Dell’ego-Caino

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Nella nota Democrazia e antropocrazia (1), alludendo alla possibilità – come si dice oggi – di “esportare” o meno la democrazia in Oriente (o nel Medioriente), abbiamo riportato la seguente affermazione di Steiner: “Si deve aver chiaro che ci occorre una libera vita spirituale produttiva, e che dobbiamo coltivarla se vogliamo avere possibilità di relazioni con l’Oriente. Parimenti, per poter trattare con l’Occidente, dobbiamo avere una vita economica nella quale non si immischi né lo Stato, né la vita spirituale, nella quale siano attivi solo gli uomini d’affari (…) E’ importante guardare alle reali necessità della vita; dobbiamo cioè avere la triarticolazione dell’organismo sociale, al fine di inviare verso Occidente operatori economici non influenzati dalle macchinazioni dello Stato e della vita spirituale; ci occorre una libera vita spirituale per avere la possibilità di allacciare relazioni con l’Oriente” (2).
Ci sono tornate alla mente queste parole leggendo quanto scrive Amitai Etzioni, a proposito dell’attuale conflitto irakeno: “Gli Stati Uniti dovrebbero desistere dal promuovere in Irak e in altri paesi, una società civile laica come unica alternativa a una teocrazia sciita di stampo talebano”; l’attuale posizione americana “non è che un’estensione del concetto illuministico secondo il quale la modernità si fonda sul pensiero razionale, caratteristica estranea alla religione; pertanto, la religione è storia mentre il secolarismo (ragione, scienza) è il futuro. Di conseguenza, le società in cui la religione detiene ancora un ruolo chiave sono considerate obsolete, arretrate. Eppure siamo sempre più consapevoli che in ogni parte del mondo la gente ha bisogni spirituali che non possono essere contenuti, né tantomeno soddisfatti, dagli ideali illuministici” (3).
Occorrerebbe tuttavia distinguere quella parte del mondo (europea e occidentale) in cui la gente è spiritualmente insoddisfatta, nonostante abbia fatto largamente suoi gli ideali dell’illuminismo e del secolarismo, da quella parte (orientale e mediorientale) in cui la gente è viceversa spiritualmente soddisfatta, benché non abbia fatto per nulla suoi tali ideali; occorrerebbe distinguere, in altri termini, quella parte (moderna) del mondo in cui si avverte il bisogno di una nuova spiritualità da quella parte (pre-moderna) in cui si è invece (e legittimamente) paghi di una spiritualità (o di una fede) tradizionale.
Tale distinzione può permettere infatti di capire il perché quest’ultima respinga un laicismo e una democrazia che veicolano ateismo, materialismo, scientismo, egoismo, e non spiritualità.
Di questo stato di cose sono soprattutto responsabili gli odierni europei che, avendo rinnegato l’aureo filone della cultura goetheanistica (o mitteleuropea), sanno ormai solo dividersi tra occidentalisti (americanisti) e orientalisti (antiamericanisti). E’ facile capire, del resto, tornando all’affermazione di Steiner, che degli europei che allacciassero relazioni con l’Oriente quali portatori di una nuova e libera vita spirituale (e quindi di un Io o di un Sé spirituale) sarebbero cosa ben diversa dagli europei che le allacciano, come avviene adesso, quali portatori di concreti ed egoistici interessi economici e politici, cui, all’occorrenza, chiamano a fare da copertura una spiritualità (o una fede) tradizionale che proprio gli ideali illuministici e il secolarismo (la ragione, la scienza) hanno oltretutto reso debole e superficiale.
Quest’ultimo fattore può per di più ingenerare un tragico equivoco: può infatti far credere (in specie a chi nutra una forte fede tradizionale) che gli europei siano davvero animati dagli ideali spirituali o religiosi di cui si rivestono; può far credere, cioè, che quel Cristianesimo di cui si servono per mascherare i loro veri e ben più mondani interessi sia davvero il Cristianesimo.
Paul Berman – riferisce appunto Massimo Teodori – “mette in rilievo come il totalitarismo musulmano moderno nelle sue numerose varianti – prima di tutte quella Ba’th di Saddam Hussein e l’islamico-califfale di Osama bin Laden – conduca una vera e propria guerra di religione (jihad) senza limiti contro l’America e l’Europa: “La colpa dell’Occidente è il cristianesimo e la sua influenza deleteria sulla cultura moderna, esportata dalla potenza dei Paesi occidentali”” (4).
Perché però non chiedersi: è il Cristianesimo ad avere un’influenza deleteria sulla cultura che esportano i Paesi occidentali o non è piuttosto la cultura che esportano i Paesi occidentali ad avere un’influenza deleteria sul Cristianesimo?
Noi siamo, ovviamente, del secondo avviso. E qual è il più deleterio degli effetti di una siffatta influenza? E’ presto detto: la riduzione del carattere libero, spirituale e universale del vero Cristianesimo al carattere dogmatico, dottrinario e particolare di una religione e delle varie Chiese che dicono di rappresentarla (5).
Osserva infatti Steiner: “Il Cristianesimo, nelle sue radici più profonde e fin dal principio, era destinato ad essere una religione per tutti gli uomini, senza differenza di fede, di nazionalità, di popolo, di razza e di tutto quanto altrimenti divide gli uomini fra di loro. Il Cristianesimo viene compreso rettamente soltanto se viene capito in modo da toccare nell’uomo l’elemento umano, quell’elemento umano che è in ogni uomo (…) Soltanto quando i cristiani saranno diventati tanto cristiani da ricercare l’elemento cristiano in tutte le anime umane, e non perché hanno tentato di inocularlo nelle altre anime mediante la conversione allora sarà rettamente compresa la radice del Cristianesimo” (6).
Ricercare “l’elemento cristiano in tutte le anime umane” vuol dire appunto ricercare l’elemento umano in tutte le anime umane, e riuscire perciò a vedere, nel musulmano, prima l’uomo che il musulmano, nell’ebreo, prima l’uomo che l’ebreo, nell’induista, prima l’uomo che l’induista, e così via. Solo quest’uomo che è in ogni uomo è infatti l’Ecce homo o il Cristo.
Certo, una cosa è la realtà del Cristo, altra quella della coscienza del Cristo. E della natura universale della prima, non si è finora avuta, in Europa e nell’Occidente, che una coscienza particolare e per ciò stesso incapace di accogliere, armonizzare e unificare, andandone al di là, tutte le altre particolarità (tanto che Steiner arriva addirittura a dire: “Se potessimo persuaderci che è lecito designare l’entità del Cristo con un nome diverso, lo faremmo senz’altro”) (7).
Dice ancora Steiner: “Se si parla di una cristologia nel senso reale, cosmologico della parola, non si enuncia una preferenza del Cristianesimo in confronto alle altre religioni. Sarebbe come se nei libri sacri di una religione qualsiasi stesse scritto che il Sole è un pianeta come gli altri; poi viene un tale a proclamare che il Sole va invece distinto dai pianeti; la gente si oppone a questa affermazione, dicendo che si tratta di una preferenza accordata al Sole! Non si tratta di una preferenza, ma semplicemente del riconoscimento della verità stessa” (8).
Accordare preferenza a una particolare religione a discapito delle altre, o pretendere di renderla universale imponendola più o meno fanaticamente o forzosamente a tutti, è cosa dunque ben diversa dall’accogliere e raccogliere tutte le religioni in una religione o in una spiritualità che sia tanto universale quanto lo è l’umanità.
E’ però impossibile sviluppare questo tipo di religione o di spiritualità se non si sviluppa l’autocoscienza. Vi è infatti un essenziale e profondo rapporto tra la coscienza che gli uomini hanno di Dio e quella che hanno dell’Io (ossia di sé stessi).
Accade, tuttavia, che laddove è prevalente una forte coscienza collettiva dell’Io si ha un forte legame nazionale, etnico, tribale o famigliare con Dio, mentre laddove è prevalente una forte coscienza individuale dell’Io (il moderno individualismo) si ha un legame sempre più tenue con Dio, o non lo si ha più affatto. Accade, in altre parole, che laddove prevale il Padre non nasce l’ego, mentre laddove prevale l’ego muore il Padre e nasce il Figlio: quel Figlio che dovrebbe appunto redimere l’ego-Caino, ma che – come ricorda il Vangelo di Giovanni – il mondo “non conobbe” e i suoi “non ricevettero”.
Non è allora comprensibile che l’Oriente avverta nell’Io senza Spirito un pericolo per il suo Spirito senza Io? Che senta cioè minacciata la propria spiritualità dal materialismo, dallo scientismo, dall’ateismo, o dalle eventuali pretese di un Cristianesimo ridotto a una particolare confessione? E per quale ragione non dovrebbe quindi temere che lo si costringa a importare, insieme alla democrazia, quel lacerante vuoto interiore o – per dirla con Viktor Frankl (9) – quella “sofferenza di una vita senza senso” che sempre più lacera e corrode l’anima moderna?
Il problema dell’autocoscienza ci riporta però ad Amitai Etzioni.
Stando a quanto riferisce Paola Meozzi (10), questi infatti, nel saggio introduttivo al volume da lui curato: Nuovi comunitari. Persone, virtù e bene comune (11), “partendo dal tema classico cui prende spunto la querelle Liberals-Communitarians degli anni Ottanta, ovvero quello della distinzione tra libertà “positiva” e “negativa” – quest’ultima intesa come accezione tipica del pensiero liberale – illustra brevemente il significato di un’opera che vuole essere una “ripresa”, seppure in un contesto diverso, delle analisi critiche condotte da pensatori di matrice diversa, per comodità raggruppati sotto il termine di “neo-comunitaristi””.
Ebbene, che cosa c’è di nuovo nel panorama offertoci da quest’opera? Nulla. La critica del “concetto liberale “atomistico” di individuo” (cioè a dire, dell’ego o del soggetto dell’habeo, ergo sum) vi si trova infatti svolta, non in vista di una superiore coscienza dell’Io stesso, bensì in vista di una “identità personale” che dovrebbe configurarsi “attraverso la dimensione collettiva, come appartenenza, radicamento, attraverso un rapporto dialogico tra società ed individuo, in un continuo divenire”: in vista, dunque, di una filastrocca di astrazioni che servono solo a ridare un po’ di fiato alla vecchia e sterile diatriba tra i collettivisti e gli individualisti.
Quanto tali “neo-comunitaristi” (che soltanto per pudore – supponiamo – non si dicono “neo-comunisti”) siano incapaci non solo di concepire uno sviluppo dell’Io sociale (del Sé spirituale) muovendo dall’interno dell’Io asociale (dell’ego-Caino), ma anche di argomentare se non in modo intellettualistico, astratto e velleitario, diviene quantomai evidente allorché arrivano a cimentarsi – com’è detto testualmente – col “problema della giustificazione dei “valori superiori””.
Dice appunto la Meozzi: “Tra i vari tipi di giustificazione – religiosa empirica, deontologica – Etzioni riconosce come più soddisfacente l’argomento deontologico e, tuttavia, afferma che “una domanda difficile è quale sia la fonte di questi valori superiori, contestuali e, soprattutto cosa conferisca loro una speciale posizione” (p.22). Dietro questa domanda, ci fa notare, ve ne è inevitabilmente un’altra, quella sulla natura umana, vista da un lato come prodotto artificialmente costruito da rappresentazioni culturali e, dall’altro, come fattore universale e astorico (posizione condivisa dallo stesso Etzioni). Entrambe le interpretazioni possono dar luogo a giustificazioni dello status quo di determinati assetti discriminatori. Alan Wolfe condivide con Etzioni l’idea che l’essere umano è “socievole per natura” e ciò, a suo parere, è sostenuto dai contributi empirici della ricerca biologica (cfr. pp.94-102), pur essendo tuttavia consapevole del pericolo di un’eventuale interpretazione dogmatica di quest’ultima (pp.102-104)”.
Ma non è questo quell’Etzioni cui abbiamo sentito dire, all’inizio, che “in ogni parte del mondo la gente ha bisogni spirituali che non possono essere contenuti, né tantomeno soddisfatti, dagli ideali illuministici”? E come può credere, allora, che quella stessa gente possa togliersi la “sete” dello spirito col “prosciutto” dell’idea, questa sì “artificiale”, che la natura umana sia “costruita” dalle “rappresentazioni culturali” (che chissà, a loro volta, da cosa sono costruite?), o dell’idea “metafisica” che sia un “fattore universale e astorico”, oppure dell’idea naturalistica e riduttiva (di Alan Wolfe) che abbia un mero carattere biologico?
Ha quasi dell’incredibile, in realtà, che si giunga a porsi domande sulla “fonte” dei “valori superiori”, su ciò che conferisce loro una “speciale posizione” e sulla “natura umana” senza prendere al contempo in considerazione l’unica scienza che potrebbe seriamente e fondatamente dare loro risposta: ovvero, la scienza dello spirito (orientata antroposoficamente) di Rudolf Steiner.
Per quanto ancora, però, si potranno dare delle risposte così evasive e inconsistenti alle domande sempre più gravi rivolteci dal nostro tempo? Per quanto ancora, cioè, ci si potrà continuare a baloccare con simili astrazioni o assurdità?
Una cosa è certa: se non impareremo presto a riscoprire in modo nuovo, libero e vivo la realtà dello spirito, permettendo così, all’Io o al Sé spirituale (“socievole per natura”), di sbocciare dall’ego, verremo prima o poi travolti da una spiritualità pre-moderna che cancellerà, insieme all’ego, quella libertà “negativa” e quella democrazia di cui andiamo storicamente debitori al pensiero liberale.

P.S.
Come l’Associazione “Nessuno tocchi Caino”, presieduta da Marco Pannella, si batte contro la pena di morte, così ciascuno di noi dovrebbe battersi affinché “nessuno tocchi l’ego”: affinché l’ego-Caino, cioè, venga redento, e non messo a morte.

Note:

01) Democrazia e antropocrazia, 1 giugno 2003;
02) R.Steiner: Come si opera per la triarticolazione dell’organismo sociale – Antroposofica, Milano 1988, pp.46-47;
03) il Giornale, 15 aprile 2004;
04) il Giornale, 15 aprile 2004;
05) C’è un Dio per l’io?, 7 giugno 2002;
06) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita – Libreria Editrice Psiche, Torino 1997, pp.42,43;
07) R.Steiner: Il Vangelo di Matteo – Antroposofica, Milano 1990, p.247;
08) R.Steiner: Il Vangelo di Marco – Antroposofica, Milano 1993, pp.41- 42;
09) V.Frankl: La sofferenza di una vita senza senso – Elle Di Ci, Colle Don Bosco (Asti) 1978;
10) Bollettino telematico di filosofia politica, www.philosophical.org/bfp/;
11) A.Etzioni (a cura di): Nuovi comunitari. Persone, virtù e bene comune – Arianna, Bologna 2001.

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Di Francesco Giorgi
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