29/01/2004

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Nella noterella del 10 dicembre 2003, ci siamo occupati del libro Breve storia dell’anima di Gianfranco Ravasi, rilevando tutte le inesattezze contenute in una pagina in cui si parla di Rudolf Steiner.
Leggendo la recensione che Gianni Baget Bozzo ha fatto dello stesso libro (il Giornale, 28 gennaio 2004), abbiamo adesso realizzato che quello di Ravasi potrebbe costituire un buon esempio, non della docta ignorantia del Cusano, ma della ignorantia docta della più gran parte degli odierni intellettuali o uomini di cultura: ignorantia docta che Baget Bozzo, bontà sua, denomina “genio”. Scrive infatti: “E’ questo il genio dell’autore, diffuso in una scrittura infinita in cui il tessuto delle allusioni rallegra il lettore senza porgli problemi di cose”. Il che vuol dire, in altre parole, che il “tessuto delle allusioni” (o – preferiamo dire noi – delle “suggestioni”) solletica e rallegra il lettore risparmiandogli l’onere di pensare. “Il lettore di Ravasi – osserva appunto Baget Bozzo – termina in una prosa senza spigoli, persino con la speranza del poeta di vedere le anime. Ma senza potersi immaginare che cosa vedrà dopo questo caleidoscopio di parole e immagini, in cui la metafisica è abolita e quindi con essa il rigore dell’idea”.
A farci tornare in mente l’idea dell’ignorantia docta è stato però quest’altro passaggio della recensione: “Se qualcuno domandasse, alla fine del libro, all’autore: “che cosa è l’anima?” riceverebbe un benigno sorriso di indulgenza: il lettore non ha capito che per Ravasi l’anima è una allusione, non una cosa”.
Tale idea ci venne infatti in mente, diversi anni fa, ascoltando un botanico che, rivolto ai presenti, cominciò la sua conferenza con queste parole: “Non chiedetemi, per carità, che cos’è una pianta”.
Che cos’è dunque l’ignorantia docta? E’ il frutto dell’odierna “anima incosciente”; è la nescienza erudita, informata e ciarliera: ovvero, l’ignoranza di chi sa tutto, ma non capisce niente (vale a dire, l’essenziale).
Potendo anche rivestire carattere “specialistico”, essa fa sì che non si possa appunto chiedere a un botanico che cosa sia una pianta, a uno zoologo che cosa sia un animale, a un antropologo che cosa sia un essere umano o a uno psicologo (oppure a un sacerdote come Ravasi) che cosa sia l’anima.
Come perciò non ricordare quello che disse Pitigrilli (pseudonimo di Dino Segre, 1893-1975) dello specialista? “Lo specialista – disse – è un individuo che va sapendo un numero sempre più grande di cose su un argomento sempre più piccolo, talché, alla fine, saprà tutto su niente”.

Di Lucio Russo
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