“Io – dice Oriana Fallaci – sono un’atea cristiana” (1).
Come il Cristianesimo di Salvatore Natoli è quello di un “non credente” (2), così il Cristianesimo della Fallaci è quello di un’”atea”. In questo Cristianesimo, che non si capisce perché continuino a chiamare così, dal momento che accettano Gesù, ma non il Cristo, cioè il Figlio di Dio, Natoli, da intellettuale di sinistra, vede soltanto una “pratica della carità” o della solidarietà, mentre la Fallaci, da intellettuale liberale, vede soltanto un “inno alla Ragione” e “un inno alla Libertà”.
Scrive infatti: “ Il discorso che sta alla base del cristianesimo mi piace. Mi convince. Mi seduce a tal punto che non vi trovo alcun contrasto col mio ateismo e il mio laicismo. Parlo del discorso fatto da Gesù di Nazareth, ovvio, non di quello elaborato o distorto o tradito dalla Chiesa Cattolica ed anche dalle Chiese Protestanti. Il discorso, voglio dire, che scavalcando la metafisica si concentra sull’Uomo. Che riconoscendo il libero arbitrio, cioè rivendicando la coscienza dell’Uomo, ci rende responsabili delle nostre azioni, padroni del nostro destino. Ci vedo un inno alla Ragione, al raziocinio, in quel discorso. E poiché ove c’è raziocinio c’è scelta, ove c’è scelta c’è libertà, ci vedo un inno alla Libertà” (3).
Perché il “laicismo” imporrebbe di rigettare, insieme al clericalismo, la realtà del sacro o del mondo divino-spirituale (assicurandone così il monopolio confessionale), ci rimane tuttavia incomprensibile. E di quale ragione e di quale libertà sarebbe poi “inno” il Cristianesimo? Della ragione e della libertà “liberali”, risponde la Fallaci: ossia, della ragione astratta e di quella libertà “da” (o libertà “negativa”) che, nelle nostre note, abbiamo sempre distinto – come sa chi ci segue – dalla libertà “per” (o libertà “positiva”).
Nel suo libro, si rende infatti omaggio alla “Destra illuminata, liberale, civile, che viene definita Destra storica” (4), a “quei fior di uomini anzi di galantuomini” che “sloggiarono il Papa“ e “ci insegnarono il laicismo” (5), si cita il famoso saggio di Croce: Perché non possiamo non dirci cristiani (6), e si afferma pure che “senza il Cristianesimo non ci sarebbe stato il Rinascimento, non ci sarebbe stato l’Illuminismo, non ci sarebbe stata nemmeno la Rivoluzione Francese che malgrado le sue mostruosità era nata dal rispetto per l’Uomo e che in quel senso qualcosa di positivo ha lasciato o pungolato. Non ci sarebbe stato nemmeno il socialismo o meglio l’esperimento socialista. Quell’esperimento che è fallito in modo così disastroso ma che, come la Rivoluzione Francese, qualcosa di positivo ha lasciato o pungolato. E tantomeno ci sarebbe stato il liberalismo. Quel liberalismo che non può non essere alla base d’una società civile, e che oggi chiunque accetta o finge di accettare” (7).
Orbene, in tutto questo c’è indubbiamente del vero.
Tra il 1840 e il 1850 – osserva ad esempio Steiner – la coscienza proletaria non esisteva ancora, e “la borghesia (…) era allora in sostanza la guida del mondo politico. Un tratto caratteristico delle idee che allora avrebbero potuto realizzarsi in politica era la loro completa e assoluta astrattezza. E’ a tutti noto, almeno fino a un certo grado, che cosa siano le idee liberali (…) ed è pure risaputo che portatrice di queste idee fu la borghesia. Tutte le idee, però, che allora vivevano e che tentarono di penetrare nell’evoluzione storica dell’umanità erano idee del tutto astratte, a volte puro involucro senza contenuto. Ma questo non avrebbe importanza, perché nell’epoca dell’anima cosciente si dovette progredire mediante astrazioni e si dovettero formulare le idee-guida dell’umanità appunto nella loro forma astratta”. E aggiunge: “Già verso il 1880 si avvertiva che la borghesia non aveva capito le idee liberali e che in quei decenni, come classe, aveva sognato”; non esiste infatti “maggior antitesi fra le idee, magari astratte, ma pur luminose nella loro astrattezza, degli anni 1840-48 e le altre idee che, nel secolo XIX e in tutto il mondo civile, sono state chiamate “alti ideali umani”, tali considerati fino ai giorni nostri e alla fine coinvolti nella catastrofe” (8).
Chi non tenga affatto conto – come la Fallaci – del carattere “astratto” della ragione liberale e di quello soltanto “negativo” della sua libertà (in quanto libertà “da”), non potrà in ogni modo spiegare il perché la “Destra storica” si lasciò a un certo punto “rimpiazzare da Agostino Depretis, e sonnecchiando sulle antiche glorie incanutì. Si addormentò” (9), o il perché “quel Benedetto Croce che di filosofia se ne intendeva parecchio”, e che “sul cristianesimo diceva cose intelligenti”, “fin dall’inizio il fascismo lo riverì anzi lo servì” (10), oppure il perché le “idee magari astratte, ma pur luminose” del liberalismo (idealista) si siano presto trasformate in quelle concrete, ma oscure ed egoistiche del liberismo (utilitarista).
Fatto sta che l’albero del Cristianesimo (radicato nell’evento del Golgota) ha messo, sì, le foglie del Rinascimento, dell’Illuminismo, della Rivoluzione Francese, dell’esperimento socialista e ha preso appena a fiorire con il liberalismo (ma più ancora con quello che Steiner chiama il “goetheanismo”), ma è ancora ben lungi dall’aver dato i suoi frutti.
“Solo in virtù di una colossale menzogna – afferma addirittura Ernesto Buonaiuti – noi ci diciamo ancora cristiani. Il Cristianesimo lo dobbiamo conquistare” (11); e Steiner (nel 1920) così ribadisce: “ La tendenza alla falsità, spesso inconscia ma non per questo meno dannosa, ha colpito l’umanità proprio perché gli uomini sono diventati interiormente insinceri verso se stessi riguardo alle questioni più sacre, insinceri perché non dovrebbero più chiamare Cristianesimo quello che essi definiscono come tale. Per questo esiste l’inclinazione alla menzogna, per questo essa è tanto intimamente collegata agli avvenimenti che dovranno ormai portare alla completa decadenza della vita culturale europea, a meno che in essa non si rifletta in tempo sulla necessità di rivolgersi alla conoscenza spirituale” (12).
Quella della ragione o del raziocinio “liberale” è in realtà una debolezza (quella del non-essere), e non – come crede la Fallaci – una forza (quella dell’essere). Si tratta infatti di una ragione priva di vita, di spirito o di Dio (di un pensare privo di volere) che, non a caso, si trova oggi a confronto con una vita, uno spirito o un Dio privo di ragione (con un volere privo di pensare) (13).
Il nocciolo della questione è dunque rappresentato non tanto dalla forza della fede islamica quanto piuttosto dalla debolezza della ragione europea.
“Il vero volto dell’Occidente – afferma appunto la Fallaci – non è l’America: è l’Europa. Pur essendo figlia dell’Europa, erede dell’Europa, l’America non ha la fisionomia culturale dell’Europa (…) Per spenger l’incendio, dunque, ci vuole anzitutto e soprattutto l’Europa” (14); e spiega: “Nonostante le stragi attraverso cui i figli di Allah ci insanguinano e si insanguinano da oltre trent’anni, la guerra che l’Islam ha dichiarato all’Occidente non è una guerra militare. E’ una guerra culturale. Una guerra, direbbe Tocqueville, che prima del nostro corpo vuol colpire la nostra anima” (15).
Si tratterebbe dunque di combattere questa guerra con armi culturali, e non militari. Già, ma di quali armi culturali dispone oggi l’Europa? Forse di quelle antiquate, spuntate e arrugginite della tradizione? O di quelle moderne del pensiero “fallibile” di Popper o del pensiero “debole” di Vattimo, che altro non sono, a ben vedere, che delle innocue scacciacani? Oppure di quelle dell’odierno materialismo e scientismo che stanno già provvedendo a “colpire la nostra anima” riducendola a corpo, a ridurre il corpo a macchina e a studiare il modo in cui mettere in piedi, al più presto, l’ Homo cyber sapiens ? (16).
Come si può, d’altro canto, denunciare la nostra “paura di pensare” e la nostra “paura di essere liberi” (17), e prendersela poi con l’Islam? (Anche se l’Islam – come sottolinea la Fallaci –“nel suo vocabolario non contiene nemmeno il vocabolo Libertà. Per dire Libertà dice Affrancatura, Hurriyya. Parola che deriva dall’aggettivo “Hurr”, schiavo-affrancato, schiavo-emancipato”) (18).
Cosa c’entra l’Islam, ad esempio, con la pavidità, l’ipocrisia, la menzogna, l’ottusità e i bassi interessi che hanno finora impedito alla cultura europea di far suo l’insegnamento de La filosofia della libertà di Rudolf Steiner? (19) Di far suo, cioè, il solo insegnamento in grado di trasformare l’ asocialità dell’ego (dell’individualismo “borghese”) nella socialità dell’Io (dell’”individualismo etico”), la ragione astratta (il pensiero astratto) nella ragione vivente (nel pensiero vivente) e la libertà “da” nella libertà “per”: ovvero, in una libertà che sia viva, piena e luminosa espressione dello spirito (dell’Io)?
E non sarà allora che gli europei e gli occidentali, nell’impossibilità o nell’incapacità di avanzare dalla libertà “negativa” alla libertà “positiva”, stanno cedendo alla tentazione di fuggire quest’ultima e di regredire a uno stato in cui gli individui hanno solo il dovere di ubbidire, e non più la responsabilità di scegliere: alla tentazione, insomma, di quella Fuga dalla libertà di cui ha parlato a suo tempo Erich Fromm? (20).
Con questo – si badi – non intendiamo di certo ignorare o sottovalutare il pericolo rappresentato dall’Islamismo radicale; vogliamo piuttosto evidenziare che quest’ultimo, similmente a ogni agente esterno, si rende tanto più patogeno quanto più si rende debole o immuno-deficiente l’organismo in cui si introduce e che lo ospita.
Dice ancora la Fallaci: “C’è il declino dell’intelligenza. Quella individuale e quella collettiva” (21). Il guaio vero, però, è che, per un’intelligenza astratta che tramonta, non c’è un’intelligenza reale che sorge; e che non c’è perché gli attuali rappresentanti della cultura e della scienza fanno di tutto per impedirle di sorgere.
“In futuro – afferma appunto Steiner (siamo nel 1917) – si capirà quale sia lo stato dei fatti a tale proposito e quali forze siano oggi in azione, ad esempio, per impedire in larga misura che si crei una medicina spiritualizzata o un’economia spiritualizzata. Per ora non si può far altro che parlare di queste cose fino a che gli uomini, disposti ad accoglierle in modo non egoistico, le abbiano ben comprese. Molti ritengono di poterci riuscire già oggi, ma nel momento attuale tanti fattori sono d’ostacolo e saranno superati nel modo giusto solo se vi sarà una comprensione sempre più profonda e se si rinuncerà, almeno per un certo periodo, a un’applicazione diretta e pratica su vasta scala” (22).
Parliamoci chiaro: non abbiamo alcuna intenzione di iscriverci (o di essere iscritti) al partito di coloro che amano la Fallaci, né tantomeno a quello di coloro che la odiano. Apprezziamo la spregiudicatezza con cui dice “pane al pane e vino al vino”, così come la forza e il coraggio con i quali grida il malessere o il dolore che le procura un mondo che non sembra volersi minimamente riscuotere dalla propria indolenza, dalla propria ignavia e dalla propria meschinità (“Francia o Spagna purché se magna”) (23). Siamo altresì convinti, come lei, che la “gente non pensa più. O pensa senza pensare con la propria testa” (24), che “i mediocri del Politically Correct negano sempre il merito”, sostituendo “sempre la qualità con la quantità”, benché sia la qualità, e non la quantità, a muovere il mondo (25) (ma perché allora non battersi per una scienza della “qualità” o dello spirito?), che la “Sinistra è una Chiesa” (26), che il nemico comune di tutti i totalitarismi (politici, religiosi e politico-religiosi) è la “vecchia società liberale, borghese, capitalistica” (27) (che avrebbe dovuto cominciare infatti a trasformarsi, già da tempo, in un “organismo sociale triarticolato”) e che urge, infine, “un’esame di coscienza” (28).
Tutto ciò non c’impedisce però di rilevare i limiti e l’unilateralità della sua appassionata denuncia: limiti e unilateralità derivanti soprattutto dal fatto che quella che la anima è più una forza della natura (del carattere e del temperamento) che non dello spirito (del pensiero).
Volendo utilizzare un’immagine, è come se la Fallaci, in sostanza, esprimesse violentemente il suo sdegno stando al capezzale di un paziente (in specie l’Italia) che non solo ha paura di riconoscere la gravità del suo male, ma che, nel suo sforzo di minimizzarne o negarne la natura, si vede anche appoggiato e sostenuto, irresponsabilmente, dagli specialisti della “Triplice Alleanza”. A suo dire, è stata infatti la “Triplice Alleanza”, quella fra “Destra e Sinistra e Chiesa Cattolica”, a consegnare “l’Italia al nemico” (29).
La capacità di denunciare in modo sincero e accorato la gravità di un male è cosa tuttavia ben diversa dalla capacità d’individuarne le cause e di proporne una terapia.
Ritiene forse la Fallaci che, eliminati il comunismo, il fascismo, il nazismo e l’Islamismo, si potrebbe ancora vivere nella “vecchia società liberale, borghese, capitalistica”? Possibile non si sia accorta che quanto non sono riusciti a fare i primi tre, e che speriamo non riesca a fare il quarto, lo sta già facendo il totalitarismo economico, cioè a dire il liberismo?
”
Note:
01) O.Fallaci: La forza della ragione – Rizzoli International, New York 2004, p.189;
02) S.Natoli: Il cristianesimo di un non credente – edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2002. Vedi la “noterella” del 12 febbraio 2003 e le note: Europa, paura e vergogna del 14 febbraio 2003 e Pensiero cristiano e anticristiano del 28 marzo 2003;
03) O.Fallaci: op.cit. pp.190-191;
04) ibid., p.202;
05) ibid., p.204;
06) ibid., p.193;
07) ibid., pp.193-194;
08) R.Steiner: Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961, pp.87, 88 e 89;
09) O.Fallaci: op.cit., p.204;
10) ibid., p.205;
11) G.B.Guerri: Eretico e profeta – Mondadori, Milano 2001, p.1;
12) R.Steiner: Pasqua, la festa dell’esortazione – Arcobaleno, Oriago di Mira (Ve) 1985, pp.13-14;
13) vedi la nota Identità cristiana e identità europea del 20 maggio 2002;
14) O.Fallaci: op.cit., p.276;
15) ibid., p.275;
16) Panorama , 8 aprile 2004;
17) O.Fallaci: op.cit., p.267;
18) ibid., pp.88-89;
19) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
20) E.Fromm: Fuga dalla libertà – Mondadori, Milano 2001;
21) O.Fallaci: op.cit., p.259;
22) R.Steiner: Il mistero del doppio – Antroposofica, Milano 1996, p.112;
23) O.Fallaci: op.cit., p 266;
24) ibid., p.260;
25) ibid., p.204;
26) ibid., p.223;
27) ibid., p.223;
28) ibid., p.269;
29) ibid., p.188.