Il cadavere vivente

I

Nel corso di una conferenza tenuta a Stoccarda nel febbraio del 1921, Steiner pronunciò le seguenti parole: “Nella scienza dello spirito ci si educa a formulare giudizi sulla base dell’esperienza, mentre la presunta esperienza degli attuali scienziati è solo un’illusione: essi parlano molto di esperienza, ma giudicano poi seguendo solo una mera intellettualità astratta” (1).
Ma perché abbiamo bisogno di educarci a formulare i nostri giudizi sulla base dell’esperienza? Perché come insegnava Goethe, e come insegna la scienza dello spirito, il fenomeno è già teoria, e questa, in quanto “implicita” nel fenomeno, esige appunto di essere “scoperta” o “esplicitata”, e non – come usa fare l’”intellettualità astratta” – “inventata”, “escogitata” o “congetturata”; per la scienza dello spirito, in altre parole, il fenomeno è la teoria così come si dà ai sensi, mentre la teoria è il fenomeno così come si dà al pensiero o allo spirito.
Ebbene, sono passati più di ottant’anni e le cose non solo non sono migliorate, ma sono andate anzi peggiorando.
Ce ne dà un ultimo esempio l’intervista concessa a Stefano Lorenzetto dal chirurgo Vittorio Staudacher: ossia, dal “grande professore” che, giunto alla soglia dei 90 anni, si accontenta ormai – come scrive l’intervistatore – “di essere il dominus di Castel Ivano, un maniero di epoca longobarda a 40 chilometri da Trento, dove nacque il 20 ottobre 1913 e dove s’è ritirato a vivere dopo aver regnato per più di mezzo secolo sulla sanità milanese” (2).
Eccone uno stralcio.

Lei è stato un pioniere dei trapianti. Nessun pentimento?
“Sono l’arma dell’oggi”.
Vent’anni fa paventava il rischio di “creare un uomo-chimera composto a mosaico di visceri di varia provenienza, con la conseguente perdita della sua personalità”. Col trapianto delle mani, e presto della faccia, non pensa che ci siamo arrivati?
“L’uomo è quello che è per il suo cervello. Homo sapiens, no? E il trapianto del cervello non si potrà mai fare, perché non si può togliere la vita a un individuo per regalarla a un altro. Per togliergli il cervello lo dovresti ammazzare”.
Perché viene taciuto che il “cadavere” da cui si prelevano gli organi per i trapianti è caldo, ha il cuore che batte, il sangue che circola, continua a urinare?
“Perché è terribile. Per non impressionare la gente. Sembrerebbe il saccheggio di un vivente”.
Durante l’espianto si manifestano nel “cadavere” tachicardia, ipotensione, sudorazione e movimenti degli arti e del tronco, tanto da rendere necessaria la sedazione con sostanze al curaro.
“La vita vegetativa continua. E’ vivo. Ma non come uomo: il cervello non funziona più.
Peter Singer, presidente dell’Associazione internazionale di bioetica, ha affermato che “la morte cerebrale non è altro che una comoda finzione”.
“L’elettroencefalogramma del donatore è piatto. Non s’è mai visto uno che torni indietro da un Ecg piatto”.
Se il trapianto è secondo natura, come mai il corpo rigetta l’organo “ospite” e i trapiantati sono condannati ad assumere ciclosporina per il resto della loro vita?
“E’ solo un fatto immunitario. Le cellule non si riconoscono fra di loro”.

Bene, proviamo allora a capire, seppur brevemente, quanto di questi giudizi si basi sull’esperienza” e quanto invece sulla “intellettualità astratta”.
“L’uomo è quello che è – afferma Staudacher – per il suo cervello”. Ma riflettiamo: se l’uomo fosse “quello che è per il suo cervello” o, più in generale per la sua testa, vorrebbe dire allora che non sarebbe quello che è per il suo restante organismo, e che il cervello e la testa sarebbero un Io, mentre il restante organismo sarebbe un non-Io. Colui che “è vivo” e in cui “la vita vegetativa continua” è infatti – per Staudacher – un non-uomo, e per ciò stesso un non-Io.
Ma se fosse così, come spiegare allora che il rigetto interessa l’intero organismo? Dice Staudacher che ciò dipenderebbe dal fatto che “le cellule non si riconoscono fra di loro”. Sarebbe più corretto dire, tuttavia, che le cellule dell’individuo nel quale viene impiantato o trapiantato un organo riconoscono quelle dell’individuo dal quale è stato espiantato come “estranee”, e dunque come un non-Io. E qui è il punto: come potrebbero, delle cellule che fossero un non-Io, riconoscere come “estranee” delle cellule che sono pure e certamente un non-Io? E’ evidente che solo delle cellule che recassero, al pari di quelle del cervello, l’impronta dell’Io potrebbero riconoscere come “estranee” delle cellule che recassero un’impronta diversa (quella cioè di un altro Io).
Come si vede, la tesi non regge; e non regge perché Staudacher confonde – come quasi tutti fanno – l’Io con la coscienza dell’Io e, di conseguenza, considera il cervello portatore del primo, e non della seconda. In realtà, il vero Io (spirituale), quale essenza dell’intero organismo, si trova e agisce al centro (laddove è il cuore), esplica la propria attività vegetativa (incosciente) nella parte inferiore (metabolica) e si riflette in quella superiore (cefalica) dove prende coscienza di sé (quale homo sapiens). Quando muore il cervello, non muore ancora perciò l’Io, bensì si spegne la coscienza dell’Io.
Dice inoltre Staudacher che il rigetto è “solo un fatto immunitario”. Ma cosa vuol dire quel “solo”? Vuol dire che si sta tentando, più o meno deliberatamente, di minimizzare il fenomeno. Vale la pena sottolinearlo perché l’”intellettualità astratta”, per difendere e mantenere in piedi le proprie teorie, si trova non di rado nella necessità di minimizzare, esorcizzare o negare i fenomeni.
Del minimizzare ci ha appena dato esempio Staudacher. Dell’esorcizzare ce lo può invece offrire l’affermata idea del “portatore sano”. Ove si teorizzi, infatti, che la “causa” delle malattie è costituita dagli agenti patogeni (microbi, batteri, virus), tutte le volte in cui si riscontra la presenza di tali agenti nell’organismo dovrebbe necessariamente riscontrarsi anche quella della malattia. Ma l’esperienza insegna che non è così. E cosa si fa allora? Si riesamina o si rimette forse in discussione la teoria? Macché, si tira invece fuori la “prelibata” idea del “portatore sano” e ci si mette il cuore in pace (basta la parola!). Un buon esempio del negare ci è dato infine dal modo in cui molti medici e scienziati si pronunciano sui farmaci omeopatici (3). Non riuscendo a darsi ragione (al pari peraltro degli stessi omeopati) del perché questi, a dispetto delle odierne teorie fisiche, riescano a sprigionare un’azione, non sanno allora far di meglio che negarne l’efficacia: proprio quell’efficacia, però, che viene ampiamente e durevolmente dimostrata dall’esperienza.
Ma torniamo a noi. “Non s’è mai visto uno – dice Staudacher – che torni indietro da un Ecg piatto”. Il problema, giacché si tratta di stabilire se la morte cerebrale sia o meno una “comoda finzione”, è però quello di sapere, non se chi ha “un Ecg piatto” possa o non possa tornare “indietro”, bensì se sia andato o non andato “avanti”: ovvero, se sia andato o non andato nell’al di là. E che non vi sia del tutto andato lo prova il fatto che Staudacher, non potendo negare i fenomeni ricordati da Lorenzetto, si vede costretto a evocare la grottesca, se non macabra figura di un “cadavere vivente”.
Aggiunge, al riguardo, che di tali fatti si tace “per non impressionare la gente”, e perché l’espianto “sembrerebbe”, altrimenti, “il saccheggio di un vivente”.
Non è però che l’espianto, se non si tacesse, “sembrerebbe” il saccheggio di un vivente; è che, se si parlasse, si rivelerebbe subito per quello che è: per il “saccheggio”, appunto, “di un vivente”.
Tacere un fenomeno equivale però a negarlo, e negare un fenomeno equivale a negare la scienza e ad affermare un dogma. Ai tempi di Galilei, si tentò ad esempio di negare, in nome della Bibbia e di Aristotele, l’esistenza dei satelliti di Giove.
Tutti concordano, in ogni caso, sul fatto che la scienza dovrebbe essere al servizio dell’uomo, e non viceversa. Già, ma qual è quell’uomo del quale la scienza dovrebbe essere al servizio? Questo è il problema. Difatti, ove gli scienziati si mettano in testa che l’uomo è un animale, lo serviranno come un animale (ed è in specie sugli animali che si conducono infatti le ricerche); ove si mettano in testa (come per lo più accade oggi) che è una macchina, lo serviranno come una macchina (togliendone o cambiandone all’occorrenza i pezzi); e ove si mettano in testa che è una “creatura di Dio”, senza però far derivare da questa convinzione una scienza diversa (una scienza spirituale), lo serviranno materialisticamente come gli altri, ma recandosi a messa la Domenica o impegnandosi, nei giorni feriali, in qualche opera pia.
E’ dunque inutile o ipocrita biasimare o condannare gli orrori pratici se non si ha la voglia o il coraggio di risalire, da questi, agli errori teorici, così come è inutile affermare e riaffermare che la scienza deve essere al servizio dell’uomo se non si ha la voglia o il coraggio di conquistarsi una vera scienza dell’uomo.
Se ci si conquistasse tale scienza – vale a dire, una scientia scientiarum o un’antroposofia – non vi sarebbe tuttavia alcun bisogno di mettere le altre al suo “servizio” poiché essa costituirebbe, per tutte (e per la cultura nel suo insieme), una spontanea, costante e soprattutto umana fonte d’ispirazione.
Note:

01) R.Steiner: Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale – Antroposofica,
Milano 1988, pp. 25-26;
02) il Giornale, 18 maggio 2003;
03) cfr. Come fidarsi? – 1 luglio 2002.

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Di Francesco Giorgi
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