Pensatori e retori

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Nella nostra ultima nota, abbiamo osservato “che vi è una strutturale (e sempre più perniciosa) contraddizione o lacerazione tra l’individualismo che anima (nel bene e nel male) la vita economico-politica della modernità e il collettivismo (confessionale) che non riesce più ad animare la sua vita spirituale o religiosa”, e che l’anima europea, per arrestare il suo presente declino, dovrebbe impegnarsi a “trasformare l’individualismo “borghese” nell’individualismo “etico” o, per così dire, La religione della libertà di Croce ne La filosofia della libertà di Steiner“ (1).
Ebbene, si ascolti quanto dice lo stesso Croce, nel dicembre del 1939: “Tutti vedono e tutti ammettono che il sentimento e l’idea della libertà sono stati, con la grande guerra e dopo la grande guerra, fortemente scossi e turbati nel mondo, e non solo gli ordinamenti liberali sono caduti in molti paesi dove si stimavano ben saldi, ma per ogni dove, e generalmente, gli animi si dimostrano disaffezionati, perplessi e tiepidi verso quell’ideale che non riempie più i cuori né regge e dirige la volontà. Ma tutti dovrebbero anche avvedersi che la decadenza che si suole affermare dell’idea liberale, o la “crisi”, come altri dicono, in cui sarebbe entrata, ha il sembiante di una strana decadenza e di una strana crisi, nella quale non balena la luce di un ideale nuovo che superi e renda antiquato l’altro; non si delinea un nuovo assetto che succeda a quello abbattuto e sconvolto. Poiché l’ideale liberale è ideale morale di umanità e civiltà, il nuovo e vittorioso dovrebbe presentarsi come di nuova e più vigorosa e più profonda umanità e civiltà (…) In mezzo a tutto questo fragore di gridi e di armi, e nonostante il ludibrio e lo scherno che gli si scagliano contro, rimane sostanzialmente intangibile e intatto l’ideale della libertà, il quale potrebbe dissolversi e cedere il luogo solo per virtù di un altro più degno, che non è dato nemmeno concepire. La conclusione a cui si è condotti dinanzi all’esperienza del presente non è dunque che la crisi sia di un ideale particolare (come poté essere quella della polis antica rispetto all’impero o dell’ordinamento feudale rispetto alla monarchia assoluta e simili), ma che sia, invece, dell’idealità per sé stessa, uno smarrimento e traviamento e corruttela di quell’entusiasmo morale che, come nobilita la vita dell’individuo, così rende alta quella dell’umanità e ne segna le grandi epoche. Perché e come questo sia accaduto, mostra la storia, e più particolarmente la storia che seguì al 1870, quando l’opera e la parola e lo spirito del Bismarck, e le teorie e l’azione del socialismo marxistico, cospirarono a discreditare l’ideale della libertà, e, pur serbando le istituzioni liberali e di esse giovandosi, la vita dei popoli prese andamento economico e materiale: storia che è stata già data altrove, lumeggiata sotto questo aspetto. Che se dovessi chiudere in breve il senso di questa storia, non ancora compiuta e che forse ora è pervenuta al suo punto più grave e pericoloso, direi che è nell’angoscia e nel travaglio della ricerca e della formazione di una nuova fede religiosa dell’umanità o dei popoli civili, esauste le antiche religioni e non abbastanza estesa e radicata la religione della libertà, la quale non solo non si è ancora tradotta in convincimento e giudizio popolare (come pur deve, se anche rivestendosi di qualche mito), ma non ha raggiunto tale elaborazione mentale da renderla, nelle classi colte, tetragona alle insidie e agli assalti” (2).
Dunque, ricapitoliamo. “Esauste le antiche religioni”, si è andati alla ricerca di “una nuova fede religiosa” e la si è trovata nella “religione della libertà”. Questa non si è però “tradotta in convincimento e giudizio popolare” né “ha raggiunto tale elaborazione mentale da renderla, nelle classi colte, tetragona alle insidie e agli assalti” dell’economicismo e del materialismo. L’idea della libertà è entrata perciò in “crisi”, non perché ne sia sorta una nuova, che l’abbia superata e resa antiquata (cosa che “non è dato nemmeno concepire”), ma perché l’economicismo e il materialismo hanno messo in crisi l’idealità stessa, provocando in tal modo “uno smarrimento e traviamento e corruttela di quell’entusiasmo morale che, come nobilita la vita dell’individuo, così rende alta quella dell’umanità e ne segna le grandi epoche”.
Bene, proviamo allora a esaminare queste affermazioni, cominciando col domandarci: perché le antiche religioni sono “esauste”? Perché, basandosi sulla “fede” (credo quia absurdum), e non sul “conoscere” o, in termini antroposofici, sull’anima senziente (mitologica) o sull’anima razionale o affettiva (filosofica o dottrinaria), e non sull’anima cosciente (scientifica), non sono in sintonia con lo spirito della modernità.
Andrebbe perciò ricercata, non una nuova “fede religiosa”, sorretta principalmente dal sentire e dal volere, bensì una nuova coscienza religiosa, sorretta principalmente dal pensare: non quindi una “religione della libertà”, fondata – come quella di Croce – su una “teoria filosofica della libertà” (3), bensì una “filosofia della libertà”, fondata – come quella di Steiner – su una scienza della libertà. Il secondo sottotitolo de La filosofia della libertà suona infatti: Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali (4).
Si dovrebbe insomma sradicare l’ideale della libertà dal terreno dell’astratto idealismo filosofico per ripiantarlo in quello di un concreto idealismo scientifico o – come lo definisce Steiner – “empirico” od “obiettivo”.
Noi – scrive infatti – “ci atteniamo all’idealismo, mettendo però a base della sua elaborazione, non il metodo dialettico di Hegel, ma un empirismo superiore purificato (…) Io sono arrivato alla mia concezione del mondo non solo attraverso lo studio di Goethe o l’hegelismo. Sono partito dalla concezione meccanico-naturalistica; ma riconobbi che, a un pensare intensivo, non è possibile arrestarsi a quella. Procedendo rigorosamente secondo il metodo delle scienze naturali, ho trovato nell’idealismo obiettivo l’unica concezione soddisfacente del mondo. E la mia Teoria della conoscenza mostra come un pensare che comprende se stesso e sia scevro di contraddizioni giunga a tale concezione del mondo” (5).
Non sono state dunque le forze dell’economicismo e del materialismo ad aver reso debole l’idealismo (l’”idealità”), e con esso l’ideale della libertà, bensì è stata la debolezza (l’astrattezza) dell’idealismo ad aver reso forti l’economicismo e il materialismo.
In ogni caso, non sarebbe “dato nemmeno concepire” – stando a Croce – un “ideale morale di umanità e civiltà” che “superi e renda antiquato” l’ideale della libertà.
Tale ideale tuttavia esiste, ed è quello dell’amore.
Scrive appunto Lucio Russo: “L’amore nasce solo nel momento in cui si dona la libertà. Steiner ha detto più volte che la missione della Terra è l’amore. Egli non ha scritto, però, “La filosofia dell’amore”, ma La filosofia della libertà, proprio perché, come la libertà quale verità è il necessario presupposto della verità quale libertà, così l’amore quale libertà è il necessario presupposto della libertà quale amore” (6).
Non solo, ma come l’ideale dell’amore supera (in quanto lo comprende) quello “umano” della libertà, così l’ideale dell’antropocrazia, o dell’organismo sociale triarticolato, supera (in quanto lo comprende) quello “civile” del liberalismo.
In tale organismo, infatti, l’attività culturale o spirituale sarebbe animata dall’ideale liberale, l’attività politica o giuridica sarebbe animata dall’ideale democratico e l’attività economica sarebbe animata dall’ideale socialista.
Ma ciò che conta anzitutto realizzare è che non si tratta di concepire un “nuovo” ideale, quanto piuttosto di porre lo stesso ideale a un “nuovo” e superiore livello di coscienza, così che possa, facendosi più “vigoroso” e “profondo”, vincere la disaffezione, la perplessità e la tiepidezza degli “animi”: conta anzitutto realizzare, cioè, che non è questione di rinnovare i contenuti o di provvedere a ulteriori “elaborazioni mentali”, ma di educare e sviluppare un grado o livello di coscienza che superi quello “mentale” del pensiero riflesso o dell’astrazione (7).
“C’è chi dubita e sorride – scrive ancora Croce – della necessità e dell’importanza” del concetto della libertà: “l’albero della teoria (si ripete col poeta) è grigio e quello della vita è verde, concetti e ragionamenti non producono la passione e la forza della volontà, che sole operano praticamente. Ma questa divisione e reciproca indifferenza e inefficacia di pensiero e azione non regge allo sguardo che penetra nel fondo. Nella viva e concreta realtà spirituale si ha la perfetta unità dei due termini, e nell’atto del pensiero tutt’insieme un atto di volontà, non nascendo da altro il pensiero che da uno stimolo morale, dal dolore, dall’angoscia e dalla necessità di togliere un impedimento al fluire della vita e non mettendo capo ad altro che a un nuovo atteggiamento del volere, a un nuovo contegno e comportamento, a un nuovo modo di agire nel campo pratico. Un pensatore, che non soffra il suo problema e non viva il suo pensiero, non è un pensatore, ma un retore, ripetitore di formole che furono pensieri già pensati in passato o da altri” (8).
Com’è vero, tuttavia, che “nella viva e concreta realtà spirituale si ha la perfetta unità” di pensare e volere, così è vero che, tanto nell’ambito “popolare” quanto in quello delle “classi colte”, di tale “viva e concreta realtà” si ha solo una coscienza riflessa o astratta: ovvero, una coscienza nella quale il pensare si dà diviso dal volere.
Chi fosse un “pensatore”, e non un “retore”, dovrebbe quindi, non procedere a ulteriori “elaborazioni mentali”, bensì indagare “nel fondo” per scoprire a causa di quali processi (animici e fisici) i “pensatori” decadono a “retori” (se non addirittura a teorizzatori del pensiero “debole” o “fallibile”), e in virtù di quali altri potrebbe essere dato invece ai secondi di riguadagnare il vigore spirituale dei primi.
Quale filosofo idealista è mai riuscito, ad esempio, a chiarire – come Steiner – i rapporti intercorrenti tra la percezione, la rappresentazione e il concetto? O quelli vigenti tra la “viva e concreta realtà spirituale” del pensare, quella morta del suo ordinario riflesso (del pensato) e l’organo cerebrale? Oppure i rapporti sussistenti tra le attività animiche del pensare, del sentire e del volere e quelle dei loro rispettivi supporti fisiologici?
Da questo punto di vista, gli idealisti o spiritualisti finiscono in effetti col somigliare – per dirla con Russo – “a dei sapienti che, in mezzo a uomini ridotti ormai a vivere infelicemente in un deserto e ai margini di una palude, trascorrano il loro tempo narrando di sorgenti lontane e perdute che sarebbe bello e salutare ritrovare. Steiner, rimanendo nella metafora, potrebbe essere invece paragonato a un sapiente che, nella stessa situazione, si preoccupa piuttosto di insegnare ai propri simili a entrare in acqua e a nuotare, così che possano, risalendone il corso, giungere a ritrovare, con le proprie forze, le sorgenti perdute” (9).
E’ facile ad esempio osservare, a riprova di ciò, come l’idealismo empirico od obiettivo di Steiner abbia fornito, e continui tuttora a fornire, innumerevoli impulsi atti ad arricchire o rinnovare le pratiche scientifiche, artistiche, didattiche, mediche o agricole, e come di contro l’idealismo filosofico non solo non abbia mai fornito impulsi del genere, ma abbia anzi offerto al materialismo scientifico la possibilità d’impadronirsi di tali pratiche e di spadroneggiarvi.
Intendiamoci, stimiamo e amiamo profondamente l’idealismo e coloro che l’hanno al meglio rappresentato: in specie, Fichte, Schelling ed Hegel, in Germania, Bertrando Spaventa, Croce e Gentile, in Italia. Ciò non ci rende però ciechi nei confronti di quella sua componente luciferica che, costringendolo a mantenere “aristocraticamente” le distanze dalla realtà empirica, fa sì che quest’ultima cada interamente nelle grinfie di Arimane (è a causa di tale componente, ad esempio, che Marx è riuscito a rovesciare la dialettica hegeliana e a varare il “materialismo scientifico”).
Se dunque stimiamo e amiamo, ancor più profondamente, la scienza dello spirito di Rudolf Steiner, è proprio perché in essa viene a maturazione un impulso, già presente in Goethe, che va al di là tanto della raffinata astrattezza dell’idealismo filosofico quanto della grossolana concretezza del materialismo scientifico.
Sottolinea infatti Steiner che, in Goethe, uno “spirito profondissimamente filosofico” si è unito a “un’immersione piena d’amore nell’oggetto dato dalla ricerca sperimentale-sensibile”, e che proprio tale immersione “negli oggetti osservati fa sì che lo spirito vi si dissolva totalmente; sicché le teorie di Goethe non ci appaiono come se uno spirito le astraesse dagli oggetti, bensì come se formassero gli oggetti stessi in uno spirito che durante l’osservazione dimentica se stesso” (10).
Mentre Goethe, parafrasando Paolo, dice dunque: “Non io, ma l’oggetto in me”, gli idealisti luciferici dicono: “Non l’oggetto, ma io in me”, e i materialisti arimanici: “Non io, ma l’oggetto fuori di me”.
Per Croce, – come si è visto – la caduta dell’”idealità” ha trascinato con sé anche l’ideale “civile” liberale. Dell’Inghilterra, ossia del “paese nel quale l’ideale di libertà ebbe la prima e più nobile affermazione”, dice infatti: “la filosofia vi era allora, e vi rimase ancora per circa due secoli, empirismo sensistico e utilitario, con congiunto agnosticismo e possibilismo religioso; cosìcché la figlia primogenita del liberalismo fu per lungo tempo la meno adatta a dimostrare filosoficamente il suo proprio ideale e il suo proprio fare (…) A questi poveri e fallaci teorizzamenti (11) si deve l’origine dell’erronea credenza che liberalismo sia individualismo utilitario (o come lo si definisce, riecheggiando Hegel, “atomismo”), e che abbassi lo Stato a strumento dell’edonismo dei singoli; laddove è da dire, se mai, individualismo morale, che tratta lo Stato come mezzo o strumento di più alta vita…” (12). Di qui, ovviamente, la perdurante confusione “tra liberalismo (morale) e liberismo (economico)” (13).
Ma la storia dovrebbe aver insegnato che l’”individualismo morale” potrebbe trattare “lo Stato come mezzo o strumento di più alta vita” solo se si desse una veste “civile”: solo se si organizzasse e strutturasse, cioè, in un apparato culturale o spirituale indipendente sia dall’apparato statale che da quello economico.
Della libertà come “ideale pratico” (ossia inteso “a creare nella società umana la maggiore libertà, e perciò ad abbattere tirannie e oppressioni e a porre costumi, istituti e leggi che valgano a garantirla”), Croce però così dice: “Se si va al fondo di questo ideale, si ritrova che esso non è in niente diverso né distinguibile dalla coscienza e azione morale, e che alla coscienza e volontà di libertà mettono capo, e in essa si risolvono, tutte le virtù morali e tutte le definizioni che sono state date dell’etica…” (14).
Sono proprio, tuttavia, l’incerta distinzione tra l’etica individuale (l’”individualismo etico” di cui parla Steiner nella seconda parte de La filosofia della libertà) e l’etica civile o sociale e la conseguente mancanza di una istituzione (di un autonomo apparato culturale o spirituale) deputata a mediare tra le due, che destìnano l’etica individuale, come insegna sempre la storia, a essere mortificata o schiacciata politicamente dal totalitarismo ed economicamente dal liberismo (ai quali non par vero di poter colmare il vuoto dell’istituzione educativa o etica).
Anche qui, dunque, l’intuizione morale dell’idealismo filosofico si dimostra incapace di scendere (attraverso la “fantasia morale” e la “tecnica morale”) dal cielo in terra (“come in cielo, così in terra”) o di farsi, a imitazione del Logos, “carne”, per aderire amorevolmente al reale, al fine di trasformarlo, e ridurre così, gradualmente, lo iato che abitualmente divide la vita morale degli individui da quella della società.

Note:

01) Agonia dell’anima europea, 15 maggio 2004;
02) B.Croce: Principio, Ideale, Teoria in La religione della libertà – SugarCo, Milano 1986, pp. 97-99;
03) ibid., p. 97;
04) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
05) R.Steiner: Le opere scientifiche di Goethe – Melita, Genova 1988, pp. 85 e 86-87; per la “teoria della conoscenza” vedi R.Steiner: Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974;
06) vedi, in questo stesso sito, La filosofia della libertà, 28° incontro;
07) cfr. R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977;
08) B.Croce: op. cit., pp.99-100;
09) L.Russo: Idealismo teorico e idealismo pratico in Antroposofia – Rivista di scienza dello spirito, anno L, n° 2 (marzo-aprile 1995) e n°3-4 (maggio-agosto 1995), pp.238-239;
10) Croce allude, in particolare, ai “teorizzamenti” di John Stuart Mill nel Saggio sulla libertà – il Saggiatore, Milano 1997;
11) R.Steiner: Le opere scientifiche di Goethe, p.36;
12) B.Croce: op. cit., pp.104-105;
13) ibid., p.107;
14) ibid., p.102.

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Di Francesco Giorgi
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