Il “terzo incomodo”

I

Il Corriere della Sera ha invitato Giuliano Amato e Claudio Magris a dialogare e a confrontarsi “sull’identità e le prospettive dell’Europa” (1).
Ebbene, proveremo a svolgere il ruolo del “terzo incomodo”, stralciando e discutendo alcune loro affermazioni.
Dice Amato: “L’idea della cristianità come tratto identitario fa parte della propensione alla chiusura. E non vorrei che i neosanfedisti occidentali, per distinguersi dagli islamici, ci facessero diventare più islamici di loro o cercassero di usare il cristianesimo come neoislamismo”.
L’idea della cristianità può però far “parte della propensione alla chiusura” e divenire “tratto identitario” dei “neosanfedisti” soltanto ove venga privata della sua universalità, e resa per ciò stesso particolare, se non addirittura settaria.
Nella nota Dell’ego-Caino (2), ci siamo detti non a caso convinti che il peggior effetto prodotto dalla moderna coscienza europea e occidentale sul Cristianesimo è stato quello di aver ridotto il suo carattere libero, spirituale e universale a quello dottrinario e dogmatico di una particolare religione e delle varie Chiese o confessioni che dichiarano di rappresentarla.
Dice Amato: “L’Europa ha impiegato secoli, guerre, dolorose mutazioni culturali, per tornare a impadronirsi del messaggio cristiano e riconoscere che il bosniaco è persona come il croato” .
D’accordo, ma se “impadronirsi del messaggio cristiano” vuol dire riconoscere che “il bosniaco è persona come il croato”, oppure – aggiungiamo noi – che i musulmani, gli ebrei, gli induisti, e così via, sono persone o individui (degli Io) come i cristiani, dov’è allora la “propensione alla chiusura” di un simile “tratto identitario”?
Perché non riconoscere, allora, che la “propensione alla chiusura” non sta nel fare della cristianità un “tratto identitario”, bensì nell’ignorare che quest’ultimo riguarda l’umanità in quanto tale, e non qualche gruppo o qualche comunità particolare?
Osserva appunto Steiner: “Il Cristianesimo, nelle sue radici più profonde e fin dal principio, era destinato ad essere una religione per tutti gli uomini, senza differenza di fede, di nazionalità, di popolo, di razza e di tutto quanto altrimenti divide gli uomini fra di loro. Il Cristianesimo viene compreso rettamente soltanto se viene capito in modo da toccare nell’uomo l’elemento umano, quell’elemento umano che è in ogni uomo (…) Soltanto quando i cristiani saranno diventati tanto cristiani da ricercare l’elemento cristiano in tutte le anime umane, e non perché hanno tentato di inocularlo nelle altre anime mediante la conversione, allora sarà rettamente compresa la radice del Cristianesimo” (3).
Ricercare “l’elemento cristiano in tutte le anime” – come abbiamo altrove osservato (4) – significa però ricercare, nel musulmano, prima l’uomo che il musulmano, nell’ebreo, prima l’uomo che l’ebreo, nell’induista, prima l’uomo che l’induista, e così via. Solo quest’Uomo che è in ogni uomo è infatti l’Ecce homo (Gv 19,5) o il Cristo: ovvero, il “Rappresentante dell’umanità”.
Dice Magris che l’appartenenza europea si caratterizza per “l’accento posto fin dall’inizio sull’individuo piuttosto che sul Tutto. Le stesse realtà globali, come lo Stato, nella tradizione europea sono al servizio dell’individuo, che è il protagonista. È un filo rosso che risale alla polis greca, al concetto stoico e cristiano di persona e continua con l’umanesimo, l’illuminismo, il liberalismo, la democrazia e il socialismo democratico. Per questo ritengo che le radici ebraico-cristiane facciano parte del patrimonio europeo” .
E perché non indagare allora, nel profondo, i nessi tra lo sviluppo della coscienza dell’Io (dell’autocoscienza umana) e l’incarnazione del Logos (dell’Io divino)? Di certo è vero che le radici “ebraico-cristiane” fanno parte del patrimonio europeo, ma non meno è vero che occorrerebbe nettamente distinguere quelle “ebraiche”, che si nutrono dell’idea di un Dio trascendente, sostegno e guida di un popolo eletto, da quelle cristiane, che si nutrono invece dell’idea di un Dio trascendente-immanente (divino-umano), sostegno e guida di ogni individuo (di ogni Io).
Dice Amato: “È proprio della cultura giudaico-cristiana universalizzare la libertà. E questa semplice idea, che tutti gli uomini sono figli dello stesso Dio, porta necessariamente con sé l’esigenza di riconoscere i medesimi diritti a tutti, per il solo fatto che condividiamo la natura umana” .
Ecco perché, a conclusione della nota Il nichilismo (5), abbiamo scritto: “La lezione più amara e dolorosa impartitaci da tutto ciò è che del Cristianesimo abbiamo finora capito ben poco. Siamo ancora, in fondo, dei “monoteisti” e affrontiamo la realtà come se il Cristo non si fosse incarnato e non avesse radicalmente rovesciato e rinnovato, con quest’atto, tutte le antiche prospettive”.
Il Cristianesimo, in quanto trinitario, e non semplicemente monoteistico, testimonia infatti di un Dio che, col farsi “carne”, ha preso a “condividere” la natura umana e per ciò stesso a renderci non solo figli di Dio e fratelli degli uomini, ma anche fratelli degli uomini e fratelli di Dio. Afferma appunto il Cristo: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quel che fa il padrone; vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutto quello che ho udito dal Padre mio” (Gv 15,15).
Fatto sta che l’individualità (l’Io) e la fraternità, nel caso di un Dio-Padre (sconosciuto) del quale gli uomini possono solo essere figli, hanno un valore esclusivamente terreno o umano, mentre, in quello di un Dio-Figlio (conosciuto) del quale gli uomini possono essere fratelli, hanno un valore anche spirituale o divino.
“In Cristo, Dio-Uomo, – sostiene al riguardo Nikolaj Berdiaev – c’è la nascita di Dio nell’uomo e la nascita dell’uomo in Dio. Dio si umanizza perché l’uomo si divinizzi” (6). E’ infatti in grazia dell’avvento del Cristo, che ai cristiani è dato “santificare” l’Io sono (“il Suo nome”) e ricevere e accogliere lo Spirito Santo.
“E’ seguace del Cristo – osserva allo stesso proposito Steiner – chi ama in spirito di fraternità quelli che vivono intorno a lui (…) Il rapporto fondamentale col Cristo è un rapporto di fratellanza: ci si sente attratti a lui non come a un padre, ma come a un fratello, come al primo, al migliore di tutti i fratelli, ma pur sempre come a un fratello” (7).
Il “fatto” (8) o l’evento dell’incarnazione rappresenta insomma una vera e propria mutazione antropologica della quale ciascuno dovrebbe prendere coscienza, al di là della propria fede, della propria nazionalità, del proprio popolo o della propria razza (“il tema cristologico – nota appunto Paul Evdokimov – è al tempo stesso un tema essenzialmente antropologico”) (9). Può essere interessante ricordare, peraltro, che Gianni Baget Bozzo, avendone avuto un presagio, ha per l’appunto affermato che il Cristianesimo “è una ontologia mistica ed escatologica e non una religione” (10).
Dal punto di vista storico e sociale, è l’Entità solare del Logos, inabitante l’Io di ogni essere umano, ad aver ieri ispirato i grandi ideali o gli “immortali principi” della libertà (del liberalismo), della uguaglianza (della democrazia) e della fraternità (del socialismo) e ad alimentare ancor oggi l’anelito a un “mondo migliore” (ossia, più cristico, e per ciò stesso più umano).
E’ perciò l’abissale contrasto tra la natura spirituale dell’anelito e quella materialistica della coscienza che vorrebbe attuarlo a spiegare il perché tutti coloro che s’impegnano (politicamente) a creare un “mondo migliore” finiscono, invariabilmente, col crearne uno peggiore.
Dice Amato: “Quasi si potrebbe dire che c’è una specie di pendìo che va da Oriente verso Occidente. Si comincia da un Oriente in cui prevale la totalità sull’individuo; si passa per un’Europa che trova un equilibrio tra le ragioni del singolo e quelle della solidarietà; si giunge a un Occidente nel quale la responsabilità di ciascuno sul proprio destino tende a prevalere sul resto” .
È vero: in Oriente, la totalità o il collettivo prevale sull’individuo, mentre, in Occidente, l’individuo prevale sulla totalità o sul collettivo; non è vero, tuttavia, che l’Europa abbia trovato un equilibrio tra questi poli. Di certo, lo sta da tempo cercando, ma, non avendo ancora superato il materialismo, e ignorando quindi le forze cui dovrebbe fare appello per realizzarlo, non sa per ora far altro che dividersi tristemente tra orientalisti-collettivisti e occidentalisti-individualisti. Ad Amato, che parla di un “pendìo” che va da Oriente verso Occidente, passando per l’Europa, vorremmo comunque consigliare la lettura di quei due cicli di conferenze di Steiner che hanno per titolo: L’Oriente alla luce dell’Occidente (1909) (11) e Polarità fra Oriente e Occidente (1922) (12).
Dice Magris: “Nel suo libro Destra e sinistra, Bobbio parla con simpatia del fatto che io dica che l’uomo è malvagio e la vita è invivibile, ma che bisogna lo stesso continuare a migliorare le pensioni e l’assistenza…”.
Egli definisce questa sua posizione un “illuminismo pessimista”, ma non si tratta, in verità, che di una riedizione del “pessimismo del pensiero e ottimismo della volontà” di gramsciana memoria. La tragedia del socialismo reale non è servita dunque a dimostrare a quali disillusioni e fallimenti è destinato ad andare incontro un “ottimismo della volontà” che non discenda, per così dire, da un ottimismo del sentimento e, prima ancora, del pensiero: che non discenda, cioè, da una conoscenza capace, in quanto vera o fondata sulla realtà, di restituire all’uomo fiducia nell’uomo, e quindi in se stesso e negli altri.
Osserva appunto Steiner: “Se nell’umanità viene liberata quella sorgente di cui ho parlato nella mia Filosofia della libertà come della vera intuizione, allora si potrà nelle faccende più importanti della vita fondare sulla fiducia comunità sociali, così come in ultima analisi si deve fondare sulla fiducia la vita quotidiana” (13).
Due parole ancora. Per redigere questa breve nota, ci siamo volentieri assunti, come detto, il ruolo del “terzo incomodo”. Vogliamo tuttavia sperare che quel che può risultare “incomodo” ai due protagonisti del confronto, risulti invece “comodo” a chi, avendo avuto la pazienza di seguirci, ha potuto più volte constatare quanto sia pernicioso, se non irresponsabile, il fatto che gli odierni uomini di cultura perseverino nel volgere le spalle alla scienza dello spirito (orientata antroposoficamente) di Rudolf Steiner.

Note:
01) Corriere della Sera, 14 novembre 2004;
02) Dell’ego-Caino, 18 aprile 2004;
03) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita – Libreria Editrice Psiche, Torino 1997, pp. 42,43;
04) Dell’ego-Caino, 18 aprile 2004;
05) Il nichilismo, 22 settembre 2004;
06) P.Evdokimov: Cristo nel pensiero russo – Città Nuova, Roma 1972, p.106;
07) R.Steiner: L’Oriente alla luce dell’Occidente – Antroposofica, Milano 1980, p.176;
08) cfr. R.Steiner: Il Cristianesimo come fatto mistico e i misteri antichi – Antroposofica, Milano 1988;
09) P.Evdokimov: op. cit., p.13;
10) G.Baget Bozzo: Profezia – Mondadori, Milano 2002, p.9;
11) R.Steiner: L’Oriente alla luce dell’Occidente – Antroposofica, Milano 1980;
12) R.Steiner: Polarità fra Oriente e Occidente – Antroposofica, Milano 1966;
13) R.Steiner: Domande dell’anima e domande della vita (O.O.335) – estratto di una conferenza tenuta a Stoccarda il 15 giugno del 1920, consultabile in www.fucinadelleidee.splinder.com.

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Di Francesco Giorgi
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