Nel suo La mucca è savia – Ragioni storiche della crisi alimentare europea (la cui lettura ci sentiamo di consigliare), Piero Bevilacqua, ordinario di Storia contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma, in riferimento – come scrive – alla “favola esopica delle multinazionali delle sementi che sarebbero interessate a risolvere il problema della fame dei paesi poveri del mondo”, così dice: “Leggenda cui hanno dato credito e fiato perfino uomini di scienza, da cui, per la verità, ci si attenderebbe una più vigile attitudine a parlare di ciò che si sa” (Donzelli, Roma 2002, p.135).
In effetti, la sana “attitudine a parlare di ciò che si sa” si va purtroppo facendo, tra gli “uomini di scienza”, sempre più rara.
Eccone l’ultimo esempio. Il 17 maggio 2002, la Federazione degli Ordini dei medici, chirurghi e odontoiatri (Fnomceo), ha approvato un documento (firmato dai presidenti di 103 ordini provinciali) in cui si propone di considerare “a tutti gli effetti atti medici” nove medicine “non convenzionali” (agopuntura, fitoterapia, medicina ayurvedica, medicina tradizionale cinese, omeopatia, osteopatia, omotossicologia, medicina antroposofica, chiropratica), di istituire un’Agenzia nazionale per le medicine e pratiche non convenzionali e di sollecitare un “urgente e indifferibile intervento legislativo del Parlamento, al fine dell’approvazione di una normativa specifica”.
Il 14 giugno, il Corriere della Sera pubblica un articolo del nefrologo Giuseppe Remuzzi (titolato: Disordine dei medici – Quelle cure (troppo) alternative) in cui si contesta tale decisione poiché non vi sarebbe alcuna prova – a detta dell’autore – che le suddette terapie siano di qualche efficacia
Una settimana dopo, sempre il Corriere riprende l’argomento (con un articolo firmato M.D.B. e titolato: Medicina alternativa, arriva il no dei pediatri) per informare i suoi lettori che Francesco Tancredi (presidente della Società italiana di pediatria), si è così pronunciato sui rimedi naturali: “E’ pericoloso utilizzarli, possono essere dannosi. Non c’è nessuna garanzia sulla mancanza di tossicità e sull’efficacia”, e che, – fatto ben più rilevante – dopo l’intervento di Remuzzi, trentasette scienziati, tra i quali i Nobel Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco, i genetisti Edoardo Boncinelli e Bruno Dallapiccola, il farmacologo Silvio Garattini, si sono accordati per firmare un documento in cui viene riprovata la decisione della Fnomceo perché “non si possono accettare cure non corroborate da test scientifici condotti seriamente”.
Su Oggi, infine, Umberto Veronesi dichiara di aver aderito all’appello contro la proposta della Fnomceo perché se si andasse “a vedere più dentro a ciò che queste pratiche sostengono, ci si accorgerebbe delle sciocchezze scientifiche che vengono affermate.” (Anche se l’amano in tanti, l’altra medicina è traditrice – Oggi, 3 luglio 2002).
Ma tutti costoro sono andati davvero “a vedere più dentro a ciò che queste pratiche sostengono”? C’è da dubitarne.
Sia chiaro, intanto, che intendiamo qui parlare della medicina antroposofica e non delle altre terapie ricordate (conoscendole meno o non conoscendole affatto). Dice Veronesi che tali pratiche (ivi compresa, quindi, quella antroposofica) “si richiamano a concetti filosofici, musicali e addirittura pittorici, e hanno molto più appeal della medicina tradizionale, la quale talvolta è esercitata da medici freddi e distanti, il cui comportamento rischia di allontanare i cittadini delusi che si rifugiano nella medicina alternativa. Il rischio c’è, e il fenomeno è in crescita”. Ma crede sul serio Veronesi che la questione possa essere ridotta a un mero fatto di appeal o di savoir-faire? O non c’è in gioco qualcosa di ben più importante: ovvero, il sempre più avvertito bisogno di una medicina umana che non spersonalizzi il malato considerandolo un animale (uno “psicozoo”) o una macchina (consumatrice di energia e d’informazioni)? Alla domanda: “E la medicina come sta?”, l’epatologo Ferruccio Bonino risponde infatti così: “Male, grazie. La medicina tradizionale ha fatto un errore fondamentale. Ha generalizzato troppo l’approccio di cura e pensato a un paziente “medio”, ideale come prototipo statistico ma in realtà inesistente. Non basta affidarsi alle tecnologie, alle macchine, agli oggetti della medicina. Una cura è come un abito, da “tagliare” su misura. Compito del medico è personalizzare, focalizzare l’attenzione sul “soggetto” paziente. Altrimenti, la medicina tradizionale rischia di essere sconfitta dalla medicina alternativa. Purtroppo siamo già su questa strada” (Silvia Ferraris: Non mangiatevi il fegato – Anna, 27 giugno/5 luglio 2002).
Ma se le cose stanno così, perché non chiedersi, allora, se non siano proprio i “concetti filosofici” (materialistici e meccanicistici), cui si richiama più o meno inconsciamente la medicina ufficiale, a impedire al medico di “personalizzare, focalizzare l’attenzione sul “soggetto” paziente”, e a imporgli degli atteggiamenti “freddi e distanti”? O si è forse convinti che la vita del sentire e del volere (del comportamento) non risenta affatto di quella del pensare? Quali sentimenti e quali comportamenti derivano – ci si potrebbe infatti chiedere – dal pensare l’uomo come un essere spirituale (un Io) portatore di un’anima, di un corpo e di un destino, e quali invece dal pensarlo solo come un corpo (o un cervello) in balìa della casualità? Sostiene Veronesi che la proposta della Fnomceo “rientra in quell’ampio movimento anti-scientista che sta serpeggiando da anni nella nostra società italiana, come in altre nazioni, e che va sotto il nome di New Age, cioè Nuova Era“. Ebbene, a parte il fatto che solo chi non sa nulla dell’antroposofia può pensare che questa abbia qualcosa in comune con la New Age, non sa forse Veronesi che rifiutare lo “scientismo” significa rifiutare, non la “scienza”, bensì (nell’accezione prevalente) la sua ingenua esaltazione e l'”assunzione acritica di nuovi dogmi, non meno immotivati di quelli appartenenti al patrimonio della metafisica” (Dizionario di filosofia – Rizzoli, Milano 1976, p.405)?
In tutti i modi, chi ha avuto la bontà e la costanza di seguire quanto andiamo pubblicando sul nostro “osservatorio” sa cosa pensiamo dei pregiudizi che ispirano simili prese di posizione, e sa pure che, non essendo affatto interessati alla polemica, cerchiamo sempre di mantenerci sul piano critico. Una cosa sono però le opinioni, altra le menzogne. Non saremmo tornati perciò sull’argomento, se non fosse stato per due fatti che, da soli, dicono più di molte parole.
Il primo è questo. Scrive Veronesi: “Sono del parere che tra i 9 milioni di italiani che annualmente si rivolgono alle medicine non convenzionali, sono quasi equivalenti a zero le persone che si curano “solo” con esse”. Siamo anche noi dello stesso parere. Ciò sta a significare, però, che molti italiani, non solo sono meno sciocchi, illusi o creduloni di quanto vorrebbero darla a intendere i trentasette firmatari, ma hanno anche maggiore buon senso di quanti sono pronti, da una parte e dall’altra, a tacciare di “eresia” e a “scomunicare” chiunque non appartenga alla loro “parrocchia”.
Tanto Veronesi che Bonino lamentano – come abbiamo visto – la crescente affermazione delle “medicine alternative”. Ma queste si faranno sempre più largo, se ci si ostinerà a trinciare giudizi su ciò che non si sa, e a trattare alla stessa stregua di babbei quanti si mostrano sordi agli anatemi lanciati dagli alti “prelati” dell’ortodossia (e da qualche giornalista loro “sagrestano”). I rimedi omeopatici – afferma ad esempio Dulbecco – “sono pasticci senza valore” e “il loro danno maggiore – aggiunge la Montalcini – consiste nell’illudere i pazienti” (Emanuela Dini: Usiamo aghi e pozioni, ma siamo medici ospedalieri, non stregoni – Oggi, 3 luglio 2002). Ebbene, cosa deve pensare di coloro che fanno queste affermazioni chi ricorre, magari da decenni e con soddisfazione (come peraltro il sottoscritto), anche ai rimedi omeopatici e antroposofici? (“Ho visto mille teorie cadere di fronte a un fatto – pare abbia appunto detto Francesco Severi – ma non ho mai visto un fatto cadere di fronte a mille teorie”).
Ciò che più importa rilevare, comunque, è che se si fosse andati davvero “a vedere più dentro” ci si sarebbe presto accorti che la medicina antroposofica non si è mai posta quale “alternativa” a quella allopatica, bensì si è sempre proposta quale integrazione e arricchimento di quanto di valido (e non è certo poco) offre quest’ultima. A dimostrarlo, basti il fatto che l’unico libro scritto sull’argomento da Rudolf Steiner (insieme alla dott.ssa Ita Wegman) reca appunto questo titolo: Elementi fondamentali per un’ampliamento dell’arte medica – secondo le conoscenze della scienza dello spirito – (Antroposofica, Milano 1977).
Chiunque parli della medicina antroposofica come di una cura “alternativa” non dice dunque la verità.
Il secondo – più grave – è questo. Nel suo articolo, Remuzzi afferma: “Il dottor Steiner, che agli inizi del secolo scorso ha inventato l’antroposofia, era convinto che dopo la morte l’uomo si reincarna (in un altro uomo, ma eventualmente anche in un gatto)”.
Ebbene, Steiner avrà pure “inventato” (sic!) l’antroposofia, ma quel ch’è certo è che Remuzzi ha inventato che Steiner abbia sostenuto una tesi del genere. Come si potrà vedere, consultando la sezione “corrispondenza” del nostro “osservatorio”, abbiamo scritto al Corriere (in data 19 giugno c.a.) per invitare Remuzzi “a precisare in quale punto della sua opera Rudolf Steiner ha affermato che “l’uomo si reincarna (in un altro uomo, ma eventualmente anche in un gatto“)”.
Siamo sicuri, tuttavia, che non potrà farlo, poichè, non essendosi affatto curato di “vedere più dentro” all’antroposofia, non ha avuto modo di accorgersi che Steiner non ha mai asserito una cosa del genere: che non ha mai confuso, ossia, l’insegnamento delle ripetute vite terrene (riguardante solo gli esseri umani) con quello della metempsicosi (che, in quanto versione corrotta del primo, arriva a coinvolgere in tale processo gli animali, le piante e i minerali).
Remuzzi, dunque, pur di screditare colui che presume essere un suo avversario, non ha detto la verità, e – cosa non meno grave – nessuno di coloro che hanno firmato un documento per sostenerlo si è sentito in dovere di verificare la correttezza della sua asserzione.
Ebbene, è forse questa una prova di serietà o di coscienziosità scientifica? E come fidarsi, allora, di chi è pronto a rifiutare le “cure non corroborate da test scientifici condotti seriamente”, ma non le affermazioni “non corroborate” da serie prove documentali? E non potrebbe ingenerarsi a questo punto il sospetto che chi è disposto a non dire la verità riguardo a ciò che chiunque può facilmente controllare, sia disposto a non dirla anche riguardo a ciò che non tutti possono, con altrettanta facilità, verificare?
Ma forse (parafrasando il Leopardi) a Remuzzi, e a tutti i firmatari dell’appello, “del nostro dir poco li cale”. Che ben altra sia in fondo la loro preoccupazione, parrebbe infatti rivelarlo quanto scrive Veronesi nella conclusione del suo articolo: “Ecco perché è necessario finanziare sempre più generosamente la ricerca scientifica, ed ecco perché è assurdo che le medicine alternative trovino non soltanto credito, ma che addirittura vengano pagate dallo Stato”.
Come fidarsi?
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