La fenice di Marx di Riccardo De Benedetti si apre con queste parole: “Trovo in un libro di Leon Wieseltier, Kaddish, di che riflettere. L’osservazione è questa: “Al nuovo non è dato di sopravvivere se non in forma di vecchio. Ecco il guaio dei rivoluzionari. Prima o poi arriva qualcosa cui ci si affeziona talmente da desiderare di conservarlo. Qualora si fallisca e la cosa vada perduta, se ne piange la perdita, ci si rimprovera e probabilmente con ragione”. La condizione mentale di chi è obbligato dai fatti a prendere atto del fallimento del comunismo è la stessa descritta dal critico americano: ci si è affezionati talmente al comunismo che si desidera conservarlo contro ogni evidenza, contro ogni smentita. Il rimprovero per la sua perdita, in questo caso però, può essere rivolto soltanto alla realtà. Se c’è qualcosa che mai costoro, dopo aver perso il loro sogno preferito, vorranno addossarsi è proprio la responsabilità del suo dissolversi. Con la fine del comunismo molti dei suoi sostenitori di un tempo ristagnano in una palude sentimentale, enfatica, impregnata di astioso risentimento, partecipato soprattutto attraverso una pubblicistica occasionale, una sorta di istant book del lutto, che soltanto raramente raggiunge la dignità dell’analisi approfondita, accontentandosi di un superficialissimo richiamo agli affetti di un tempo” (1); e si chiude con quest’altre: “Il comunismo è venuto meno e ha perso la sua credibilità come si disperdono e vengono meno le normali speranze e attese degli uomini su questa terra. In questo venir meno non c’è nessun titolo di merito speciale e nessuna benemerenza morale che gli possa essere ragionevolmente attribuita, non più, almeno, di quelle che vengono riconosciute ai sogni che muoiono al momento del risveglio” (2).
Dunque, il comunismo come “sogno”: come il sogno di “una cosa” (Pasolini) o di un “mondo migliore” che però gli uni non si spiegano il perché e il percome, realizzandosi, produca un mondo peggiore, mentre gli altri non si spiegano il perché e il percome, nonostante produca un mondo peggiore, continui a essere fatto (o a risorgere, come appunto “la fenice”, dalle proprie ceneri).
Certo, quello del comunismo è un sogno fatto durante la veglia, e non durante il sonno. Anche un sogno fatto ad occhi aperti, in quanto fantasia o illusione, dovrebbe essere tuttavia interpretato alla stessa stregua di un sogno fatto ad occhi chiusi (3).
Ma il sogno comunista non viene interpretato dai comunisti, perché non lo considerano affatto un sogno, bensì un’ideologia addirittura “scientifica”; e non viene interpretato dagli anticomunisti, perchè lo considerano, sì, un sogno, ma, in quanto tale, una mera insensatezza o assurdità. Ove, cambiando idea, si decidessero a interpretarlo, il suo vero significato rimarrebbe comunque celato tanto al materialismo teorico (ideale) dei comunisti quanto al materialismo pratico (fattuale) degli anticomunisti.
S’interpreta correttamente un sogno – ricorda infatti Steiner – “soltanto quando non lo si riferisce al mondo naturalistico fisico, ma si riferiscono i suoi rapporti al mondo “spirituale” e soprattutto, nel maggior numero dei casi, al mondo “morale”” (4).
S’immagini, ad esempio, un materialista (teorico o pratico) che, nonostante viva in un appartamento confortevole e abbia alle spalle già più di un trasloco, continui a sognare di cambiar casa. Costui non potrà fare allora che due cose: o ignorare il sogno, ritenendolo una sciocchezza; oppure realizzarlo, affrontando un nuovo trasloco. A un materialista, mai potrebbe venire infatti in mente che un sogno del genere indichi (in forma simbolica) la necessità di mutare l’anima (vale a dire, il pensare, il sentire e il volere), e non il domicilio.
Oppure, per meglio esemplificare la drammaticità degli esiti cui può condurre un’errata comprensione delle esperienze oniriche, se ne immagini un altro che sogni ricorrentemente di uccidere il proprio padrone di casa. Anche costui non potrà fare, da materialista, che due sole cose: o non prendere il sogno sul serio; oppure prenderlo sul serio, e passare allora alle “vie di fatto”. Mai potrà sospettare, infatti, che tale sogno vorrebbe piuttosto rivelargli che, della sua anima, non è “padrone” l’Io, bensì qualcun altro (magari un’entità luciferica o arimanica)
Come si vede, all’origine di questi sogni vi è un impulso morale: vale a dire, un’ispirazione che risale dalla coscienza di sonno (legata al volere) alla coscienza di sogno (legata al sentire), per potersi così presentare alla coscienza di veglia (legata al pensare) in forma simbolica o immaginativa.
Afferma appunto Steiner: “Sono le ispirazioni che vogliono presentarsi agli uomini per la buona volontà del mondo spirituale, che però sono odiate dagli uomini stessi, e che di conseguenza si trasformano in selvaggi istinti animaleschi. Se infatti l’uomo non permette che si mostrino le ispirazioni che gli si vogliono avvicinare dal mondo spirituale, allora esse si trasformano in emozioni selvagge, in impulsi animaleschi” (5).
Le ispirazioni morali o spirituali si possono dunque trasformare, nei rivoluzionari e nei reazionari, in “selvaggi istinti animaleschi”. Entrambi infatti le “odiano” in quanto vanno incontro alle loro forze vive, risalenti dall’inconscio, non con delle forme di pensiero altrettanto vive (e capaci quindi d’integrarle creativamente), bensì con quelle morte dell’intelletto astratto, scientistico o materialistico (che possono unicamente snaturarle e stravolgerle).
Deve essere chiaro, insomma, che una cosa è l’ispirazione, altra la coscienza dell’ispirazione (o come la chiama Steiner la “coscienza ispirativa”), e che la qualità dell’esistenza (della realizzazione) di un’ispirazione viene determinata più dalla qualità della coscienza (umana) che la considera, che non dalla sua essenza.
Se si ha chiaro questo, non si faticherà allora a realizzare che in tanto “le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni” in quanto la coscienza intellettuale ordinaria (sulla quale poggia il materialismo), non essendo all’altezza della “coscienza ispirativa”, può soltanto fare “impazzire le virtù” o snaturare le “buone intenzioni”, trasformandole così in un “inferno”.
Ma quali sono queste ispirazioni?
Al riguardo, in una conferenza tenuta a Zurigo il 9 ottobre del 1918, Steiner così disse: “Scienza dello spirito per lo spirito, libertà religiosa per l’anima, fraternità per i corpi, questo risuona come una musica cosmica, per opera degli angeli, nei corpi astrali degli uomini” (6).
Per quel che riguarda più strettamente il nostro tema, sarà però opportuno aggiungere, a queste indicazioni (che riprendono, ma ordinano l’égalité, la liberté e la fraternité), alcune di quelle contenute ne I punti essenziali della questione sociale (del 1919).
Potrebbe essere – scrive infatti qui Steiner – “che la tragedia che si manifesta oggi nei tentativi di soluzione della questione sociale abbia le sue radici proprio in un malinteso delle vere tendenze proletarie; in un malinteso anche da parte di coloro che da queste tendenze hanno derivato le loro concezioni, poiché non è affatto detto che l’uomo si formi sempre il giusto giudizio intorno a quel ch’egli stesso vuole. Possono perciò sembrare giustificate le seguenti domande: Che cosa vuole veramente il movimento proletario moderno? Corrisponde questo suo volere a ciò che comunemente si pensa in proposito da proletari e da non proletari? Si manifesta il vero aspetto della questione sociale in quel che molti pensano intorno ad essa? Oppure è necessario seguire una direttiva di pensiero del tutto diversa?” (7).
Orbene, chiedersi che cosa voglia realmente il moderno movimento proletario o quale sia il vero aspetto della questione sociale, affermando che l’uomo non sempre si forma il “giusto giudizio intorno a quel ch’egli stesso vuole”, non significa appunto distinguere – in termini psicodinamici – quanto si manifesta nel conscio da quanto vive nell’inconscio: proprio in quell’inconscio, cioè, in cui l’uomo moderno ha finito ormai col relegare la realtà dell’anima e dello spirito, e per ciò stesso della propria umanità?
“E’ vero – prosegue comunque Steiner – che le rivendicazioni proletarie sono venute sviluppandosi contemporaneamente alla tecnica moderna e al moderno capitalismo; ma il riconoscerlo non getta ancora nessuna luce su ciò che veramente vive in quelle esigenze, sotto forma di impulsi puramente umani. E finché non si penetri nella vita di questi impulsi, non ci si potrà nemmeno accostare al vero aspetto della “questione sociale”” (8).
A questo punto, però, nell’ovvia impossibilità di rispondere al nostro interrogativo riassumendo quanto ampiamente esposto ne I punti essenziali della questione sociale, non possiamo far altro che invitare i lettori che abbiano a cuore l’argomento a cimentarsi direttamente con tale testo.
Proveremo, tuttavia (per non lasciarli interamente a bocca asciutta), a estrapolarne alcune riflessioni, nella speranza che servano a dare almeno un’idea di quali siano – per Steiner – i due principali impulsi che animano, dal profondo, la “questione sociale”:
1) “chi vuol comprendere il movimento proletario deve prima di tutto sapere come il proletario pensi” (9);
2) “egli vive da proletario, ma pensa da borghese. L’epoca moderna esige non solo che ci si orienti in una vita nuova, ma anche in un ordine di pensieri nuovi” (10);
3) “il tragico errore, riguardo all’incomprensione delle rivendicazioni sociali contemporanee, sta nel fatto che in molti ambienti non si ha il minimo senso di quel che ora, dalle anime di larghe masse umane, affiora alla superficie della vita, e che si è incapaci di dirigere lo sguardo a quanto avviene nell’intimo degli uomini” (11);
4) “questo proletariato è convinto del carattere ideologico (“sovrastrutturale”- nda) della vita spirituale, ma appunto a causa di questa sua convinzione diventa sempre più infelice. E gli effetti di questa infelicità della sua anima, di cui egli non è cosciente, pur soffrendone intensamente, hanno un peso infinitamente più importante, per la situazione sociale del nostro tempo, di tutte le rivendicazioni, pur giustificate nel loro genere, che riguardano il miglioramento delle condizioni materiali della vita” (12);
5) “la vita spirituale moderna è stata trasmessa dalle classi dirigenti dell’umanità al proletariato in una forma che, per la coscienza di esso, ne distrugge la forza (…) Egli ha bisogno di una vita spirituale che emani una forza capace di dare alla sua anima il sentimento della sua dignità umana poiché, quando egli fu impigliato nell’economia capitalistica dei tempi moderni, i bisogni più profondi della sua anima s’indirizzarono verso la vita spirituale. Invece la vita spirituale che gli venne trasmessa come ideologia dalle classi dirigenti, gli vuotò l’anima. E’ questo che imprime all’attuale movimento sociale la forza direttiva: che nelle esigenze del proletariato moderno agisce l’aspirazione a una connessione con la vita dello spirito del tutto diversa da quella che gli può dare l’ordinamento sociale presente” (13);
6) “di questa coscienza egli andava in cerca, ed ha surrogato quel che non poteva trovare, con la coscienza di classe nata dalla vita economica” (14);
7) “comunque nella vita moderna si siano configurati la circolazione delle merci e del denaro, il capitale, la proprietà, i problemi dei fondi terrieri ecc., in seno alla vita moderna è venuto formandosi qualcosa che non viene chiaramente espresso in parole, e nemmeno coscientemente sentito dal proletariato moderno, ma che è il vero e proprio impulso fondamentale del suo volere sociale. Si tratta del fatto che in ultima analisi il moderno ordinamento economico capitalistico non conosce nel suo campo null’altro che merci, e la formazione dei valori di queste merci; e che, nell’organismo capitalistico dei nostri tempi, è diventato merce anche un fattore del quale il proletariato d’oggi ha il sentimento che merce non può e non deve essere. Quando una volta si comprenderà tutto l’orrore che, come uno degli impulsi fondamentali del movimento sociale proletario moderno, vive negli istinti, nei sentimenti subcoscienti dell’operaio d’oggi, per dover vendere la sua energia di lavoro all’imprenditore come si vendono le merci sul mercato, e perché, sul mercato della mano d’opera, la sua energia di lavoro si contratti, secondo la domanda e l’offerta, come le merci del mercato; quando si scoprirà quale importanza abbia nel movimento sociale questa esecrazione per il lavoro ridotto a merce; e, senza preconcetti, si riconoscerà che quanto è qui in gioco non viene espresso nemmeno dalle teorie socialiste, allora, in aggiunta al primo impulso, cioè alla vita spirituale sentita come ideologia, si sarà trovato il secondo, del quale si può dire che rende oggi la questione sociale imperiosa, anzi addirittura scottante” (15).
Inutile aggiungere, per concludere, che è proprio nell’intento di dare la più ampia soddisfazione possibile a questi due impulsi che lo stesso Steiner ha elaborato e proposto l’idea di una “triarticolazione dell’organismo sociale”.
Note:
01) R.De Benedetti: La fenice di Marx – Medusa, Milano 2003, pp.5-6;
02) ibid., p.142;
03) il libro di François Furet dedicato all’analisi della “fascinazione ideologica esercitata sull’uomo del XX secolo dall’idea comunista” s’intitola, non a caso: Il passato di un’illusione (Mondadori, Milano 1995);
04) R.Steiner: Conoscenza iniziatica – I.T.E., Milano 1938, p.155;
05) R.Steiner: Risposte della scienza dello spirito a problemi sociali e pedagogici –Antroposofica, Milano 1974, p.160;
06) R.Steiner: Che cosa fa l’angelo nel nostro corpo astrale? in “Antroposofia – Rivista mensile di scienza dello spirito”, anno XIII, n°6, giugno 1958, p.170;
07) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1980, pp. 24-25;
08) ibid., p.25;
09) ibid., pp.27-28;
10) ibid.,p.32;
11) ibid. p.33;
12) ibid., p.34;
13) ibid., pp.38-39;
14) ibid., p.40;
15) ibid., p.41.