Apprendiamo dal Corriere della Sera (8 giugno 2005) che “due premi Nobel e i maggiori esperti di cellule staminali delle principali università europee invitano a votare “sì” al diritto di ricerca”.
Sfugge loro, evidentemente, che il “no” a una particolare ricerca (la cui opportunità e validità non viene oltretutto riconosciuta da perlomeno altrettanti medici e scienziati) non solo non è un “no” alla ricerca, ma potrebbe significare un “sì” a diverse, più sicure e umane ricerche.
Così come sfugge loro che la prima nemica della ricerca scientifica non è la “legge”, bensì la ristrettezza dell’orizzonte interiore o – per dirla con Czeslaw Milosz – “la mente prigioniera” di assiomi materialistici o spiritualistici.
Non è strano, ad esempio, che tra i firmatari di tale invito “a votare “sì” al diritto di ricerca” figurino Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini: vale a dire, due rappresentanti di quel Gruppo 2003 (cui appartengono anche Umberto Veronesi e Silvio Garattini) che, un giorno sì e l’altro pure, si dà a contestare i “diritti” della medicina omeopatica e di quella antroposofica, mettendo addirittura in discussione la libertà di scelta terapeutica dei pazienti?
P.S.
Nel corso di un’intervista pubblicata dal medesimo quotidiano, Gianfranco Fini afferma: “Ma ci sarà un motivo se 88, tra scienziati e premi Nobel, dicono che la legge 40 rischia di impedire alla scienza – cui vanno posti dei paletti – di aiutare la qualità della vita?”.
Ma chi fosse un po’ più critico (o un po’ meno fideista – cfr. Come fidarsi?, 1 luglio 2002) non dovrebbe impegnarsi proprio ad acclarare per quale “motivo” costoro dicono quello che “dicono”?