17/02/2003

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Di recente, il settimanale Famiglia cristiana ha preso a offrire ai suoi lettori, insieme a ogni fascicolo (e per un modesto soprapprezzo), uno dei dieci volumi de I libri della salute. L’iniziativa non avrebbe assolutamente nulla di strano, se non fosse per un piccolo particolare. Il messaggio pubblicitario che l’accompagna s’inizia infatti così: “Dieci volumi per coltivare giorno per giorno il bene più prezioso che abbiamo: la salute”.
Per i cristiani di Famiglia cristiana, il “bene più prezioso” è dunque la “salute”. Peccato che Dante non lo avesse capito! Mai avrebbe permesso altrimenti a Virgilio di presentarlo a Catone con le celebri parole: “ Or ti piaccia gradir la sua venuta; libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta” (Pur. c.1, v.70-72). E che dire poi dell’apostolo Paolo tutto convinto, com’era, che il “bene più prezioso” non fosse la “salute”, ma la “carità” o l’”amore”? Si aggiorni dunque il suo famoso passo della lettera ai Corinti, e lo si legga d’ora in avanti così: “Quand’anche io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho la salute, io sono un bronzo che suona o un cembalo che squilla. Di più, avessi pure il dono della profezia, e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi una fede tale da trasportar le montagne, se non ho la salute, io sono un niente. Anzi se distribuissi anche tutti i miei beni ai poveri, e dessi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la salute, tutto questo non mi giova a nulla” (Cor. 13, 1-3).

Di Lucio Russo
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