07/05/2004

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L’articolo dal quale abbiamo preso spunto per la “noterella” del 5 maggio 2004, faceva seguito alle polemiche suscitate dal fatto che l’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra, in un suo intervento a un recente convegno del Centro Sportivo Italiano, ha sostenuto “che “educare significa introdurre una persona nella realtà”, che “non si introduce una persona nella realtà se non la si introduce nel significato della realtà” e che “la cultura attuale (la cosiddetta post-modernità) è dominata dalla negazione di quel rapporto originario”. In conseguenza di questo atteggiamento irrazionale “non esiste una realtà da interpretare, esistono solo interpretazioni della realtà, “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni” (F.Nietzsche)” (Tempi, 6-12 maggio 2004, p.23).
Massimo Cacciari, ad esempio, così ha commentato: “Un discorso di questo genere è ingiudicabile dal punto di vista di un’elementare educazione filosofica. Fa male che ci siano uomini di Chiesa che non riescono a fare i conti con l’effettiva complessità della filosofia e della cultura contemporanea”; e Yasha Reibman (portavoce della comunità ebraica milanese, medico ed ex consigliere regionale radicale), in una lettera indirizzata a Caffarra, ha osservato: “La convinzione di possedere “la interpretazione” della realtà contiene una tentazione pericolosa cui spesso è stato difficile resistere. Quella di voler imporre, per il bene altrui, la realtà così come l’abbiamo compresa. Così facendo si perde l’idea di “proposta” e si passa alla costrizione” (ibid., p.3).
A dispetto della sua “educazione filosofica” (non di certo “elementare”), Cacciari non sembra dunque essersi accorto che la “complessità della filosofia e della cultura contemporanea” è in realtà un disorientamento o uno smarrimento.
La cosiddetta “post-modernità”, anziché muovere dalla realtà fisica o dal realismo delle cose e raggiungere, attraversando quella animica, la realtà spirituale o il realismo delle idee (come quello presente, ad esempio, nelle opere scientifiche di Goethe, e in seguito ripreso, sviluppato e portato a maturazione da Rudolf Steiner), si è ormai infatti smarrita nelle molteplici e oscure selve della soggettività psichica o del cosiddetto ”antirealismo” (cfr. J.R.Searle: Mente, linguaggio, società – Cortina, Milano 2000).
Si pensi, tanto per servirci di un’immagine, al labirinto. Che cos’è il labirinto? E’ una prova: vi si entra infatti per uscirne, e non per dimorarvi (e per essere magari divorati dal Minotauro). Ebbene, se i realisti ingenui o delle cose si trattengono al di qua del labirinto, gli antirealisti invece vi penetrano, ma (non disponendo del filo di Arianna) vi si perdono. Quel ch’è più grave, però, è che costoro, non riuscendo a uscire dal labirinto (a superarne cioè la prova), si danno allora a “razionalizzare” (E.Jones) il loro stato, teorizzando, in modo più o meno dotto o raffinato, ch’è soltanto in un labirinto che si può vivere, e che pertanto sia quelli che non vi entrano sia quelli (invero rari) che ne escono (che ne superano cioè la prova) non hanno “un’elementare educazione filosofica” o “non riescono a fare i conti con l’effettiva complessità della filosofia e della cultura contemporanea”.
Ciò che proverbialmente fa la volpe con l’uva, Cacciari lo fa dunque con la realtà dello spirito o dell’Io, mentre Yasha Reibman lo fa con la verità. Non dando mostra di nutrire alcuna fiducia nel fatto che il pensare (il filo di Arianna) possa, in virtù di un libero e opportuno autosviluppo, raggiungere la verità, e paventando quindi (a ragione) che una qualsiasi opinione possa usurparne il ruolo e venire per ciò stesso imposta (utilizzando magari “lo Stato con le sue leggi come proprio esecutore”), cosa fa infatti Reibman? In nome della libertà, baratta la verità con la “proposta”.
Non sembra dunque essersi accorto che una libertà senza verità non è libertà, così come una verità senza libertà non è verità: non sembra essersi accorto, insomma, che la verità (del pensare) sta alla libertà (del volere) così come l’opinione sta all’arbitrio o alla “costrizione”.

Di Lucio Russo
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