19/10/2003

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Nel corso di un’intervista, a Stefano Lorenzetto che gli dice: “Lei sostiene che l’omeopatia è un imbroglio”, Luigi Garlaschelli, docente di chimica all’Università di Pavia, così risponde: “Se funzionasse andrebbe contro tutti i principi della fisica, della chimica e della biologia” (il Giornale, 19 ottobre 2003).
Non ringrazieremo mai abbastanza Garlaschelli per averci finalmente svelato il motivo per il quale numerosi e autorevoli membri della cosiddetta “comunità scientifica” si ostinano, contro ogni evidenza, a negare l’efficacia dei farmaci omeopatici. Il che, oltretutto, ci aiuta anche a capirli. Come pretendere, infatti, che con tutto il daffare che hanno, trovino pure il tempo, ove ammettessero il “funzionamento” dell’omeopatia, di mettersi a ripensare non “tutti”, ma alcuni dei “principi della fisica, della chimica e della biologia”? Negare il fenomeno in nome della teoria è di certo meno faticoso che negare la teoria in nome del fenomeno.
Ciò che Garlaschelli oggi rivela, noi lo avevamo però sospettato. Nella nota Spirito scientifico e spirito dogmatico (12 aprile 2001), dopo esserci chiesti come si comporta al riguardo la medicina cosiddetta “scientifica”, avevamo infatti scritto (ci si perdoni l’autocitazione): “prende il farmaco omeopatico, lo analizza e, non trovandovi alcunché di chimicamente rilevabile, giudica che non possa produrre alcun effetto (a coloro che usano rifarsi, a questo punto, al cosiddetto “effetto placebo” sarà bene ricordare che la medicina omeopatica, non solo viene da lungo tempo applicata, e con successo, in campo pediatrico e veterinario, ma dispone anche di propri “placebo”). Non si dice dunque: “Poichè questo farmaco esplica un’azione, nonostante l’analisi chimica non vi rilevi alcunché di sostanziale, vuol dire allora che tale azione viene esplicata a un livello ancora sconosciuto e non rilevabile dall’analisi chimica”; ma si dice: “Poiché l’analisi chimica non rileva in questo farmaco alcunché di sostanziale, vuol dire allora che lo stesso non può esplicare alcuna azione”. Si parte dunque dal presupposto (meglio sarebbe dire però dal “pregiudizio”) che esista e agisca solo quanto l’analisi chimica è sostanzialmente in grado di rilevare. Come si negava dunque, un tempo, quanto non potesse essere convalidato dalla Bibbia (a proposito di Galilei, ad esempio, i satelliti di Giove), così si nega, oggi, quanto non può essere convalidato dall’analisi chimica. Ma è scienza questa, o dogmatismo?”.

Di Lucio Russo
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