Scienza e immaginazione

S

In un breve articolo dedicato alla nascita di “Baby Eve“, frutto (stando almeno a quanto asserisce la Clonaid, società scientifica legata alla setta dei raeliani) del primo esperimento di clonazione umana, Franco Battaglia, dopo aver auspicato un “bando globale” della clonazione riproduttiva, scrive: “Per capire la necessità di condannare la clonazione riproduttiva (…) e per capire che chi ci sta oggi lavorando scienziato non è, bisogna non cadere nella trappola in cui cade chi ritiene che lo scienziato “vuole trasformare la realtà, dominare il mondo, sostituirsi a Dio e distruggere le leggi della Natura” (…) Il primo fraintendimento è quello di ritenere che “la realtà” sia solo quella che direttamente percepiamo o, peggio, comprendiamo. Solo chi si ferma alla legge naturale di caduta dei gravi, e ignora altre leggi della Natura, vede in un aereo che vola senza precipitare “una trasformazione della realtà”” (1).
D’accordo, ma se è vero – come dice il proverbio – che “chi semina vento raccoglie tempesta”, come si fa allora ad assolvere il vento e a condannare la tempesta? Come si fa, ossia, ad assolvere la scienza materialistica e a condannare la clonazione riproduttiva? La seconda non è infatti frutto della prima: vale a dire, della sua mentalità meccanicistica o ingegneristica?
Non si tratta dunque di stabilire se si debba o meno operare “una trasformazione della realtà”, ma di capire che la realtà organica (vivente) non può essere impunemente affrontata con la stessa mentalità, con lo stesso pensiero o con lo stesso livello di coscienza con cui si affronta quella inorganica (morta).
Anche Umberto Veronesi si pronuncia sull’evento in una intervista, e auspica il varo di una normativa che consenta di dare una sistemazione “razionale” alla materia. Tale normativa – dice – deve nascere “da principi filosofici di riferimento. Per delineare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, serve l’onestà intellettuale di riferirsi a un’etica teleologica, che si chieda qual è il fine ultimo, lo scopo di ogni nostro comportamento. Bisogna disegnare norme che facciano raggiungere il massimo benessere riducendo il più possibile lo stato di sofferenza” (2).
Ma i suoi “principi filosofici di riferimento” – viene da chiedersi – gli permettono forse di considerare anche il benessere e la sofferenza dell’anima, e di avere ben presente che questi non sempre coincidono con quelli del corpo? O, per dirla tutta, che dei corpi manipolati, ibridati o geneticamente modificati saranno sempre meno idonei ad albergare e servire uno spirito umano o un Io?
Quest’ultima domanda suonerà a dir poco strana alle orecchie dei più e, in particolare, a quelle di Remo Bodei e Umberto Galimberti. Stando a quanto riferisce Giuseppe Cantarano, recensendo i loro due ultimi lavori (3), il primo si dice infatti convinto che diventa sempre più difficile dare “compattezza, unità e coerenza a un io che sembra dissolversi in un confuso pulviscolo di stati d’animo vorticosamente trascinato dal soffio degli eventi”, e il secondo assicura che “l’io non si distingue dal corpo”, e che “il corpo non è uno strumento dell’io”.
Con queste affermazioni, tuttavia, non si fa che scambiare uno stato di “fatto” con uno di “diritto”. Rilevare che l’”io” – come dice Bodei – sembra dissolversi “in un confuso pulviscolo di stati d’animo vorticosamente trascinato dal soffio degli eventi”, o che – come dice Galimberti – non si distingue dal corpo, significa infatti rilevare il patologico risultato dei colpi inferti dalla cultura materialistica alla coscienza dello spirito o dell’Io, e quindi il più grave sintomo della malattia di cui soffre l’umanità moderna.
“Con i pensieri ispirati dalla scienza contemporanea – osserva al riguardo Steiner (siamo nel 1919) – è semplicemente impossibile sollevarsi all’altezza dei problemi del nostro tempo. Volendo mettere ordine solo in quello che si trova nel mondo fisico e pensare solo a quello, senza tener conto di nient’altro, si finisce solo per distruggere. In quel caso non ci si dovrà sorprendere se la lotta che ci si rifiuta di affrontare nella sfera spirituale irromperà nella vita fisica e negli uomini. Se essi non vogliono combattere dentro di sé, nelle loro anime, la lotta si svolgerà fra uomo e uomo, fra popolo e popolo” (4).
Ma torniamo a noi. “Il primo fraintendimento – dice Battaglia – è quello di ritenere che “la realtà” sia solo quella che direttamente percepiamo o, peggio, comprendiamo”. Già, ma se la realtà non è solo quella che percepiamo mediante i sensi fisici e comprendiamo mediante l’intelletto (a essi vincolato), quale altra è allora? Quali sono, cioè, quelle “altre leggi della Natura” che “chi si ferma alla legge naturale di caduta dei gravi” ignora?
Fatto si è che in natura ci sono non solo i “gravi”, vale a dire gli esseri morti (come gli aerei), ma anche le forze che rendono gli esseri vivi (come gli uccelli), le leggi cui sono subordinate le forze, e il principio unitario che subordina e armonizza a sua volta le leggi. E come per percepire e comprendere la realtà inerte dei “gravi” occorrono i sensi fisici e l’intelletto, così per percepire e comprendere quella vivente delle forze, quella qualitativa delle leggi e quella sintetica del principio, sarebbe necessario sviluppare dei superiori e adeguati livelli di coscienza. Si rammenti, infatti, che tali superiori livelli vengono normalmente percepiti e compresi indirettamente: cioè a dire, non nella loro natura (sovrasensibile), bensì nei loro effetti o nelle loro manifestazioni (sensibili); e si consideri, altresì, che quello che abbiamo denominato “principio unitario”, ma che avremmo anche potuto denominare “insieme”, non è, a ben vedere, che la “Natura” stessa o, per meglio dire, il suo vero “Essere” (del quale Brunetto Latini scrive: “E’ vita del suo verace Padre. Elli è creatore, et (ella) è creatura”) (5).
Non è detto, pertanto, che chi ignora le “altre leggi della Natura” sia rimasto fermo “alla legge naturale di caduta dei gravi”; è ben più probabile, infatti, che in tanto le ignori in quanto ignora (ci si passi il gioco di parole) la natura della “Natura”. In virtù dell’apparato neurosensoriale e dell’intelletto è possibile infatti conoscere gli elementi di cui si compone la sostanza (la sub-stantia), ma non quanto, ai diversi e superiori livelli, la vivifica, la governa e l’unifica.
Afferma sempre Battaglia che “gli scienziati, quando fanno scienza, lontani dal voler dominare il mondo, molto più semplicemente desiderano goderne e divertirsi: l’immaginazione del poeta immortala la bellezza del fiore, la ricerca dello scienziato gli fa scoprire quanto l’immaginazione della Natura supera quella del poeta”.
E’ vero: “l’immaginazione della Natura” supera quella del poeta. E’ altrettanto vero, però, che l’immaginazione del poeta supera quella dello scienziato materialista. Il primo – dice ad esempio Battaglia – “immortala la bellezza del fiore”. Ebbene, che cosa gli fa scoprire “la ricerca dello scienziato”? Ce lo dice Boncinelli: che “in natura l’odore di violette non esiste, come non esiste un accordo in Do o il giallo paglierino. Ciascuno di questi è un segmento di realtà ritagliato dai nostri sensi e da essi elevato al rango di sensazione” (6).
Grazie alla “scienza”, che cosa ha scoperto dunque il poeta? Che la “bellezza” che ha immortalato non esiste, non essendo altro che una sua personalissima e fuggevole sensazione, e quindi un’illusione. Ma in questa cosiddetta “scoperta” – chiediamoci – si è rivelata la realtà del fiore, o non è venuta piuttosto alla luce la pochezza immaginativa dello scienziato materialista?
Scrive al riguardo Goethe: “Osservando la natura, così nei suoi fenomeni grandi come in quelli piccoli, mi sono posto costantemente questa domanda: “E’ l’oggetto che parla o sei tu?”” (7).
Fatto sta che Battaglia, tirando in ballo il “poeta”, mostra di non fare alcuna distinzione tra l’”immaginazione” e la “fantasia”. Si potrebbe dire, infatti, che l’”immaginazione” è una fantasia oggettiva (e attiva), mentre la “fantasia” è un’immaginazione soggettiva (e passiva). Non a caso, il primo dei gradi della conoscenza superiore indicati da Steiner è detto appunto “immaginativo” (8).
Gli scienziati materialisti di certo si scandalizzeranno al solo sentir parlare di una “immaginazione oggettiva”. Farebbero senz’altro meglio, tuttavia, a riflettere su ciò che dice Goethe (e che abbiamo già riportato nella nota del 15 gennaio 2002), sulla base di quanto aveva affermato, nei suoi riguardi, lo psichiatra J.Ch.Heinroth (1773-1843): “Nella sua Antropologia, opera sulla quale avremo ancora occasione di tornare, il dott. Heinroth parla benevolmente di me e dei miei lavori, e definisce geniale il mio modo di procedere, consistente – scrive – nel fatto che il mio pensiero lavora oggettivamente o, in altri termini, non si separa dagli oggetti, ma gli elementi di questi, le loro immagini sensibili, ne sono assorbite ed intimamente penetrate; che il mio vedere è già un pensare, il mio pensare un vedere – procedimento al quale egli non può negare il suo plauso “ (9).
Quel che è comunque più inquietante è che tali scienziati, per “godere” e per “divertirsi”, oggi non si limitano più a spiegare materialisticamente (in modo più o meno esplicito) la realtà vivente, ma hanno preso a maneggiare il mondo organico servendosi della logica che vige in quello inorganico.
“Nulla è più terribile – afferma tuttavia Goethe – che vedere agire l’ignoranza” (10). La clonazione riproduttiva che molti riconoscono e giudicano un “crimine etico”, non è quindi che la fatale conseguenza di un “crimine noetico” che ben pochi, però, riconoscono e giudicano come tale. E’ proprio questa, d’altronde, l’essenza del moralismo. Il vero “crimine” consiste dunque, non nelle pratiche più o meno aberranti cui sono sempre più dediti gli odierni ricercatori, bensì nel loro tentativo (teorico e pratico) di costringere il pensiero e la realtà vivente che non conoscono nella camicia di forza del pensiero e della realtà meccanica che conoscono. Come sempre, insomma, il vero “crimine” è innanzitutto un “crimine” di pensiero.


Note:
01) il Giornale, 29 dicembre 2002;
02) il Giornale, 30 dicembre 2002;
03) il Giornale, 2 gennaio 2003. I lavori sono: 1) R.Bodei: Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze – Feltrinelli, Milano 2002; 2) U.Galimberti: Il corpo – Feltrinelli, Milano 2002;
04) R.Steiner: Come ritrovare il Cristo? – Antroposofica, Milano 1988, p.160;
05) B.Latini: Del Tesoro volgarizzato – Forni, Bologna 1968, p.54;
06) E.Boncinelli: Il cervello, la mente e l’anima – Mondadori, Milano 2000, p.118;
07) J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1998, p.140;
08) cfr. R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1997;
09) J.W.Goethe: Deciso impulso di un solo giudizio acuto in Opere – Sansoni, Firenze 1961, vol. 5°, p.57;
10) J.W.Goethe: Massime e riflessioni, p.132.

Scarica PDF

Di Francesco Giorgi
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente