18/03/2004

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Il 25 aprile del 1919, al termine di una conferenza sul tema: “La solidarietà nel sociale: come e cosa fare”, tenuta da Rudolf Steiner agli operai della Daimler a Stoccarda, un signore prese la parola e domandò al relatore, in tono scandalizzato, come mai avesse fatto ricorso a “tanti elementi sovversivi”.
Al che Steiner replicò: “Non voglio davvero farmi coinvolgere in una discussione con l’egregio signore che ha formulato questa domanda, se sia vero che io, poiché si dice che sono un filosofo, sia autorizzato a dire solo cose incomprensibili, non sovversive, dunque frasi fatte”; e aggiunse: le mie parole “assumono questa connotazione solo nell’interpretazione dell’ultraconservatore” (R.Steiner: Il coraggio della libertà nella vita sociale – Archiati Verlag, Monaco di Baviera 2004, pp.34-35).
Che le idee di Steiner non vengano apprezzate dai conservatori, dagli ultraconservatori o dai reazionari non stupisce. Stupisce, piuttosto, che non vengano apprezzate dai cosiddetti “progressisti”: vale a dire, da coloro che dichiarano, ogni volta che ne hanno occasione, di avere a cuore le esigenze dei lavoratori.
Proprio ciò consente tuttavia di distinguere i veri progressisti dai falsi progressisti: di distinguere, cioè, coloro che nutrono davvero amore per i lavoratori (e non solo per i lavoratori) da coloro che danno mostra di nutrirlo, ma covano invece invidia e odio contro i padroni o hanno sete di potere.
Quelli veri, per capire e soddisfare le esigenze spirituali, politiche ed economiche dei lavoratori, dovranno infatti ricorrere, prima o poi, all’insegnamento di Steiner, mentre quelli falsi, per appagare i loro bisogni (per lo più inconsci) strumentalizzando quelli dei lavoratori, potranno farne a meno, continuando così a privilegiare unilateralmente la “prassi”.
“Se per oltre cento anni, – afferma ad esempio Luciano Barca – dalla teoria del valore-lavoro si è tratto impulso per la “lotta allo sfruttamento” oggi è primario trarre da essa impulso (ma la spinta può venire certamente anche da teorie diverse) per lottare contro l’alienazione e ridare autonomia al consumo dell’uomo” (L.Barca: Da Smith con simpatia – Editori Riuniti, Roma 1997, p.87).
Orbene, un’affermazione del genere, se non autorizza a includere Barca tra i falsi progressisti, permette però di fare qualche breve osservazione.
“Cosa significa – commenta ad esempio Lucio Russo – che “per lottare contro l’alienazione” si può far leva sulla teoria di Marx o su quelle di altri? Detto in forma senz’altro un po’ spiccia, non vuol dir altro che questo: “Purché si lotti praticamente contro l’alienazione, qualsiasi teoria può andar bene!”. Sarebbe però disposto Barca ad affidarsi alle cure di un terapeuta che dichiarasse apertamente di seguire questo stesso principio? Sarebbe pronto, cioè, a mettersi nelle mani di un medico che dichiarasse di non prescrivere le sue terapie sulla base di previe e sicure diagnosi? C’è da dubitarne. Se è vero, infatti, che l’alienazione è una malattia, è anche vero, allora, che potrà essere efficacemente curata soltanto dopo essere stata correttamente diagnosticata (non soltanto “etichettata”, ossia, ma compresa nella sua effettiva patogenesi)” (L.Russo: Aspetti della questione sociale in L’anima cosciente e la modernità – Pensare il Novecento – Aspetti della questione sociale – pubblicazione, non in commercio, a cura dell’Associazione culturale Source Onlus, Roma 1999, pp.79-80).
Dal momento che la storia ha decretato il fallimento della diagnosi e della terapia di Marx, bisogna avere dunque la pazienza di attendere che un sempre maggior numero di sinceri progressisti (più facili da trovare tra i “rappresentati”, che non tra i “rappresentanti”) scopra che solo il pensiero di Steiner può creativamente informare quelle forze che animano, dal profondo, il persistente e crescente disagio individuale e sociale.

Di Lucio Russo
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