La matrioska

L

Abbiamo visto, nella nota: Intelligenza umana e intelligenza artificiale (1), che i sostenitori della cosiddetta Ipotesi forte dell’intelligenza artificiale (I.F.I.A.) si dicono convinti che “tutta l’attività mentale umana sarebbe programmabile su computer“, e, in una delle nostre “noterelle” (2), che uno dei padri dell’intelligenza artificiale, Marvin Minsky (del Massachusetts Institute of Technology), alla domanda se un giorno i robot domineranno la Terra, così risponde: “Sì, ma non dobbiamo temere questa visione, poiché noi stessi diventeremo dei robot. Quando noi, con l’aiuto della nanotecnologia, avremo sviluppato sostituti del nostro corpo e del nostro cervello, vivremo più a lungo, saremo più saggi e godremo di capacità oggi impensabili”.
Ma come si possono avere simili idee?
E’ di sicuro impossibile rispondere a questa domanda se non si ha la più pallida idea di cosa o, per meglio dire, di chi sia un’idea.
Per cominciare a farcene almeno approssimativamente un’immagine, potremmo paragonare l’idea a una matrioska, ossia a una “bambola di legno – come recita lo Zingarelli – raffigurante una contadina russa in abito vivacemente colorato, smontabile in due parti e contenente una serie di bambole simili di grandezza decrescente, che si possono inserire l’una nell’altra”. Immaginiamo dunque una matrioska composta di tre bambole delle quali, al contrario di quanto avviene nella realtà, sia visibile solo la più piccola. La rappresentazione di un’idea si dà infatti alla coscienza così come la bambola più grande di una normale matrioska si dà alla vista, ma, anziché contenere come questa cose “simili e di grandezza decrescente”, è contenuta (come un nocciolo) in realtà dissimili (non rappresentabili) e di forza crescente: ovvero, in un’anima e in uno spirito.
Quando col pensiero si afferra un’idea è come se si afferrasse dunque il “corpo” (eterico) di un essere o di un’entità (spirituale): vale a dire, di un soggetto che, per mezzo appunto di quell’idea, veicola il proprio sentire e il proprio volere.
Come un bambino può giocare con una matrioska senza sapere nulla delle bambole che racchiude, così l’uomo può giocare con un’idea senza sapere nulla dei sentimenti, degli impulsi di volontà e dell’entità in cui è racchiusa e di cui è veicolo. Ma se l’ignoranza del primo è priva di conseguenze, quella del secondo ne comporta invece di gravi.
“Le entità arimaniche – spiega ad esempio Steiner – si scatenano nell’incosciente dell’uomo, vale a dire nella sua volontà, nel suo metabolismo e nelle sue membra. Tentano d’insufflare agli uomini un interesse vivissimo per ciò che è minerale e materiale, e ancor di più, per ciò che appare sotto forma meccanica, di macchina. Esse ambirebbero distruggere ciò che la terra ha conservato delle vestigia dell’antica Luna, dell’antico Sole, dell’antico Saturno. Ambirebbero anche la scomparsa del regno animale, del regno vegetale e dell’uomo fisico attuale, affinché non restino che le leggi fisiche del regno minerale. Il loro scopo è essenzialmente sottrarre la Terra ai suoi abitatori umani e creare, in qualche modo, un nuovo Saturno interamente fatto di macchine, un futuro universo interamente meccanizzato” (3).
Dunque le idee dei sostenitori dell’I.F.I.A. e di Minsky, ricordate all’inizio, possiamo già metterle in conto a queste entità: ossia, a degli esseri che nutrono – come abbiamo appena visto – precise intenzioni e che, per realizzarle, mirano a evocare, attraverso le idee, appropriati o adeguati sentimenti.
Si ascolti, ad esempio, il seguente e istruttivo racconto di Maria Giovanna Maglie. Nel 1965, Oriana Fallaci “era andata a Redondo Beach, ai laboratori di tecnologia spaziale, per incontrare il genio del cervello elettronico, Herb Rosen, anzi HR, anzi R, come diceva lui, per sintetizzare. R e F si scontrarono alla grande: lui animato dalla passione violenta per il suo cervellone elettronico che tutto poteva, perfino imparare a memoria la Divina Commedia in un quarto d’ora, ma non aveva tempo per queste sciocchezze, interessandogli solo il futuro; lei sempre più furiosa a sentirgli definire ciarpame Shakespeare, inutili il Partenone e il tempio di Ramses, la cappella Sistina, qualunque opera del passato, qualunque cosa creata prima della moderna tecnologia. Distruggere tutto, ordinava R, radere al suolo e ricostruire nel modo più comodo, più razionale, meno costoso” (4).
Non si deve tuttavia dimenticare che l’uomo è esposto, non solo alla moderna (e in specie tecnico-scientifica) tentazione arimanica, ma anche all’anti-moderna (e in specie laico-umanistica o clerico-religiosa) tentazione luciferica.
“Lucifero – spiega infatti Steiner – è la potenza che esercita nell’uomo tutte le esaltazioni, tutti i falsi misticismi, l’orgoglio che spinge l’uomo ad elevarsi al di sopra di se stesso e – fisiologicamente – tutto ciò che turba l’ordine del sistema sanguineo dell’uomo, per farlo uscire da se stesso. Arimane è la potenza che rende l’uomo arido, prosaico, “filisteo”, che ossifica esageratamente i corpi e che trascina l’uomo alle superstizioni materialistiche” (5).
Il primo, in qualità di spirito della “seduzione”, si fa quindi forte di una bellezza (se laico-umanistica) che include solo astrattamente la verità e la moralità, o di una moralità (se clerico-religiosa) che include solo dogmaticamente o autoritariamente la verità e la bellezza, mentre il secondo, in qualità di spirito della “menzogna” e dell’”avversione”, si fa forte di una “verità” che esclude tanto la bellezza che la moralità. Come si vede, entrambi impediscono all’uomo di prendere piena coscienza dell’idea (e quindi di sé): di questa, infatti, Lucifero offre il succo, ma non la scorza, Arimane la scorza, ma non il succo,
Scrive ancora Steiner: “Persistere nell’essere originario, voler conservare l’originaria e ingenua bontà divina attiva nell’uomo, volersi arrestare tremando davanti al pieno uso della libertà, in un mondo come l’attuale in cui tutto è predisposto per lo sviluppo della libertà umana, finisce per condurre l’uomo a Lucifero, il quale vorrebbe veder rinnegato il mondo attuale. Abbandonarsi all’essere attuale, volere che domini soltanto la naturalezza del mondo raggiungibile dall’intelletto che si mantiene neutrale di fronte al bene, voler sperimentare l’uso della libertà soltanto nell’intelletto, in questo mondo attuale nel quale l’evoluzione deve venir continuata in regioni più profonde dell’anima, perché in quelle superiori domina la libertà, finisce per condurre l’uomo ad Arimane, il quale vorrebbe vedere il mondo attuale interamente trasformato in un cosmo di essenza intellettuale” (6).
Proviamo, per esemplificare, a considerare l’idea della “pace” e l’idea della “guerra”, dal momento che si tratta di due idee oggi molto discusse. Ebbene, non è forse sintomatico (sul piano politico) che, in nome di quella della pace, e contro quella della guerra, portata avanti dagli americani, dagli inglesi e da altri paesi europei e non europei, sia venuto a prendere corpo uno schieramento, non solo – com’è ovvio – di arabi e islamici, ma anche di cattolici, di “girotondini”, di “movimentisti”, di nazionalisti (all’Adriano Tilgher) e di rappresentanti sia della sinistra che della destra (tra i quali, ad esempio, Le Pen)? E cos’altro accomuna queste forze se non appunto il collettivismo, e quindi l’anti-modernità?
Ma ciò vuol forse dire che, per essere moderni, bisogna essere fautori della guerra? No, davvero. Vuol dire, piuttosto, che bisognerebbe restituire all’idea della guerra la sua originaria valenza spirituale, così da permetterle di superare tanto la rappresentazione materialistica che se ne fa Arimane (in chiave “militare”, di “competizione” economica o di “lotta per l’esistenza”) quanto l’imbelle e vacuo sentimentalismo (“pacifista”) che le contrappone Lucifero. “Non crediate – dice infatti il Cristo – che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34).
Ma cosa significa “restituire alla guerra la sua originaria valenza spirituale”? Significa in primo luogo concepirla – sull’esempio dell’Arcangelo Michele, principe appunto delle “milizie celesti” – come una guerra d’idee, e non di corpi, e per ciò stesso come una guerra interiore e spirituale, e non esteriore e materiale. Solo chi non ha il coraggio di fare guerra al “drago” del proprio egoismo, vale a dire al proprio intellettualismo e alla propria natura psicofisiologica, si riduce infatti a fare guerra al fratello.
“In origine – ricorda in proposito Evola – l’Islam ortodosso concepì un’unica forma di ascesi: quella legantesi appunto al Jihad, alla “guerra santa”. La “grande guerra santa” è la lotta dell’uomo contro i nemici che egli porta in sé. Più esattamente, è la lotta del principio più alto dell’uomo contro tutto quel che in lui vi è di soltanto umano, contro la sua natura inferiore e ciò che è impulso disordinato e attaccamento materiale” (7). Qui Evola sbaglia, però, perché i “nemici” che l’uomo “porta in sé”, la sua “natura inferiore” e “ciò che è impulso disordinato e attaccamento materiale” hanno sempre a che fare con il sub-umano o con il super-umano, ma mai con l’umano. Comunque sia, se non si vuole che anche questo faccia la stessa fine di tanti altri “buoni propositi”, occorre cominciare allora a combattere, con serietà d’intenti e rigore di pensiero, l’odierna cultura materialistica e, in particolare, la sua espressione cosiddetta “scientifica”.
“Per tutta la vita – ha detto al riguardo Steiner, in una conferenza del 1922 – non è possibile un giusto interesse umano, se non viene destato un vero interesse per il mondo a quindici, sedici anni. Se il giovane di quindici, sedici anni impara soltanto la teoria di Kant-Laplace e quanto si può imparare mediante l’astronomia e la astrofisica odierna, se gli si cacciano in testa soltanto tali rappresentazioni del cosmo, nei rapporti sociali diventa un essere come sono gli uomini della civiltà moderna, uomini che, partendo da impulsi antisociali, urlano invocando ogni sorta di istituzioni sociali, ma nelle loro forze psichiche portando ad espressione proprio l’elemento antisociale” (8).
Suvvia! ma come si fa a pensare d’insegnare all’essere umano (per dirne solo alcune) che altro non è che un “animale intelligente”, uno “psicozoo” o un “robot”, che viene dal nulla e tornerà al nulla, che la sua esistenza, non essendoci libertà, è in balìa del “caso” o della “necessità”, che è il cervello, e non lui, a pensare e decidere, che esiste la quantità (o il quanto), ma non la qualità, e aspettarsi poi che questo stesso essere si comporti, nei riguardi di sé stesso e del prossimo, in modo umano, cioè a dire saggio, benevolo e responsabile?
Non si può dare perciò torto a Steiner quando afferma: “Siamo arrivati a una scienza grandiosa, ma questa scienza ha purtroppo la caratteristica di non sapere nulla e di espellere con la sua ignoranza ogni elemento vivente dalla cultura e dalla civiltà umane” (9).
Fatto si è che chi semina il vento del materialismo (palese od occulto) raccoglie, prima o poi, la tempesta della guerra. Quella tempesta che mai sono riusciti, e mai riusciranno peraltro a scongiurare tutti coloro che, arrestandosi “tremando – come dice Steiner – davanti al pieno uso della libertà”, s’illudono, in un modo o nell’altro, di poter far girare all’inverso l’orologio della storia (e di poter così rinunciare all’”anima cosciente”).
Come abbiamo cercato di mettere in luce in varie nostre note, dire “modernità” equivale però a dire “ego”. Il compito è dunque quello di andare al di là dell’ego (al di là della coscienza materialistica dell’Io), e non quello di tornare a una qualsiasi forma di non-ego, e quindi di non-Io. “Il Cristo – afferma infatti Steiner – è l’essere che non conosce gruppi, ma solo singoli individui, e interpreta male l’essere del Cristo chi crede che esista una qualche forma di gruppo basata su di lui” (10).
Certo, l’ego e la modernità sono una croce. Ma proprio il Cristo insegna a vincere la croce per mezzo della croce: ovvero, a vincere la morte per mezzo della morte. E’ solo infatti con la morte della morte (e di tutta la cultura che la promuove e la rappresenta) che potrà darsi un’umana resurrezione.

Note:

01) nota 9 marzo 2003;
02) noterella 4 aprile 2003;
03) R.Steiner: Entità ostacolatrici – Miriadi, numero speciale di Table Ronde 16/2000, pp. 70-71;
04) M.G.Maglie: Oriana – Mondadori, Milano 2002, p.50;
05) R.Steiner: Entità ostacolatrici, p.13;
06) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p.99;
07) J.Evola: Economicismo – Settimo Sigillo, Roma 2001, p.66;
08) R.Steiner: Educazione e insegnamento fondati sulla conoscenza dell’uomo – Antroposofica, Milano 1998, p.74;
09) ibid., p.98;
10) R.Steiner: La responsabilità dell’uomo per l’evoluzione del mondo – Antroposofica, Milano 2002, vol.II, p.198.

F.G.


Roma, 8 aprile 2003

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Di Francesco Giorgi
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