Utero e cervello

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In un’intervista pubblicata da Il Messaggero (1), Giovanni Sartori (professore emerito dell’Università di Firenze e della Columbia University, accademico dei Lincei ed editorialista del Corriere della Sera), a Mario Ajello che gli domanda: “Sartori non sventola la bandiera arcobaleno?”, così risponde: “Non sventolo nessuna bandiera. Questo pacifismo è cieco e non lo approvo. Anzi, lo sa come lo chiamo?”; “No”, dice l’intervistatore. “Cieco-pacismo. Chi è “senza se e senza ma” non vede niente”. Al che, Ajello chiede: “Gli occhi devono restare aperti?”; e Sartori replica: “Su questi problemi, non mi lascio trasportare dall’utero, anche perché non ce l’ho. Sono un pacifista razionale”.
Secondo Sartori, il “cieco-pacismo” (quello del “senza se e senza ma”) è dunque il pacifismo di chi si lascia “trasportare dall’utero”, e quindi il pacifismo “isterico”. A questo, egli oppone infatti il proprio, che definisce “razionale”.
Ma cosa significa lasciarsi “trasportare dall’utero”? Significa lasciarsi trasportare dagli impulsi che risalgono dalla sfera inconscia della volontà; è a questi, infatti, che Sartori oppone quelli che discendono, al contrario, dalla sfera cosciente del pensiero (intellettuale).
Se è vero, tuttavia, che il pacifismo di quelli che si lasciano trasportare dall’utero è cieco, è altrettanto vero che il pacifismo di quelli che si lasciano trasportare dal cervello è impotente. Impotente, in primo luogo, a comprendere ciò che realmente ribolle nel profondo delle odierne anime europee e occidentali.
Scrive in proposito Steiner: “Non possiamo pensare il concetto dell’uomo fino in fondo, senza giungere allo spirito libero come espressione più pura della natura umana. Siamo veri uomini solo per quanto siamo liberi. Molti diranno che questo è un ideale. Senza dubbio, ma tale che nella nostra entità tende alla superficie come elemento reale. Non è un ideale pensato o sognato, ma tale da avere vita e da annunciarsi con precisione anche nella forma più incompleta della sua essenza. Se l’uomo fosse un semplice essere naturale, sarebbe anche assurda la ricerca di ideali, vale a dire di idee che siano al momento inattive, ma la cui realizzazione sia richiesta (…) Vivere nell’amore per l’azione e lasciar vivere nella comprensione della volontà altrui è la massima fondamentale degli uomini liberi” (2).
L’ideale dello spirito libero implica dunque quello della pace, mentre l’ideale della pace non implica quello dello spirito libero. Ne consegue, quindi, che chi desidera veramente la pace dovrebbe anzitutto impegnarsi a fare di sé uno spirito libero.
Ma per fare di sé uno spirito libero (un Io), occorre in primo luogo evitare di lasciarsi trasportare in modo “timico” dall’utero o in modo “frenico” dal cervello: vale a dire, dalla propria natura (“stenica” o “astenica”).
Dice Steiner che quello dello spirito libero “non è un ideale pensato o sognato”, bensì un ideale che “nella nostra entità tende alla superficie come elemento reale”. Ciò vuol dire allora che si tratta di una realtà che è a un tempo una forza e una forma; della quale, tuttavia, coloro che si lasciano trasportare dall’utero sperimentano la sola forza (de-formandone l’idealità), mentre coloro che si lasciano traportare dal cervello sperimentano la sola forma (de-potenziandone la realtà).
Un ideale che “nella nostra entità – come dice Steiner – tende alla superficie come elemento reale” è infatti un ideale che risale, quale forza, dalla sfera inconscia del volere, coinvolge quella subcosciente del sentire, ma non può compiutamente realizzarsi se non s’incontra e non si coniuga con ciò che liberamente discende, quale forma, dalla sfera del pensare. Il pensare deve però scoprire tale forma, non inventarla: deve cioè ricercare quella propria e originaria della forza, e non escogitarne una a piacimento. In altri termini, è chiamato a scoprire quella appartenente all’ideale-reale prima che questo in noi si divida, presentandosi alla volontà solo come cieca forza reale e all’intelletto solo come impotente forma ideale.
Anziché andare alle “manifestazioni”, bisognerebbe andare dunque alle “essenze” e, in primo luogo, all’essenza di quell’impulso, altrimenti oscuro, che, in specie dagli inizi del Novecento, agita, scuote e travaglia, in modo più o meno tragico, le anime europee e occidentali.
Parliamoci chiaro: c’è “qualcosa” che, dal profondo di queste anime, vuol venire da tempo alla luce. Questo “qualcosa” viene però disconosciuto e abortito in maniera “spontanea” da coloro che si fanno guidare dall’utero e in maniera “forzata” da coloro che si fanno guidare dal cervello: vale a dire, dagli intellettuali. Si tratta infatti di un “qualcosa” di assolutamente nuovo cui non si può pertanto andare incontro, né dare creativamente forma, se ci si basa su vecchie idee, su antichi credi o sul solito modo di pensare.
Scrive Steiner: “Sono le ispirazioni che vogliono presentarsi agli uomini per la buona volontà del mondo spirituale, che però sono odiate dagli uomini stessi, e che di conseguenza si trasformano in selvaggi istinti animaleschi. Se infatti l’uomo non permette che si mostrino le ispirazioni che si vogliono avvicinare dal mondo spirituale, allora esse si trasformano in emozioni selvagge, in impulsi animaleschi” (3).
Ma in rapporto a questo – e nel corso di una conferenza del 1918 –, lo stesso Steiner ha anche detto: “Lasciate che ancora per trent’anni si insegni nelle nostre Università come si insegna oggi e avrete dopo questi trent’anni un’Europa devastata” (4).
Il problema, dunque, prima ancora che economico o politico, è culturale.
In Italia, ad esempio, – scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere (5) – “la moderazione politica, quella parte della democrazia che non si riconosce nella sinistra, non riesce a liberarsi di un’atmosfera di moderatume privo di slancio e di passioni, non riesce a mettere in campo cultura, fantasia, parole d’ordine e dunque, alla fine, neppure bandiere”.
D’accordo, ma il “moderatume privo di slancio e di passioni” non è appunto quello di coloro che si fanno guidare dal cervello? E le “parole d’ordine” e le “bandiere” sono forse cultura? O non sono proprio espressione di chi si fa guidare dall’utero? Galli della Loggia si dice ammirato “della straordinaria capacità della sinistra italiana di rinnovarsi culturalmente pur restando in certa misura sempre se stessa”, della sua “capacità di produzione e di autoriproduzione culturale” che le viene “innanzitutto dalla sua inclinazione/disponibilità a essere in sintonia con l’aria dei tempi, ad intercettare le tendenze ideali, le mode, le immagini, gli stilemi di un determinato momento storico, di assimilarli combinandoli con la propria vicenda e i propri presupposti ideologici, con la propria tradizione, e infine di rimodellarli per il proprio uso politico”. Tutto ciò – a suo dire – dipenderebbe, tra l’altro, da “una fortissima consapevolezza dell’importanza delle idee”, “del ruolo che nella politica ha la cultura” e “dalla capacità di produrre senso comune articolando il passaggio di materiali culturali dai luoghi alti dell’elaborazione delle idee all’ambito del consumo di massa delle stesse”.
Ma quale valore può avere un rinnovamento culturale o spirituale che consenta di restare (seppure “in certa misura”) sempre sé stessi? O il rimodellare “per il proprio uso politico”, assimilandoli e combinandoli con i “propri presupposti ideologici”, l’aria dei tempi, le tendenze ideali, le mode, le immagini o gli stilemi di “un determinato momento storico” (6)? E poi, quale “fortissima consapevolezza dell’importanza delle idee” può mai avere un movimento d’ispirazione materialistica? E se è vero, infine. quanto abbiamo udito dire poco fa da Steiner in ordine all’insegnamento universitario, è davvero un bene articolare “il passaggio di materiali culturali (sic!) dai luoghi alti dell’elaborazione delle idee all’ambito del consumo di massa delle stesse”?
La verità è un’altra. Coloro che dipendono dall’utero, quando non presumono di poter fare da sé (come nel caso del fascismo e del nazismo), sperano che coloro che dipendono dal cervello li aiutino a dar forma alla loro cieca forza, mentre i secondi (gli intellettuali) non possono far altro che sperare che i primi (le masse) li aiutino a dar forza alle loro impotenti forme (come nel caso del comunismo marxista).
Occorre fare attenzione, però, a non confondere l’utero col cuore. Scrive ad esempio Filippo Facci: “S’avverte il rischio che molti, segretamente, e non solo a sinistra, fraternizzino con notizie e suggestioni che accarezzino il cuore, il cuore che ieri ha continuato a manifestare nelle piazze mentre il cervello, si sa, è più casalingo” (7). Ma magari fosse il cuore a scendere in piazza! Il pensiero del cuore (l’”intelletto d’amore”) comprende infatti quelli dell’utero e del cervello, mentre il pensiero uterino (il “panziero”) esclude sia quello del cuore sia quello del cervello, così come il pensiero cerebrale (“computazionale”) esclude sia quello del cuore sia quello dell’utero.
Un conto, perciò, è avere una “fortissima consapevolezza” del “ruolo che nella politica ha la cultura”, altro è avere una “fortissima consapevolezza” di che cosa realmente sono, o dovrebbero essere, il pensiero e la cultura. “Ogni scienza – afferma al riguardo Steiner – sarebbe solo soddisfacimento di inutile curiosità, se non tendesse a elevare il valore dell’esistenza della persona umana (…) Il sapere ha valore soltanto se fornisce un contributo per lo sviluppo complessivo di tutta la natura umana” (8).
Del resto, ove si sapesse, o si avesse almeno sentore, di che cosa realmente sono il pensiero e la cultura, non si esiterebbe allora a battersi per emancipare istituzionalmente la vita culturale da quella politica e da quella economica, e per cominciare quindi a realizzare, grado a grado, quella “triarticolazione dell’organismo sociale” proposta, già nel 1919, da Rudolf Steiner.

Note:

01) Il Messaggero, 29 marzo 2003;
02) R.Steiner: La filosofia della libertà – Mondadori, Milano 1998, p.148 e 146;
03) R.Steiner: Risposte della scienza dello spirito a problemi sociali e pedagogici – Antroposofica, Milano 1974, p.160;
04) cit. in L’Archetipo – mensile di ispirazione antroposofica, anno VII, n°4, aprile 2002, p.20;
05) Corriere della Sera, 27 marzo 2003;
06) è proprio per questo che Steiner, subito dopo la fine della prima guerra mondiale, sottolineava che “i partiti esistenti sono ormai dei sopravissuti” e che è “urgente il dovere di cercare il vero progresso dell’umanità non in seno, ma fuori delle tradizioni di partito” – I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1980, p.163;
07) il Giornale, 31 marzo 2003;
08) R.Steiner: La filosofia della libertà, p.240.

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Di Francesco Giorgi
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