26/07/2004

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Su Mente & Cervello (n°10, luglio-agosto 2004, pp.76/79), Steve Klimchak intervista Vilaynur S. Ramachandran, “uno dei neuroscienziati più importanti e stimati del nostro tempo, e anche dei più innovativi”.
Tanto “innovativo” che, a un certo punto dell’intervista, afferma: “Anche il mio Io è una costruzione del mio cervello, come la percezione delle cose esterne. Questo pensiero ha profonde radici nella tradizione indiana: “L’Io è un’illusione””, spiegando poi che “noi componiamo in un mosaico schematico le scarse informazioni che abbiamo sullo stato del nostro corpo e del nostro cervello, e chiamiamo “Io” il risultato di questa operazione”.
E pensare che l’“Io sono”, quale nome di Dio (Es 3,14), dovrebbe essere – stando almeno al Pater noster – “santificato”.
Non ci si stupisca o adonti, comunque, per la qualità (superstiziosamente materialistica) di simili conclusioni. All’osservazione dell’intervistatore: “I suoi critici obiettano che la coscienza non è spiegabile scientificamente, poiché non si potrà mai valicare il divario fra le sensazioni soggettive e i processi fisiologici nel cervello”, Ramachandran così infatti risponde: “Il cosiddetto qualia problem, come è chiamato nel gergo specialistico, non è propriamente un oggetto di ricerca”.

Di Lucio Russo
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