La fede dei laici

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A conclusione di un dibattito sul laicismo cui hanno partecipato, su la Repubblica, “firme qualificate sia di laici sia di cattolici, di credenti e di non credenti”, Eugenio Scalfari ha pubblicato un ampio articolo, titolato: La fede dei laici contro i nichilisti (1).
Qual è questa fede? E’ quella nell’immanenza, che i laici (o i laicisti) contrappongono alla “fede” nel nulla dei nichilisti e alla fede nella trascendenza dei credenti, dei cristiani e dei cattolici.
La fede nella trascendenza – scrive infatti Scalfari – “è esattamente il centro del problema. La crisi della modernità e il diffondersi del nichilismo promanano infatti dall’affievolirsi progressivo di quella fede. La morte di Dio prima che un proclama è una constatazione (…) In realtà la morte di Dio postula il deperimento della trascendenza e quindi dell’assoluto”.
Patendo (in senso junghiano) un’“Ombra” cattolica, sfugge dunque, a Scalfari e ai laicisti, che il Cristianesimo non esige una “fede nella trascendenza”, come l’Ebraismo e l’Islamismo (questi, sì, “monoteistici”) (2), bensì richiede, in nome di un Dio che “si è fatto” uomo, una ben diversa e più moderna fede nell’immanenza della trascendenza; così come sfugge che, in nome di un Dio Uno e Trino, che include, oltre le Persone del Padre e del Figlio, quella dello Spirito Santo (dello “Spirito di verità”), richiede anche una fede che non serva a compensare (dogmaticamente) i presunti “limiti della conoscenza” (credo quia absurdum), bensì scaturisca, quale forza, proprio da quest’ultima (3).
Alla Samaritana, Gesù dice infatti: “Credimi, donna; è venuto il tempo in cui, né su questo monte, né in Gerusalemme, adorerete il Padre. Voi adorate quello che non conoscete; noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza vien dai Giudei. Ma viene il tempo, anzi è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,21-23).
Ma come pensare una “immanenza della trascendenza”? Pensando – come insegna (a suo modo) la psicodinamica – alla relazione che intercorre tra la realtà cosciente e quella incosciente. Ciò che all’anima razionale o affettiva (filosofica) si presenta in termini di “immanenza-trascendenza”, all’anima cosciente (scientifica) si presenta infatti in termini di “coscienza-incoscienza”. In chiave moderna, è quindi immanente (manifesto) ciò che si trova già nel conscio (nell’io), mentre è trascendente (occulto) ciò che si trova ancora nell’inconscio (nel non-io), e il processo attraverso il quale quanto è animicamente incosciente (l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione) viene reso gradualmente cosciente coincide con quello attraverso il quale quanto è spiritualmente trascendente (il Sé spirituale, lo Spirito vitale e l’Uomo-Spirito) viene reso gradualmente immanente.
“Nelle profondità dell’anima umana – afferma in proposito Steiner – l’universo, in quanto spirituale, va incontro all’eterno spirituale stesso entro l’uomo (…) La scienza dello spirito è qui per estrarre dalla sfera dell’inconscio e per innalzare alla sfera del cosciente questo elemento direttamente connesso con la natura umana, con l’eterno della natura umana. La scienza dello spirito vuol essere la manifestazione di questo spirituale inconscio della natura umana” (4).
Va però ricordato che, per afferrare la viva realtà di un tale processo, occorre disporre di un pensiero altrettanto dinamico, e per ciò stesso diverso da quello ordinario in grado di cogliere soltanto le singole “cose” (e i loro reciproci rapporti di causa-effetto), lacerandosi tra dualismi e opposizioni. “L’astrarre dell’intelletto – nota appunto Hegel – è il violento afferrarsi a una determinazione, uno sforzo per oscurare e allontanare la coscienza dall’altra determinazione che colà si trova” (5).
“Credo – scrive ancora Scalfari – che il nulla sia l’ombra di Dio e che il divino sia dovunque, nel filo d’erba, nella rosa, nel passero, nel leone, nell’uomo. In questo ho fede”.
Ma che ne è di una simile fede allorquando il filo d’erba e la rosa appassiscono e il passero, il leone e l’uomo muoiono? E’ una fede che si accende tutte le volte che tali esseri nascono per spegnersi tutte le volte che essi muoiono, o è una fede che perdura anche quando il filo d’erba, la rosa, il passero, il leone e l’uomo non si mostrano più ai sensi? E se perdura, quali sono allora i suoi veri oggetti: i transeunti “fenomeni” sensibili (le apparenze) o i durevoli “noumeni” extrasensibili (le essenze)?
“La materia, – dice in proposito Goethe – ognuno l’ha davanti agli occhi; il contenuto lo trova solo colui che ha qualcosa da aggiungervi e la forma è un segreto per i più” (6).
Fatto sta che non basta ammettere, in modo del tutto generico, che il “divino sia dovunque”; si dovrebbe anche avere la capacità di discernere gli spiriti che lo popolano e i “luoghi” privilegiati (nella natura e nell’anima) delle loro manifestazioni.
Cosa si direbbe infatti di qualcuno che, convinto che la natura “sia dovunque”, non si desse alcuna pena di distinguere i funghi commestibili da quelli velenosi o le bisce dalle vipere, oppure si armasse per andare a caccia di balene sull’Everest o di stambecchi ai Tropici?
Dice ancora Goethe: “”Credo in un Dio!” Questa è una bella, encomiabile frase; ma riconoscere Dio là dove si manifesti, e sotto qualunque aspetto, è in realtà la beatitudine in Terra” (7).
Un’ultima considerazione di tutt’altro genere.
Se si guarda – scrive Scalfari – “alla ferita profonda che si è aperta in Occidente con l’avvio del nichilismo”, allora “il Novecento comincia a metà del secolo XIX e non sappiamo ancora quando si concluderà”.
“Partendo dal 1845 – osserva in effetti Steiner – e aggiungendo 33 anni si arriva al 1878, e questo era all’incirca l’anno fino al quale fu lasciato tempo all’umanità per penetrare la realtà delle idee sbocciate nel decennio 1840-50. Nell’evoluzione storica moderna è straordinariamente importante tener presente i tre o quattro decenni ricordati, perché proprio su di essi l’uomo odierno deve raggiungere la massima chiarezza, deve cioè divenire cosciente del fatto che tra il 1840 e il 1850 cominciarono a fluire nell’umanità in forma astratta le cosiddette idee liberali, e che all’umanità, per afferrarle e trasformarle in realtà, fu concesso tempo fin verso il 1880. La borghesia era portatrice di queste idee, ma essa mancò l’occasione di realizzarle” (8).
E perché la “mancò”? E’ presto detto: perché tanto nella borghesia quanto nel proletariato (9) prevalse, in diversa forma, il materialismo: ossia, quel precursore o battistrada del nichilismo del quale gli odierni e laici avversari di quest’ultimo – chissà perché – evitano quasi sempre di fare menzione.

Note:

01) la Repubblica, 2 gennaio 2005;
02) va segnalato, a onor del vero, che Scalfari sfiora questa verità laddove afferma: “Il Figlio dell’Uomo ha modificato il Padre anzi l’ha sostituito. Forse è proprio di lì che il vecchio Dio ha cominciato a morire”;
03) cfr. Il nichilismo, 22 settembre 2004;
04) R.Steiner: Le manifestazioni dell’inconscio nella vita dell’anima in Antroposofia – Rivista mensile di scienza dello spirito, anno XVII, n°4, 1962, p.113;
05) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Roma-Bari 1989, p.108;
06) J.W.Goethe: Massime e riflessioni – TEA, Roma 1988, p.84;
07) ibid., pp. 176-177;
08) R.Steiner: Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961, pp.87-88;
09) il Manifesto del Partito comunista di Marx ed Engels è appunto del 1848.

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Di Francesco Giorgi
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