Riferisce Cristiano Gatti che, in Norvegia, una madre di 24 anni, Svanhild Jensen di Kvaenangen, è stata “privata improvvisamente delle due bambine di tre anni e un anno, nonché bollata con la pubblica patente di “soggetto lievemente deficiente mentalmente””, poiché nel test d’intelligenza, “che in Norvegia viene talvolta applicato dai servizi sociali per stabilire, assieme ad altri fattori, la capacità del genitore”, ha ottenuto 53 punti. “Stando ai valori previsti dai regolamenti – ricorda infatti Gatti – una madre intelligente deve ottenere punteggi compresi tra gli 85 e i 115 punti” (1).
Egli deplora ovviamente il fatto e conclude così il suo articolo: “Qualcosa non quadra, nell’idillio degli invidiati paradisi nordici. Ai primi test, denunciano sinistre lacune nel valore più significativo: sono “lievemente deficienti” nel quoziente di umanità”.
C’è poco da ironizzare, però, perché gli odierni psicologi sarebbero capacissimi (sempre che non l’abbiano già fatto) di inventarsi un test per misurare negli individui il “quoziente di umanità”. Ancora stentano infatti ad accorgersi che l’”umanità” è una realtà qualitativa e non quantitativa: una realtà che è chiamata tra le altre cose a realizzare un giusto e sano equilibrio tra l’unilaterale mondo luciferico dell’incommensurabile e l’unilaterale mondo arimanico del commensurabile.
“Gli esseri luciferici e arimanici – scrive infatti Steiner – si oppongono all’ordine stabilito fra incalcolabile e calcolabile dagli esseri divino-spirituali”, mentre l’Arcangelo Michele sta “col proprio essere nell’incalcolabile” stabilendo “il pareggio fra l’incalcolabile e il calcolabile”, e il Cristo “opera in piena libertà nel calcolabile” rendendo “così innocuo l’elemento arimanico che solo brama il calcolabile” (2).
Ma con quale mezzo Arimane “brama il calcolabile”? Per mezzo del pensiero intellettuale vincolato al sistema neurosensoriale, e quindi al corpo fisico.
“Non a torto – osserva appunto Hegel – si equiparò questo pensare al calcolare, e viceversa il calcolare a questo pensare. Nell’aritmetica si prendono i numeri come un che vuoto di concetto, come quello che, all’infuori della sua uguaglianza e ineguaglianza, vale a dire all’infuori del suo rapporto affatto estrinseco, non ha alcun significato, come quello che né è in se stesso un pensiero, né di cui nemmeno la relazione è un pensiero. Quando si calcola meccanicamente che tre quarti moltiplicati per due terzi fanno un mezzo, un’operazione simile contien su per giù tanto pensiero (o, meglio, tanto poco pensiero) quanto il calcolo se in una certa figura possa aver luogo questa o quella specie di sillogismo” (3).
Una cosa è dunque il numero che serve, in quanto “vuoto di concetto” (4), a comprendere tutto ciò che nella realtà è “vuoto” di vita, anima e spirito, altra è il numero che “brama” o pretende, nonostante sia “vuoto di concetto”, di ridurre a sé (e quindi di calcolare) la vita, l’anima e lo spirito.
Non è dunque il numero, ma la “brama” (o la “fissazione”) del numero (dell’intelletto o del calcolabile) a rivelare l’occulta attività di Arimane.
“L’intento di Arimane – ribadisce infatti Steiner – è di fare una macchina cosmica di quanto egli emana dalla terra negli spazi universali. Il suo ideale è unicamente: “Misura, numero, peso””(5); e spiega ancora: “Arimane si è appropriato dell’intellettualità in un’epoca in cui non poteva ancora interiorizzarla in sé. Nel suo essere essa rimaneva una forza che nulla aveva a che fare col cuore e con l’anima. L’intellettualità emana da Arimane come un cosmico impulso gelido, senz’anima (.) Michele invece non si è mai appropriato dell’intellettualità. Egli la amministra come forza divino-spirituale, sentendosi unito con le potenze divino spirituali. E compenetrando l’intellettualità, egli mostra anche come essa contenga la possibilità di essere un’espressione del cuore e dell’anima, altrettanto bene quanto lo è della testa e dello spirito” (6).
In altri termini, l’intellettualtà o la “ragione strumentale” (Horkheimer) può dirsi umana quando è espressione dell’uomo intero (del suo essere “triarticolato”), mentre può dirsi dis-umana o in-umana quando è espressione della sola testa o, più precisamente, del solo cervello (della sola neo-corteccia). Essa infatti, non potendo essere appunto che “strumentale”, quando non è messa coscientemente al servizio dell’essere dell’uomo (e, attraverso l’uomo, del Cristo), si trova allora incoscientemente al servizio di quello di Arimane.
Il che significa, per dirla in modo ancor più radicale, che l’intelligenza della testa, quando non è messa coscientemente al servizio dell’amore (dell’intelligenza del cuore o dell’Io), si trova allora incoscientemente al servizio dell’intelligenza dell’avversione o dell’odio.
Ne ha peraltro fornito un recente esempio Indymedia (un sito internet dei no-global) che, all’indomani dell’incidente capitato a Mario Placanica (il carabiniere accusato e prosciolto per l’omicidio di Carlo Giuliani durante il G8 di Genova, nell’estate del 2001) ha ospitato – stando a quanto riporta Mario Giordano – alcuni messaggi di questo tipo: “Placanica si è schiantato contro un albero. Evviva”; “Peccato solo che non sia morto”; “Alleluja fratelli”; “Semplicemente sublime il piacere che questa notizia mi provoca”; “Io per ora me la godo”; “Esultiamo compagni”; “Io correrei in Calabria a donare il sangue a quel carabiniere. Ma solo per un motivo: sono sieropositivo”; “Il carabiniere del G8 è grave, forse rimane paralizzato, peccato che si salvi, ma almeno patisca atroci tormenti e resti per sempre su una carrozzella”; “Che possa perire dopo atroci e lunghe sofferenze” (7).
Ma torniamo al “cefalocentrismo”. Chi ha avuto la bontà di leggere la nostra nota Il cadavere vivente (8), ricorderà che il “grande professore” e chirurgo Vittorio Staudacher, a un certo punto dell’intervista concessa a Stefano Lorenzetto, afferma appunto, per giustificare i trapianti: “L’uomo è quello che è per il suo cervello. Homo sapiens, no?”.
Questo non è però che un esempio del “cefalocentrismo” oggi imperante: della convinzione, cioè, che il pensare, il sentire, il volere e l’uomo stesso risiedano tutti nel cervello; il bello è poi che, in quei pochi casi in cui non è così, si è convinti allora – come Antonio Damasio (Direttore del dipartimento di Neurologia al Medical Center dell’Università dello Iowa) – che “prima di tutto noi siamo corpo”, che “non c’è pensiero senza esperienza corporea”, e che, in virtù del fatto che “le neuroscienze negli ultimi anni ci hanno consentito di tracciare una biologia dei sentimenti”, siamo oggi in grado di dire non solo “come si generano, che tracciati cerebrali seguono e quali aree coinvolgono”, ma “possiamo persino avventurarci a spiegare di che materia sono fatti” (9).
E’ quantomeno singolare, perciò, deplorare – come fa Gatti – che vengano tolte le figlie a una madre perché non ha ottenuto il quoziente richiesto dal test d’intelligenza e non deplorare al tempo stesso il “cefalocentrismo” o il materialismo delle scienze attuali. Un “cefalocentrismo” e un materialismo che sono già da tempo passati, oltretutto, dalla teoria alla pratica.
Sempre in loro (tacito) nome, ad esempio, è imminente l’introduzione dell’uso del computer (cioè a dire, del “calcolatore”) nelle prime classi della scuola elementare italiana.
Nella relazione “dell’Osservatorio nazionale sulla sperimentazione della riforma avviata lo scorso anno in 251 istituti scolastici” – scrive Francesca Angeli – si mette infatti in evidenza “come l’uso del computer fin dalla scuola primaria abbia “concorso al perseguimento di diversi obiettivi” favorendo tra l’altro “un approccio spontaneo e ludico alle nuove tecnologie; stimolando e rafforzando le capacità di orientamento spaziale; sollecitando le potenzialità creative; potenziando il coordinamento oculo-manuale; sviluppando capacità logiche”” (10).
Bene, proviamo allora a esaminare in breve e con un minimo di spregiudicatezza queste affermazioni.
L’uso del computer favorirebbe “un approccio spontaneo e ludico” alle nuove tecnologie?
Può darsi, ma quale bisogno c’è di un approccio del genere? Quando è stato inventato il telefono, si è forse pensato d’introdurlo nella scuola primaria così che i bambini lo approcciassero in modo “spontaneo e ludico”? Per quale ragione, infatti, i bambini dovrebbero imparare a giocare con una macchina (che per forza di cose impone loro di adattarsi al suo modo di funzionare o “pensare”) e non con un qualsiasi altro oggetto (come ad esempio i vecchi pupazzi) che meglio si presti a essere trasfigurato e manipolato dalla loro immaginazione e fantasia?
L’uso del computer stimolerebbe e rafforzerebbe le capacità di orientamento spaziale?
Ma di quale spazio si parla? Di quello naturale o di quello virtuale? O si vorrebbe far credere che il digitare, stando seduti davanti a un computer con gli occhi fissi allo schermo, potenzi tali capacità meglio e più di quanto abbiano fatto finora il correre, il saltare o l’arrampicarsi?
L’uso del computer stimolerebbe le “potenzialità creative”?
Ma parlando di “potenzialità creative” a chi si pensa? Agli artisti, quali magari Michelangelo, Raffaello, Beethoven o Goethe, o agli odierni “animatori” e “pubblicitari”? Ovvero, a quei cosiddetti “creativi” che, all’interno di un sistema dato, sanno “immaginare” di tutto, ma che, all’infuori dello stesso, non sanno immaginare un bel niente?
L’uso del computer potenzierebbe il coordinamento oculo-manuale?
E perché non dire allora che l’uso dell’automobile potenzia il coordinamento podo-oculare, che quello della macchina da cucire potenzia il coordinamento podo-manuale o magari che la masturbazione potenzia quello genito-manuale?
L’uso del computer svilupperebbe la capacità logica?
E’ vero, ma di quale logica? Di quella appunto reificata nel computer: ovvero, di una logica morta e meccanica che, nulla avendo a che vedere con la logica del vivente, con quella dell’anima e con quella dello spirito (del Logos), ben poco aiuta l’essere umano a conoscere e realizzare se stesso.
Non ci si fraintenda, stiamo qui avversando l’uso del computer nella scuola primaria, non l’uso del computer. Educare un bambino così che sia più tardi capace, tra l’altro, di utilizzare, se necessario, uno strumento è cosa infatti ben diversa dall’affidare a questo stesso strumento il compito (pur se parziale) di educarlo.
Ci sarebbe dunque da chiedersi quali davvero siano i “diversi obiettivi” che l’introduzione dell’uso del computer fin dalla scuola primaria vuole “concorrere a perseguire”. Tra questi – se ne può essere certi – non c’è comunque quello di educare in modo sano i bambini. Di tutto infatti ci si occupa e preoccupa fuorché di conoscere sul serio la loro natura, le loro reali esigenze, e ciò che si deve perciò fare per essere costantemente e amorevolmente in sintonia con le diverse fasi del loro sviluppo.
“Nell’arte dell’educare, – afferma Steiner – si tratta di possedere la conoscenza dei principi che costituiscono l’essere umano, e del loro sviluppo in tutti i particolari. Occorre sapere su quale parte dell’entità umana si ha da influire in un dato periodo dell’esistenza e come una tale azione debba procedere” (11).
“Io attendo – dice ancora -, mentre educo nell’uomo tutto quello che è proprio suo, fino a quando quello che è proprio suo afferrerà ciò che io ho educato in lui. Così io non m’intrometto brutalmente nello sviluppo proprio dell’uomo, ma preparo il terreno al suo sviluppo individuale che avviene dopo la pubertà. Se do all’uomo un’educazione intellettualistica prima della pubertà, se gli insegno dei concetti astratti o delle osservazioni nettamente delimitate, e non delle immagini che crescono ed emanano vita, allora io lo opprimo, mi intrometto brutalmente nel suo sé” (12).
Note:
01) il Giornale, 25 luglio 2003;
02) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, pp.151,152,153;
03) G.W.F.Hegel: Scienza della logica – Laterza, Roma-Bari 1974, vol. I, pp.34-35;
04) cfr. Concetto e numero, 20 febbraio 2002;
05) R.Steiner: op.cit., p.152;
06) ibid., p.102;
07) il Giornale, 6 agosto 2003;
08) cfr. Il cadavere vivente, 21 maggio 2003;
09) L’espresso, 21 agosto 2003, pp.133, 134-135;
10) il Giornale, 16 luglio 2003;
11) R.Steiner: L’educazione del fanciullo dal punto di vista della scienza dello spirito in Problemi spirituali – Carabba, Lanciano 1938, p.73;
12) R.Steiner: Educazione del bambino e preparazione degli educatori – Antroposofica, Milano 2002, p.109.