamente con la creazione di Goethe? E perché, infine, si crede di dover partire dai topi per comprendere l’uomo, e non di partire dall’uomo per comprendere i topi? O, meglio ancora, di partire dall’uomo per comprendere l’uomo e di partire dai topi per comprendere i topi? Perché non convenire, insomma, che se “noi – come riconosce Boncinelli – non siamo topi”, lo studio dei topi potrà allora “informarci” su quello che non siamo, ma mai su quello che siamo?
Non ci sarebbe comunque da stupirsi se qualcuno, continuando di questo passo, arrivasse prima o poi ad affermare, non più (con Paolo): “Non io, ma il Cristo in me”, bensì (con la genetica): “Non io, ma il topo in me”.
D’altra parte, quando si rinuncia a pensare, non rimane allora che attendere il giudizio dei fatti, sperando sempre che questo non s’incarni in una irreparabile sciagura (“I fatti – diceva Marx – hanno la testa dura”).
Il padre di “Dolly”: la clonazione rischia di creare dei mostri, titola ad esempio il Giornale (7 luglio 2001), e così leggiamo: “No alla clonazione umana. Le tecniche sono ancora primitive e troppo spesso, nonostante gli eclatanti successi ottenuti, gli esperimenti producono animali con gravi difetti. E fino a quando non ci saranno certezze è consigliabile evitare ogni tentativo sull’uomo. Il parere proviene dai più importanti ricercatori ed esperti di tutto il mondo (…) Quando si inocula il Dna di una cellula nel nucleo di un ovulo c’è un pericolo considerevole di compiere gravi imperfezioni. Lo sviluppo di un organismo “è un balletto tanto finemente orchestrato” di molecole e cellule, commenta il docente all’Indiana state university David Prentice, e il più piccolo incidente può creare seri guai”.
Ma il problema, come abbiamo avuto già occasione di rilevare in alcune delle nostre note precedenti, non è rappresentato dalla primitività delle “tecniche” né dalle eventuali “imperfezioni” o dagli eventuali “incidenti”, bensì dal fatto che non si è ancora realizzato ch’è l’organismo stesso, quale insieme, a orchestrare “tanto finemente” il balletto delle molecole e delle cellule che presiede al suo sviluppo. Quanti “ricercatori ed esperti” sanno però pensare realisticamente tale insieme (o tale essenza) e mettere quindi a punto dei metodi che consentano di interagire creativamente con esso? Quanti “ricercatori ed esperti”, ossia, sanno operare oggi scientificamente sul piano qualitativo o in modo scientifico-spirituale?

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Di Francesco Giorgi
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