Pensiero e informazione

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Nel corso di un’intervista rilasciata a Rodolfo Casadei (1), il noto fisico e filosofo inglese Paul Davies dice: “Il fatto che più mi sorprende – diversamente da molti miei colleghi che lo danno per scontato – è che siamo capaci di conoscenza scientifica, cioè che possiamo riuscire a comprendere il mondo fisico attraverso le procedure della scienza, vale a dire astruse formule matematiche e procedimenti sperimentali. Come è possibile che la mente umana, prodotto dell’evoluzione, cioè di un sistema di trattamento delle informazioni finalizzato alla sopravvivenza “nella giungla”, sia fortunosamente dotata del potere di scoprire le leggi matematiche in base a cui l’universo funziona? Perché la mente umana è sintonizzata sulla lunghezza d’onda dei più misteriosi meccanismi dell’universo?”.
Ciò che “più sorprende” Davies è dunque il fatto che la mente umana, in qualità di “prodotto dell’evoluzione, cioè di un sistema di trattamento delle informazioni”, sia non solo “finalizzata alla sopravvivenza “nella giungla””, ma anche dotata del ”potere di scoprire le leggi matematiche in base a cui l’universo funziona”, rendendoci così “capaci di conoscenza scientifica”. Ma perché ciò lo sorprende? Perché, evidentemente, non se lo aspettava. E perché non se lo aspettava? Perché, avendo fatta sua la teoria secondo la quale la mente (computazionale) non è che il prodotto di un “sistema di trattamento delle informazioni”, ritiene impossibile che una “cosa” del genere sia in grado di scoprire le leggi del mondo fisico. La sorpresa di Davies deriva dunque dal fatto che la scienza che ha della mente viene smentita dalla mente che fa scienza: ovvero, che quanto crede che la mente sia viene smentito da quanto osserva che la mente fa; tant’è che quel che la mente fa si vede costretto a giudicarlo “fortunoso”.
Si preferisce dunque giudicare “fortunoso” il fatto che la mente sia “sintonizzata sulla lunghezza d’onda” dei “meccanismi dell’universo”, o “misteriosa” la relazione fra la mente e il corpo, piuttosto che rimettere in discussione ed eventualmente correggere la teoria materialistica (neodarwiniana, neurofisiologica o neurobiologica) che va attualmente per la maggiore. Ad esempio Davies, nella stessa intervista, da un lato ammette: “I fisici non sono stati veramente in grado di dare un contributo alla spiegazione dell’eterno problema della relazione fra mente e corpo: questo problema resta un mistero. Parecchi fisici lo aggirano negando l’esistenza del libero arbitrio. Io credo che disponiamo di qualcosa del genere del libero arbitrio, ma non ho idea di come esso funzioni”, ma dall’altro afferma : “Come ha ben spiegato il biologo francese Jacques Monod, tutto in natura è una mescolanza di caso e di “necessità”, ovvero di norma”.
“”Ho visto mille teorie cadere di fronte a un fatto, – ha però detto Francesco Severi – ma non ho mai visto un fatto cadere di fronte a mille teorie””. Ogni fatto capace di “”sorprenderci”” altro non dovrebbe costituire, infatti, che l’occasione per un riesame, una revisione o una trasformazione della teoria.
Quale certezza si ha, ad esempio, che “tutto in natura” sia “una mescolanza di caso e di “necessità””, che la mente sia un casuale “prodotto dell’evoluzione”, che l’evoluzione altro non sia che “un sistema di trattamento delle informazioni”, e che il potere della conoscenza scientifica sia soltanto “fortunoso”? E non sarà ch’è proprio a causa di queste convinzioni che non si riesce ad avere idea di “come funzioni” il libero arbitrio?
Cos’è infatti un’“informazione” se non un pensiero? E che cos’è “un sistema di trattamento delle informazioni” se non un pensare? E perché dovrebbe essere allora “fortunoso” che il pensiero pensi i pensieri “”in base a cui l’universo funziona””? Che il pensiero umano, ossia, pensi il pensiero cosmico?
Scrive Boncinelli: “Le entità fondamentali che caratterizzano e regolano i fenomeni dell’universo fisico, indipendentemente dal fatto che si tratti di oggetti animati o di oggetti inanimati, sono tre: la materia, l’energia e l’informazione“” (2). D’accordo, ma se l'””informazione”” non è che un pensiero, ciò non significa allora che la terza delle “”entità fondamentali che caratterizzano e regolano i fenomeni dell’universo fisico”” è appunto il pensiero? E non sarebbe quindi il caso d’informarne gli “”informatici””?
L’uomo dei primordi – ricorda in proposito Steiner – “non aveva ancora una coscienza intellettiva, ma una sorta di coscienza sognante. Tale coscienza sognante osservava i fenomeni cosmici, e l’uomo che l’aveva non si diceva: là fuori si manifestano i processi cosmici e io li comprendo con il mio intelletto. No, egli sognava in immagini. Tuttavia vedeva l’intelletto, che oggi percepiamo come localizzato nella nostra testa, compenetrare le cose e gli eventi. Noi distinguiamo tra le leggi naturali e quel che in noi le comprende, chiamando quest’ultimo intelletto. L’uomo del passato viveva una consapevolezza animica solo in immagini; era ancora così nelle antiche epoche della nostra evoluzione terrena. Non si faceva distinzione fra leggi naturali esterne e intelletto; la natura stessa aveva intelletto e si dava le proprie leggi. L’intelletto agiva all’esterno. Appartiene allo stadio evolutivo della nostra umanità, diventata autonoma, l’affermare: in noi abbiamo l’intelletto e fuori ci sono le leggi naturali. Per l’uomo del passato era la somma delle leggi naturali a costituire l’intelletto” (3).
Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che l’uomo era un tempo pensato dal pensiero del cosmo, mentre il pensiero del cosmo è oggi pensato dall’uomo. E come l’uomo, allorché era pensato dal cosmo (quale sua parte), non aveva ancora coscienza dell’Io (quale espressione della propria autonomia), così oggi, allorché pensa il pensiero del cosmo, non ha ancora coscienza del legame tra il pensiero o l’Io umano e il pensiero o l’Io cosmico (il Logos). In altre parole, un tempo l’uomo non poteva avere coscienza del suo legame con il cosmo perché non se ne era ancora distaccato (nella testa e con l’intelletto), mentre oggi non riesce ad avere coscienza di tale legame (che perdura nella sfera ritmica e sognante del sentire e in quella metabolica e dormiente del volere) perché si ostina a utilizzare esclusivamente gli stessi strumenti (la testa e l’intelletto) che gli sono serviti a rendersi indipendente, e nulla vuol sapere, per di più, di quel pensiero goethiano, vivente o “immaginativo”, deputato a far da ponte tra la coscienza del sensibile e quella del sovrasensibile. Un tempo, insomma, l’uomo era nel cosmo, mentre oggi il cosmo è nell’uomo. L’uomo però non lo sa, e non riesce quindi a spiegarsi come ciò che sperimenta dentro di sé quale pensiero si trovi in “sintonia” con ciò che sperimenta fuori di sé quale percezione.
“”La difficoltà principale nella spiegazione delle rappresentazioni – scrive a questo proposito Steiner – viene trovata dai filosofi nella circostanza che noi stessi non siamo le cose esterne, e che tuttavia le nostre rappresentazioni devono avere una forma corrispondente alle cose. A un più preciso esame risulta però che tale difficoltà non esiste per niente (.) Il problema di come io abbia notizia dell’albero che sta a dieci passi da me, è posto in modo del tutto sbagliato. Esso deriva dall’opinione che i miei limiti corporei siano pareti separatorie assolute attraverso le quali penetrano in me notizie delle cose. Le forze che agiscono entro la mia pelle sono le stesse che esistono al di fuori. Io sono dunque realmente le cose; però non io in quanto soggetto della percezione, ma io in quanto sono una parte entro il divenire universale (in quanto “”oggetto”” della percezione – nda). La percezione dell’albero si trova col mio io (con quella del mio io – nda) in un unico complesso. Il divenire universale suscita nella stessa misura là la percezione dell’albero e qui la percezione del mio io (…) Come conoscitore del mondo posso trovare l’affinità fra le due parti soltanto con il pensare, che le collega mediante concetti” (4).
Del fatto che l’essenza delle cose, soltanto a causa della moderna organizzazione conoscitiva umana (nella quale il pensare si presenta diviso dal volere), si dia, mediante il corpo, quale contenuto di percezione (quale percetto) e, mediante lo spirito, quale contenuto di pensiero (quale concetto), e che spetti perciò all’uomo, conoscendo, di riunire nella propria anima (in forma di rappresentazione) quanto egli stesso ha in precedenza diviso, ci siamo già occupati altrove (5), e non staremo quindi a ripeterci.
Ci limiteremo piuttosto a osservare che con l’affermare – come oggi si fa – che il mondo, oltreché di “materia” e di “energia”, è fatto d’”informazione”, ci si approssima in qualche modo alla verità. Difficilmente la si potrà raggiungere, tuttavia, perché il materialismo, preoccupato com’è di quanto viene ad aggiungersi, suo malgrado, alla “materia”, dopo aver alterato la coscienza dell’energia, riducendo quest’ultima a fenomeno “fisico” (e quindi tutt’altro che “vitale“ o “eterico”), si sforza adesso di alterare quella del pensiero, riducendo quest’ultimo a ”informazione”.
Chiunque rifletta seriamente su queste cose, capirà dunque perché Steiner, nel 1921, ebbe a fare le seguenti affermazioni: “La cosa principale è ribellarsi con risolutezza allo spirito penetrato nella scientificità. Questo è ciò che conta, perché si tratta dello spirito della falsità, dello spirito che cela la falsità dietro ogni possibile abbellimento (…) Oggi per me non è tanto importante che si adottino difese contro le calunnie e le falsità degli avversari, quanto che ad essi vengano rinfacciati i loro errori, che per esempio si caratterizzi il grado di veridicità che domina nella moderna vita scientifica. Ci sarà d’aiuto nel modo migliore chi metterà in evidenza gli errori della scienza moderna sulla base dei dati che possono venir trovati ogni momento” (6).

Note:

01) Tempi, 23-29 gennaio 2003;
02) E.Boncinelli: Il cervello, la mente e l’anima – Mondadori, Milano 2000, p.11;
03) R.Steiner: La responsabilità dell’uomo per l’evoluzione del mondo – Antroposofica, Milano 2002, vol.2°, p.204;
04) R.Steiner: La filosofia della libertà – Mondadori, Milano 1998, pp.93-94;
05) in specie, nella nota Coscienza naturale e coscienza spirituale del 15 febbraio 2002;
06) R.Steiner: La responsabilità dell’uomo per l’evoluzione del mondo, pp.107 e 108.

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Di Francesco Giorgi
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