14/12/2003

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Il recente varo della legge sulla “fecondazione assistita” e il conseguente riaccendersi delle polemiche tra il fronte cattolico e quello laico, ci hanno riportato alla mente queste parole di Steiner (del 6 aprile 1921): “Soprattutto in campo scientifico, l’umanità si trova oggi davanti alla necessità di prendere non una piccola, ma una grande decisione, quella di penetrare nella vita organica, non modificando semplicemente il contenuto dell’antico modo di pensare, ma introducendo in quest’ultimo un elemento nuovo: la conoscenza sovrasensibile. Ciò che oggi si oppone ancora a tale decisione, nella maggior parte di coloro che dovrebbero prenderla, non è una carenza di capacità conoscitiva, ma una comprensibile mancanza di coraggio per un cambiamento forte e radicale. Si preferisce soffrire piuttosto che avanzare verso qualcosa di nuovo; ci si vorrebbe attenere all’antico, cambiandolo solo un po’ in modo critico o in altro modo. Eppure la luce non penetrerà nella sfera conoscitiva della civiltà attuale finché non si troverà il coraggio di passare dal consueto modo di pensare a uno diverso” (R.Steiner: L’azione feconda dell’antroposofia sulle singole scienze – Antroposofica, Milano 2003, p.86).
Per afferrare l’essenza degli organismi (e quella quindi degli embrioni), occorrerebbe dunque sviluppare, al di là dell’ordinario pensiero statico e intellettuale (atto a conoscere la realtà inorganica), un pensiero di tipo dinamico o “immaginativo”.
Pare che Lidia Ravera, ad esempio (stando a quanto riferito da Giuliano Ferrara nel corso di una recente puntata di “otto e mezzo”), abbia definito l’embrione un “ricciolo di materia”. Evidentemente le sfugge che un truciolo (un “ricciolo di materia”), lasciato dove si trova, rimane uguale a se stesso, mentre un embrione, lasciato dove si trova (ossia, nell’utero materno), si trasforma prima in un feto e poi in un bambino: le sfugge, cioè, che il primo non si muove in quanto è morto, mentre il secondo si muove in quanto è vivo.
Lidia Ravera non è comunque che una rappresentante di quegli intellettuali laici che si nutrono appunto di un pensiero capace di conoscere (di percepire e pensare) ciò che è morto, ma non ciò che è vivo (o, a maggior ragione, animico e spirituale).
Ma gli intellettuali cattolici si nutrono forse di un pensiero diverso? No, di certo. E quale differenza c’è allora tra questi e quelli? Che i cattolici, per tutto quanto esorbita dalla realtà sensibile, si rimettono all’insegnamento della Chiesa, mentre i laici, per quanto concerne l’intera realtà, si rimettono all’insegnamento della scienza materialistica; di una scienza che non solo non trova il coraggio di “passare – come dice Steiner – dal consueto modo di pensare a uno diverso”, ma che si sforza anzi di ridurre il “diverso” al “consueto”: di ridurre, ossia, la realtà organica che non capisce a quella inorganica che capisce (“Dovunque sarà il cadavere, – ammonisce tuttavia il Vangelo – ivi si raduneranno gli avvoltoi” – Mt 24,28).
Fidando nel magistero di questa scienza, l’intellettuale laico si batte allora per la “libertà”, mentre quello cattolico, fidando in quello della Chiesa, si batte per la “verità”. Entrambi mostrano dunque d’ignorare che una libertà senza verità non è libertà e che una verità senza libertà non è verità. Infatti, come la libertà senza verità è la libertà della natura dentro di noi, e non quindi la nostra (la libertà dell’Io), così la verità senza libertà è la verità dello spirito fuori di noi, e non quindi la nostra (la verità dell’Io).
Il che vuol dire, in ultima analisi, che né gli uni né gli altri traggono ispirazione da quella Entità la cui verità è dentro, e non fuori, di noi (dell’Io), e dalla quale soltanto, e non dalla natura, può perciò scaturire una vera o umana libertà.

Di Lucio Russo
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