Scrive Croce: “Il concetto storico di “borghese” e “borghesia”, al quale si riferisce la mia critica e la mia negazione è (…) quello in cui per “borghese” e per “borghesia” si suole intendere una personalità spirituale intera, e, correlativamente, un’epoca storica, in cui tale formazione spirituale domini o predomini. Qui non si tratta più né di un soggetto giuridico né di un soggetto economico, né di un’empirica distinzione sociale, ma di un soggetto morale” (1).
Come, però, gli indemoniati di Gadara, a differenza dei “normali”, riconobbero subito, in Gesù, il “Figlio di Dio” (Mt 8,28), così gli indemoniati del comunismo, del fascismo e del nazismo, a differenza di Croce, hanno subito riconosciuto, nel “borghese”, un “soggetto morale” o, dal loro punto di vista, “immorale” poiché “egoistico”.
Una cosa, tuttavia, è l’egoismo di stampo utilitaristico e di vocazione economica (liberista), altra l’individualismo di stampo razionalistico e di vocazione giuridica (liberale) che irrompe sulla scena della storia – come ricorda Nicola Matteucci – “con il Rinascimento, la Riforma, l’Illuminismo” (2).
Quest’ultimo, effetto dell’anima cosciente (dell’autocoscienza) e causa di quella rivoluzione che va sotto il nome di “modernità”, è fisiologica manifestazione dell’ego: ovvero, di quel “soggetto morale” o di quella “personalità” in grado di dire, per la prima volta: “Fiat voluntas mea”.
“Nelle epoche primordiali, – osserva per l’appunto Steiner – volgendo il suo sguardo animico nella direzione in cui oggi gli si manifestano i suoi pensieri, l’uomo vedeva entità divino-spirituali. A tali entità l’uomo trovava legato tutto il suo essere, fino al corpo fisico; egli doveva riconoscere se stesso come la creatura di quelle entità e riconoscere come loro creatura non soltanto il suo essere, ma anche il suo operare. L’uomo non aveva volontà propria; quello che faceva era manifestazione della volontà divina. Gradino per gradino (…) si giunge fino alla volontà propria, il cui inizio risale press’a poco a cinque secoli fa (…) Passando al corpo fisico i pensieri perdono la loro vitalità. Diventano morti; sono formazioni spiritualmente morte” (3).
E’ dunque all’ego, vale a dire alla coscienza dell’Io basata sul corpo fisico e sullo spazio, che andiamo debitori della libertà (dalla volontà divina).
Nell’ultimo terzo del secolo XIX, l’ego ha tuttavia esaurito la propria forza propulsiva e innovatrice ed è andato via via trasformandosi in un “conservatore” (“Da quando Parigi – osserva Hobsbawm – vide sorgere le sue barricate, tutti i liberali moderati – e, come notava Cavour, buona parte degli stessi radicali – divennero conservatori in potenza”) (4).
A partire dal 1879 (data d’inizio della nuova missione dell’Arcangelo Michele), e sulla base di quanto era stato già seminato dal “goetheanismo” (5), l’individualismo “borghese” (del Battista) avrebbe dovuto cominciare infatti a evolversi nella direzione di quell’individualismo etico (del Cristo) indicato da Steiner ne La filosofia della libertà, e non dunque in quella dell’individualismo utilitaristico o egoistico (di Giuda) patrocinato dalla “rivoluzione industriale”.
Così però non è stato, ed ecco allora che insieme alla “rivoluzione industriale” è nato il socialismo politico ed è esplosa la “questione sociale” (nel 1864, Ferdinand Lassalle fonda in Germania il primo partito socialista e, nel 1871, viene fondata a Londra la Prima internazionale socialista).
L’impulso alla trasformazione dell’ego nel Sé spirituale (o all’”avventura interiore – dice Alain Laurent – della creazione di sé ad opera dell’io”) (6), che la borghesia non ha voluto coscientemente far suo né sul piano individuale (quale individualismo etico) né su quello collettivo (quale triarticolazione dell’organismo sociale) ha preso così a tornarle addosso in modo incosciente e in forma ideologica o politica.
“Nei moti istintivi, inconsci della natura umana – scrive infatti Steiner – rumoreggia un elemento nuovo; nel pensare cosciente le antiche idee non vogliono seguire i moti istintivi. Ma anche i moti istintivi migliori diventano barbarici e bestiali se non vengono illuminati da pensieri adeguati” (7).
E i “moti istintivi migliori”, inascoltati o repressi dalla borghesia, e non “illuminati da pensieri adeguati” dal comunismo, dal fascismo e dal nazismo, non sono appunto diventati, nel corso del Novecento, “barbarici e bestiali”?
Tanto il comunismo quanto il fascismo e il nazismo si sono non a caso richiamati al socialismo: il primo, in modo “scientistico”; il secondo, in modo “spiritualistico”; il terzo, in modo “magico” o “mistico”.
Dichiara ad esempio Bottai: “La validità storica del Fascismo risiedeva, per l’appunto, in ciò: nell’opporre a un socialismo germogliato da una filosofia materialistica, un socialismo scaturito da una filosofia spiritualistica. Era, sul piano spirituale e religioso, l’antitesi d’una tesi accolta sul piano economico e sociale. In questo, e soltanto in questo, antisocialismo o, se si vuole, anticomunismo” (8); e Hitler, dal canto suo, dice: “Io non sono soltanto colui che ha saputo superare il marxismo, ma sono soprattutto il realizzatore di questa dottrina priva del suo dogmatismo giudaico-talmudico (…) Non sarà la Germania a diventare bolscevica, ma sarà il bolscevismo a diventare una specie di nazionalsocialismo. D’altronde ci sono più elementi di unità che di divisione tra noi e il bolscevismo. Soprattutto la mentalità veramente rivoluzionaria che in Russia è sempre presente ovunque, dove non imperversano i marxisti ebrei. Ho sempre tenuto conto di questa circostanza e ho dato istruzioni che gli ex comunisti vengano ammessi immediatamente nel partito. Un socialdemocratico piccolo-borghese o un bonzo sindacalista non diventerà mai un nazionalsocialista, un comunista sempre” (9).
Che cosa è dunque accaduto? E’ accaduto che i borghesi, muniti delle “antiche idee” (e sempre più in preda al monoideismo economicistico), non hanno voluto seguire i “moti istintivi migliori”, mentre i comunisti, i fascisti e i nazisti, muniti delle stesse idee, li hanno invece seguiti, trasformandoli così in impulsi “barbarici e bestiali”.
Si badi: dicendo “con le stesse idee” intendiamo dire, non con gli stessi pensati, ma con quello stesso soggetto pensante (l’ego), con quella stessa coscienza pensante (l’intelletto) e con quello stesso pensare (astratto o riflesso) che, vuoi che si esprimano quale “scientismo”, vuoi che si esprimano quale “spiritualismo”, “magismo” o “mistica”, mai potranno in realtà liberarsi del loro vincolo al sensibile.
E’ questa zavorra materialistica, infatti, a far sì che quell’ego o quel “soggetto morale” borghese che è in ognuno di noi, venga “proiettato” sull’altro e reificato poi nel nemico da combattere e distruggere materialmente: nel “capitalista” per la visione socio-economica dei comunisti; nel “plutocrate” per la visione nazionalistica dei fascisti; nell’”ebreo” per quella razzista dei nazisti.
Il fatto che all’origine di tali fenomeni vi sia una “proiezione”, e per ciò stesso una “dislocazione”, costituisce una riprova (qualora ve ne fosse ancora bisogno) del loro carattere patologico.
Chi conosce la scienza dello spirito (e in particolare la medicina antroposofica) sa infatti che i processi patologici sono per lo più effetto di una dislocazione, nello spazio o nel tempo, di processi altrimenti fisiologici.
Victor Bott nota, ad esempio, che una otite, ”con la sua infiammazione, la lisi dei tessuti, la formazione di pus, è un processo metabolico che si manifesta al polo neurosensoriale”, e che in una polmonite, diventando “una parte del polmone un organo simile al fegato” (“epatizzazione polmonare”), “tutto avviene come se un processo normale al livello del fegato fosse stato spostato sul piano superiore, quello del polmone” (10).
Per avere un esempio di dislocazione nel tempo, basta invece pensare a quegli anacronismi che, in forma di “fissazione” o “regressione” della libido a una delle fasi (“orale”, “anale” e “uretrale”) precedenti quella della normale “genitalità”, stanno – per Freud – all’origine delle psiconevrosi.
In ogni caso, sia i processi dislocati nello spazio sia quelli dislocati nel tempo sono, sotto il profilo della qualità, dei processi alterati o degenerati: alterati o degenerati, per tornare a noi, quanto appunto quel socialismo prodotto dalla dislocazione sul piano materiale del compito spirituale (noetico ed etico) di superare l’ego, l’intelletto e la vita sociale da essi informata.
Una vera rigenerazione – osserva in proposito Dostoevskij – “non si può realizzare che in millenni, giacché tali idee debbono dapprima penetrare nella carne e nel sangue per poter poi diventare realtà. E che, mi direte voi, bisogna dunque essere privi di personalità per essere felici? Forse che nell’assenza di personalità sta la salvezza? Al contrario, vi dico io, non soltanto non occorre esser privi di personalità, ma proprio una personalità bisogna diventare, e addirittura in un grado assai superiore a quello che si è venuto a determinare in Occidente” (11).
Ebbene, qual è quel grado di personalità “che si è venuto a determinare in Occidente”, se non quello dell’ego? E qual è quella personalità che bisogna diventare “in grado assai superiore”, se non il Sé spirituale (o l’Io)? E chi sono i convinti “che nell’assenza di personalità sta la salvezza” (extra ecclesiam nulla salus), se non coloro che fomentano – come appunto i comunisti, i fascisti e i nazisti – “il mito delle masse, l’apologia del collettivo” o “l’esaltazione del gruppo”? (12)
Per quanto riguarda la dislocazione o proiezione dell’ego e dell’intelletto che è all’origine dell’antisemitismo (dislocazione o proiezione che, pur avendo raggiunto la sua più efferata espressione nel nazismo, non è rimasta comunque estranea al fascismo e al comunismo), sarà opportuno riflettere, prima di concludere, su un paio di affermazioni di Marx.
Questi afferma infatti che “la vera essenza degli ebrei si è realizzata nella società borghese” poiché “lo spirito ebraico è divenuto lo spirito pratico dei popoli cristiani” (13).
Orbene, chiunque fosse seriamente convinto che “lo spirito pratico dei popoli cristiani” non è uno spirito cristiano, e che la società borghese non è perciò una società cristiana, dovrebbe quantomeno capire che il problema riguarda allora i seguaci del Nuovo Testamento, e non quelli dell’Antico, e che bisognerebbe pertanto sforzarsi di rinnovare tale spirito e la società che l’invera in nome del vero Cristianesimo (dell’essere universale del Logos), e non quindi del materialismo (arimanico), come ha fatto il comunismo, o del paganesimo (luciferico), come hanno fatto, sebbene in forma e misura diverse, il fascismo e il nazismo.
Come si fa del resto a dire che nella “società borghese” si è realizzato lo “spirito ebraico” e poi mobilitarsi, per mutare tale società, non muovendo dal piano spirituale, bensì da quello politico o economico?
Ma chi è oggi in grado, ove prescinda dai mezzi teorici e pratici donati da Steiner (i soli – diciamolo pure – veramente e sanamente “rivoluzionari”) di mobilitarsi per mutare se stesso, portandosi al di là di quell’ego, di quell’intelletto, di quel pensare astratto e di quella brama dell’avere (delle “cose” o della “roba”) che caratterizzano, nel bene e nel male, l’individualismo borghese? Quanto odio, dunque, dovrà essere ancora sparso, o quanto sangue dovrà essere ancora versato, per riuscire finalmente a capire che soltanto chi è incapace di fare la guerra a se stesso si risolve, in piccolo o in grande, a farla agli altri?
Dice appunto il Cristo: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo (…) Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adultéri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza” (Mc 7,15 e 21).
Note:
01) B.Croce: Di un equivoco concetto storico: la “borghesia” in Etica e politica – Laterza, Bari 1967, p.269;
02) N.Matteucci: presentazione a A.Laurent: Storia dell’individualismo – Il Mulino, Bologna 1994, p.8;
03) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, pp.75-76;
04) E.J. Hobsbawm: Il trionfo della borghesia (1848-1875) – Laterza, Bari 1994, p.20. In una intervista, apparsa su il Giornale del 5 luglio 1998, Nicola Matteucci (presentato da Renato Farina come uno “splendido conservatore” e come “la roccia liberale, dopo Croce”) si dice addirittura convinto che Croce difenderebbe oggi “la Chiesa e i suoi interventi in fatto di morale” e che “il liberalismo si appoggia all’etica cattolica”;
05) in questa corrente, oltre ovviamente a Goethe, va incluso – come precisa Steiner – “tutto quanto si riconnette ai nomi di Schiller, Lessing, Herder e anche ai filosofi tedeschi”. R.Steiner: Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961, p.155;
06) A.Laurent: op. cit., p.127;
07) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Bocca, Milano 1950, p.138;
08) G.Bottai: Vent’anni e un giorno – Garzanti, Milano 1977, p.54;
09) H.Rauschning: Colloqui con Hitler – Tre Editori, Roma 1996, pp.170 e 121-122;
10) V.Bott: Medicina antroposofica – IPSA, Palermo 1991, vol. 1°, pp.27 e 28;
11) F.Dostoevskij: Note invernali su impressioni estive – Feltrinelli, Milano 1993, p.70;
12) N.Matteucci: op. cit. p.10;
13) cit. in W.Sombart: Il socialismo tedesco – Il Corallo, Padova 1981, p.238; F.G.Roma 16 marzo 2004