Fenomeni e noumeni

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Scrive Steiner: “Che opinione aveva la ricerca compiuta sotto il segno dell’aristotelismo sull’origine del linguaggio? Portando l’anima nell’astratto, essa si estraniò dal rapporto diretto con la realtà esterna attraverso il quale si poteva esprimere il contenuto delle cose realmente corrispondente alla parola formata. Pur estraniandosene, ricercava tuttavia come potesse essere tale nesso, e se lo spiegò con ogni sorta di astrazioni. Trasponeva all’esterno (nella sfera in cui si formano i concetti secondo le osservazioni dei sensi o altre osservazioni esteriori) ciò che si sentiva nell’interiorità. Poiché era impossibile immergersi nella realtà per individuare il processo per cui la parola trasferiva la sua opera dalle cose all’organizzazione umana, si sostituì questa comprensione con le teorie del “bau bau” o del “din-don-dan”” (1): vale a dire, con le teorie glottologiche che pongono, all’origine del linguaggio, l’elemento onomatopeico e mimetico.
La parola appartiene dunque alle cose, è “contenuto delle cose” e trasferisce “la sua opera dalle cose all’organizzazione umana”.
Ma come ve la trasferisce?
Per rispondere a questo interrogativo, occorre anzitutto ricordare quanto dice Steiner della natura del linguaggio e del ricordo.
Il linguaggio – scrive – “scaturisce dall’interiorità dell’uomo come il ricordo. In esso l’uomo si lega con un essere, come nel ricordo egli si lega con le proprie esperienze. Nella parola vive anche un elemento d’ombra. Questo è più forte dell’elemento d’ombra dei pensieri mnemonici (…) Le parole sono ombre. Che cosa risplende in esse? (…) L’antroposofia parla qui del corpo astrale, così come parla del corpo eterico di fronte al ricordo (…) Anche questa terza parte costitutiva (come quella fisica e quella eterica – nda) ha un mondo che la circonda. E’ quello della seconda gerarchia. Nel linguaggio umano è data un’immagine d’ombra della seconda gerarchia. Con il suo corpo astrale, l’uomo vive nel regno di questa gerarchia” (2).
Nel linguaggio ci si lega dunque con l’essere della parola (con ciò che la parola è in sé), mentre nella memoria ci si lega con l’essere del ricordo (con ciò che il ricordo è in sé): ovvero, con quell’essere del ricordo (o ricordo in sé) che – come abbiamo altre volte sottolineato (3) – sta alla “immagine mnemonica” così come il concetto sta alla “rappresentazione”.
Orbene, chi abbia avuto la bontà di leggere quanto scritto da Lucio Russo nella nota intitolata La logica hegeliana e le gerarchie spirituali, rammenterà che gli esseri della terza gerarchia vi sono presentati come i “conoscitori del creato”, quelli della seconda come i “custodi del creato” e quelli della prima come i “creatori del creato”. Non solo, ma che vi viene anche detto, in relazione a un passo in cui Hegel parla della “scienza dell’essenza, che sta in mezzo fra la scienza dell’essere e la scienza del concetto”, che ciò “da cui il concetto (non ancora trapassato nell’essere “dentro di sé”) è “affetto” come da una realtà “immediata” ed “estrinseca””, altro non è che “il contenuto o il dato della percezione”.
“Quest’ultimo – scrive Russo – è dunque manifestazione di un’essenza (di un noumeno) che – come dice Steiner – “ha la natura come sua sede, per agirvi sulle anime”, e che, col rivelarsi (col farsi fenomeno), si trasferisce dalla natura (dall’in-re) all’anima umana (al post-rem): cioè a dire, dalla sfera della seconda a quella della terza gerarchia” (4).
Per darsi come “concetto” e “ricordo”, l’essenza (animico-spirituale) trasferisce dunque “la sua opera dalle cose all’organizzazione umana” passando dalla sfera naturale della seconda gerarchia a quella umana della terza, mentre, per darsi come “parola”, trasferisce “la sua opera dalle cose all’organizzazione umana” passando, sì, dalla sfera naturale a quella umana, ma restando (in modo sognante) nella sfera della seconda gerarchia.
Ci stiamo riferendo naturalmente al concetto, al ricordo e alla parola quali incoscienti noumeni, e non ai fenomeni coscienti della rappresentazione, dell’immagine mnemonica e della immagine verbale o “parola formata” (ossia, morfologicamente e foneticamente determinata) che ne costituiscono le rispettive manifestazioni o – come dice Steiner – “ombre” (utilizziamo qui i noti termini kantiani di “noumeno” e “fenomeno” nell’accezione in cui Steiner usa quelli di “germe” e “immagine”. “Un germe – spiega infatti – è qualcosa di sopra-reale, mentre un’immagine è qualcosa di sub-reale”) (5).
Quelli che “risplendono fra le tenebre” delle udibili immagini verbali sono dunque dei suoni afferrabili dai sensi spirituali (dalla coscienza ispirativa), ma non da quelli fisici. E come la molteplicità delle essenze erompe da un solo Essere, così la molteplicità dei suoni erompe da un solo Suono o da una sola Parola (dal Verbo). “Tutti i suoni – osserva appunto Alfred Baur – devono venir concepiti come sorti da una forza unitaria dove ogni singolo fonema rappresenta una specifica espressione dell’archetipo della lingua” (6).
L’ordinaria coscienza intellettuale nulla sa però delle realtà noumeniche e viventi del concetto, del ricordo e della parola. “Se si pensa – fa notare ancora Baur – all’importanza della parola per la vita dell’uomo, stupisce che lo studio di questa attività non desti in genere grande interesse. Già l’espressione “attività” suona inadatta se riferita al parlare, sebbene si tratti indubbiamente di qualcosa che “si fa”. Pochissimi sanno cosa avviene quando si articola anche se tutti lo facciamo con grande precisione e naturalezza. L’uomo è in grado di portare la parola alla bocca ma non riesce a portarla a coscienza (…) Questo dipende dal rapporto che l’uomo odierno ha con la parola e con il pensiero in generale. Né chi parla né chi ascolta si interessa a quali suoni o parole vengano scelti e al modo in cui questi vengano espressi; tutta l’attenzione è puntata sul contenuto ideale” (7).
Su un “contenuto ideale” – ci sentiamo però di aggiungere – che viene ridotto a mero contenuto “intellettuale” o “rappresentativo”. Scrive al riguardo Simonne Rihouët-Coroze: “Il senso divora il suono, benché all’origine il suono contenga il senso. La forza del suono è ciò che dà alle parole la loro “aura”, ma si fa sempre meno attenzione alla scossa sonora fornita dalla parola udita. La si lascia cadere come una scorza per cogliere al volo il senso intellettuale” (8).
Ben si comprende quanto sia perciò illusorio sperare di ridare vita al linguaggio e alla parola se non si è stati prima capaci di ridare vita al pensiero e al concetto.
Nelle nostre note (soprattutto in quelle pubblicate nella sezione “studi gnoseologici”), abbiamo più volte sottolineato, ad esempio, come il concetto, essendo forma ma non avendo forma, sia una “forza plasmatrice”. Ebbene, la parola, essendo anch’essa forma ma non avendo forma, è una “forza plasmatrice” ancora più potente e profonda. “Quando l’uomo parla – osserva infatti Baur – utilizza l’aria espirata e le dà forma attraverso la voce e l’articolazione. Ne risultano delle forme particolari, non visibili, ma udibili, forme aeree sonore, che si dileguano nell’aria circostante” (9).
Le forze plasmatrici del concetto e del ricordo (legate alla terza gerarchia) agiscono dunque nell’interiorità; quella della parola (legata alla seconda gerarchia) raggiunge invece l’esterno per consentirne l’espressione e la comunicazione.
Scrive appunto Steiner: “In quanto l’uomo si avvicina ai suoi pensieri mnemonici, gli viene incontro una prima parte sovrasensibile, il suo corpo eterico; e l’antroposofia gli indica il relativo mondo circostante. In quanto l’uomo si afferra quale essere che parla, gli viene incontro la sua entità astrale. Questa non viene più afferrata in ciò che agisce soltanto interiormente, come il ricordo. Viene guardata dall’ispirazione come ciò che nel parlare, movendo da un elemento spirituale, dà forma ad un processo fisico. Parlare è un processo fisico. Alla sua base vi è l’attività derivante dal regno della seconda gerarchia” (10).
Ma dall’interno all’esterno si spinge anche il gesto (o l’azione). “In tutto l’uomo in movimento – osserva infatti Steiner – è presente una più intensa attività fisica che non nel parlare” (11). Anche questo fenomeno (legato alla prima gerarchia) non è però che immagine o manifestazione (fisica) del contenuto o dell’essenza morale che lo informa e lo anima.
Si potrebbe anche dire, perciò, che il concetto e il ricordo sono, per il pensare, quello che la parola è per il sentire e quello che il gesto è per il volere; oppure (considerando che il pensare si colloca tra il corpo fisico e quello eterico, il sentire tra il corpo eterico e quello astrale e il volere tra il corpo astrale e l’Io), che il concetto e il ricordo sono, per il corpo eterico, quello che la parola è per il corpo astrale e quello che il gesto è per l’Io.
Superfluo aggiungere che concetto, ricordo, parola e gesto non vanno pensati gli uni accanto agli altri, bensì gli uni negli altri, quali momenti o livelli gerarchicamente ordinati del divenire di una stessa e sola realtà (come il senso è contenuto infatti nel suono, così il suono è a sua volta contenuto in quella intuizione morale che ha la sua “ombra” nel gesto).

Note:

01) R.Steiner: L’azione feconda dell’antroposofia sulle singole scienze – Antroposofica, Milano 2003, pp.92-93;
02) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, pp.45-46;
03) cfr., ad esempio, Il cervello, la mente e l’anima
04) L.Russo: La logica hegeliana e le gerarchie spirituali, 7 dicembre 2003;
05) R.Steiner: Arte dell’educazione 1° – Antropologia – Antroposofica, Milano 1993, p.33;
06) A.Baur: I Fonemi – Natura e Cultura, Alassio (SV) 1994, p.4;
07) ibid., p.5;
08) S.Rihouët-Coroze: Rudolf Steiner – la vita e l’opera del fondatore dell’antroposofia – Nardini, Firenze 1989, p.252;
09) A.Baur: Chirofonetica – Natura e Cultura, Alassio (SV) 1993, p.31;
10) R.Steiner: Massime antroposofiche, pp.46-47;
11) ibid., p.47.

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Di Francesco Giorgi
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