L’aldilà e l’aldiqua

L

Si è in genere convinti che l’aldilà, ovvero il mondo spirituale, al contrario dell’aldiqua, ovvero del mondo sensibile, possa essere oggetto di fede, ma non di conoscenza.
Tale convinzione, però, deriva unicamente dal fatto che della realtà non si coglie di norma che la superficie o, per l’appunto, “l’aldiqua”: che non se ne coglie, ossia, che l’immagine percettiva e la rappresentazione.
C’è dunque un aldilà dell’aldiqua? Certo che c’è. E’ quello, ad esempio, in cui Kant colloca l’inconoscibile “cosa in sé” o “noumeno” e in cui Steiner colloca invece la conoscibile entelechia: vale a dire, quell’essenza dell’aldiqua, o del mondo fenomenico, che si presenta, alla percezione, quale percetto e, al pensiero, quale concetto.
Riuscendo a conoscere l’aldilà (l’essenza) dell’aldiqua (dell’esistenza) si riuscirebbe quindi a realizzare che l’aldiqua non è che l’aldilà visto dall’esterno e che l’aldilà non è che l’aldiqua visto dall’interno; o, in altre parole, che l’aldiqua non è che l’aldilà appreso mediante gli organi di senso fisici e che l’aldilà non è che l’aldiqua appreso invece dallo spirito (dall’Io).
Quanto gli esseri umani conoscono durante la vita nel corpo fisico (tra nascita e morte) è pertanto il rovescio (ma anche il complemento) di quanto conoscono gli esseri umani che (tra morte e rinascita) non vivono in un corpo fisico: ossia, i defunti.
Per i defunti – afferma appunto Steiner – “è privo di valore ciò che qui è “esistente”. Nella vita spirituale si è di fronte soltanto a esseri spirituali che agiscono sulle anime. Essi vanno anzitutto visti. Quando si è nel mondo spirituale, si hanno intorno esseri delle gerarchie spirituali: Angeli, Arcangeli e così via. Si sa che essi sono presenti. Se devono esserlo, occorre però anzitutto destarli a quel che qui si chiama “esistente”. Ciò che nel mondo spirituale agisce su di noi deve portare all’immaginazione. L’esistente non risvegliato, rispetto a cui nulla si fa, ciò che è semplicemente presente non ha ivi valore di esistenza” (1).
Gli esseri umani che vivono nel corpo fisico devono dunque essere attivi per ricavare l’essenza dall’esistenza, mentre gli esseri umani che non vivono nel corpo fisico devono essere attivi per ricavare l’esistenza dall’essenza.
“Le anime che vivono nel mondo spirituale, – prosegue infatti Steiner – per avere una percezione, devono essere sempre attive e ad esempio sapere: ora vi è un’altra anima nelle mie vicinanze e per vederla devo essere interiormente attivo. Devono cioè costruirsi l’immagine che non si forma da sé, come avviene qui nel mondo fisico. Nel mondo spirituale si ha prima il pensiero della “presenza”, e occorre poi sperimentarla interiormente affinché si formi l’immagine. E’ un cammino a rovescio” (2).
Dunque, nell’aldiqua (nel mondo fisico) si dà in modo spontaneo l’immagine (il fenomeno) e va conquistata in modo attivo l’essenza (il noumeno), mentre nell’aldilà (nel mondo spirituale) si dà in modo spontaneo l’essenza (il noumeno o la “presenza”) e va conquistata in modo attivo l’immagine (il fenomeno).
“Qui sulla terra – dice ancora Steiner – si è circondati dalla natura, ma il mondo spirituale al quale ci si deve elevare non è senz’altro presente. Non occorre una speciale fatica per avere la natura attorno a sé. Essa si presenta come qualcosa di esistente, e per questo i materialisti amano averla attorno. Non è però più così nel mondo spirituale. Nulla vi esiste che non vada sempre elaborato; occorre sempre essere attivi” (3).
Ma per quale ragione diciamo queste cose? Perché si realizzi, una buona volta, che il modo in cui si pensa l’aldilà dipende in toto dal modo in cui si pensa l’aldiqua. E come si pensa oggi l’aldiqua? Come insegna la scienza materialistica: vale a dire una scienza che, abbacinata interiormente da Lucifero e ottenebrata esteriormente da Arimane (4), non tanto nega l’aldilà quanto piuttosto lo colloca catagogicamente nella sfera inferiore o sub-naturale delle cosiddette “particelle” (elementari), e non anagogicamente nella sfera superiore dello spirito: che lo colloca, ossia, laddove s’incontrano appunto, in veste di “quanti”, le contro-immagini (i “doppi”) delle essenze o dei “quali”.
Il che sta dunque a significare che la scienza materialistica è in realtà un’inconscia scienza spirituale o, per meglio dire, una scienza “animata” da uno spirito che per affermare se stesso deve negare lo spirito, e per ciò stesso mentire e occultarsi (nelle tenebre o nell’inconscio).
Ma com’è possibile una cosa del genere? E’ possibile se si tiene conto di quanto afferma qui Steiner: “Che cosa è la scienza? In realtà non è altro che l’albero che crebbe sulla tomba di Adamo, e si avvicinano sempre più i tempi in cui gli uomini riconosceranno che la scienza è l’albero che era cresciuto sulla tomba di Adamo. Si avvicina il tempo in cui gli uomini riconosceranno che quell’albero deve diventare il legno che sia la croce per l’umanità; potrà essere una benedizione soltanto se vi sarà crocifisso ciò che nel modo giusto si unisce con quanto vi è al di là della morte e che vive già qui nell’uomo, ciò a cui guardiamo nella santa notte del Natale quando sentiamo nel modo giusto il suo mistero che è presentato in modo infantile e che tuttavia nasconde i massimi pensieri” (5).
Ma qual è “l’albero che crebbe sulla tomba di Adamo”? E’ quell’albero della “conoscenza del bene e del male” il cui frutto il serpente offerse a Eva e Adamo che ne mangiarono, disobbedendo così a Dio.
“In alcuni tempi – spiega infatti Steiner – si raccontava che quell’albero crebbe sulla tomba dove era stato seppellito il peccatore Adamo che era stato allontanato dal Paradiso. Vediamo così il pensiero: Adamo riposa nella tomba, l’uomo che è passato attraverso il peccato, che era stato sedotto da Lucifero, riposa nella tomba, si è unito col corpo della terra. Da quella tomba nasce però l’albero che ora può sorgere dalla terra con la quale si era unito il corpo di Adamo. Il legno di quell’albero passa poi nella stirpe della quale faceva parte anche Abramo e più tardi Davide. Dal legno di quell’albero, che era cresciuto in Paradiso e che era ricresciuto sulla tomba di Adamo, con quel legno venne fatta la croce alla quale fu appeso Gesù” (6).
L’albero della “conoscenza del bene e del male” (della conoscenza morta, analitica o dualistica dell’intelletto) può essere dunque restituito e riunito all’albero della “vita” (alla conoscenza viva, sintetica o monistica dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione), dal quale fu separato a causa del peccato, solo da chi è capace d’innestarvi l’impulso del Cristo: di quell’Essere o di quell’”io del mondo” (7) che dice appunto: “In verità, in verità vi dico: viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5, 25).
Dice infatti Steiner: “La conoscenza vive nell’evoluzione della terra, è presente. Quando però la osservo, essa diviene per me qualcosa di diverso da come in origine sarebbe dovuta essere. Diventa per me qualcosa che devo modificare se si deve poter raggiungere lo scopo e il compito della terra. Dalle mie azioni sulla terra vedo crescere qualcosa che deve modificarsi. Ne cresce l’albero che diventa la croce dell’esistenza terrestre, l’albero che diventa ciò verso cui deve tendere il nuovo rapporto dell’uomo, perché quello vecchio faceva appunto crescere l’altro albero” (8): ovvero l’albero di quella scienza materialistica la cui immagine della terra non è che “una copia di cartapesta” (9).
Ciò vuol dire che, all’impulso centrifugo e catagogico dell’attuale scienza materialistica, che si sforza di spiegare la vita a partire dalla morte, si deve cominciare a opporre un impulso centripeto e anagogico, che si sforzi di spiegare la morte a partire dalla vita. Vuol dire, in altri termini, che si deve cominciare a opporre alla scienza della natura dettata da Arimane, una scienza della natura ispirata da Michele.
“Chi si attiene a Michele, – osserva infatti Steiner – coltiva l’amore nella relazione con il mondo esterno, e così trova quella relazione con l’interiorità della propria anima che lo congiunge al Cristo” (10).
La cultura odierna taglia dunque il “ponte” che collega il mondo esterno (dell’aldiqua o della natura), monopolizzato arimanicamente dalla scienza, con il mondo interno (dell’aldilà o dell’anima e dello spirito), monopolizzato lucifericamente dalla fede, mentre Michele, alla stessa stregua di un Pontifex, aiuta a edificarlo e difenderlo, permettendo così agli uomini di congiungersi nell’anima col Cristo, e di superare quindi il dualismo tra l’aldiqua e l’aldilà: cioè a dire, tra l’immanenza e la trascendenza, tra l’umano e il divino o, per rimanere nell’uomo, tra la testa e il restante organismo. Michele, compenetrando l’intellettualità, mostra infatti come questa “contenga la possibilità di essere un’espressione del cuore e dell’anima, altrettanto bene quanto lo è della testa e dello spirito” (11).
Già nel 1915, del resto, Steiner così avvertiva: “L’evoluzione della vita culturale, in particolare degli ultimi decenni, ha preso uno sviluppo tale che chi si affida a quella che oggi, nell’epoca materialistica, si chiama “vita culturale” stende un velo su quanto vive nell’interiorità umana” (12).
Nella Fiaba della serpe verde e della bella Lilia di Goethe (13) il “ponte” che collega la riva del mondo sensibile (rappresentato dalla “serpe verde”) e la riva del mondo sovrasensibile (rappresentato dalla “bella Lilia”), viene costruito grazie al sacrificio e alla sostanza della serpe stessa (14).
E ne Il canto del sogno di Olaf Åsteson (15), del “ponte” che “si inarca sopra il mitico fiume Gjöll che segna il confine verso il mondo spirituale”, così viene detto:

Giunsi al ponte di Gjallar.
Sospeso nelle altezze supreme del vento,
d’oro rosso è rivestito
e ha chiodi con punte aguzze.
………………….
Mi battè il serpente degli spiriti,
mi morse il cane degli spiriti,
il toro stava nel mezzo della via.
Queste sono le tre creature del ponte.
Esse sono terribilmente cattive.
…………………….
Il cane morde davvero,
e il serpente vuole pungere,
il toro minaccia potente!
Non lasciano passare il ponte a nessuno
che non voglia onorare la verità
…………………….
Io son passato sul ponte,
che è stretto e dà le vertigini.
Dovevo guadare paludi…
Ora le ho alla mie spalle!
…………………….

Note:

01) R.Steiner: Formazione del destino e vita dopo la morte – Antroposofica, Milano 1995, p.55;
02) ibid., p.67;
03) ibid., p.55;
04) spiega Steiner: “Quando con Lucifero in noi si comincia a vedere il mondo, osservandolo si incontra Arimane. I due infatti si cercano nella relazione umana col mondo” – ibid., p.147;
05) ibid., pp.118-119;
06) ibid., pp.106-107 (ci si riferisce qui, in particolare, alla Legenda aurea di Iacopo da Varazze, del sec.XIII);
07) ibid., p.123;
08) ibid., pp.108-109;
09) ibid., p.127;
10) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p.105;
11) ibid., p.102;
12) R.Steiner: Formazione del destino e vita dopo la morte, p.137;
13) W.Goethe: Favola – Adelphi, Milano 1995;
14) R.Steiner: Tre saggi su Goethe – Bocca, Torino 1932;
15) R.Steiner: Formazione del destino e vita dopo la morte, pp.128/136 (traduzione di Claudio Puglisi).

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Di Francesco Giorgi
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