30/06/2005

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Non si è ancora spenta la eco dei nobilissimi motivi ideali, scientifici e umanitari per i quali avremmo dovuto votare “sì” al referendum sulla cosiddetta “procreazione assistita”, ed ecco che il Corriere della Sera (21 giugno 2005) pubblica un articolo, titolato (in prima pagina): “Staminali, corsa all’oro. Già tremila brevetti” e dedicato ai “signori del biotech (quelli che producono farmaci che si avvalgono delle tecniche di manipolazione genetica)”, nel quale Massimo Gaggi dice (tra le altre cose): “Per capire quanto sia veloce l’evoluzione in questo campo, basta confrontare la “convention” in corso in questi giorni (il Bio 2005, a Filadelfia – nda) con quella che si tenne in questa stessa città della Pennsylvania nel 1996; allora tutte le aziende biotecnologiche americane messe insieme raggiungevano un valore di mercato che sfiorava a malapena quello (80 miliardi di dollari) del primo produttore farmaceutico, la Merck. Nove anni dopo la Merck vale 70 miliardi di dollari, meno della Genentech o della Amgen, i “campioni” delle biotecnologie “made in Usa”: un settore che, complessivamente, vale 330 miliardi di dollari. Nel ’96 queste imprese avevano appena cominciato a vendere i loro prodotti e non sapevano quale sarebbe stato il loro futuro: oggi i medicinali biotecnologici sul mercato sono già 230, mentre altri 55 sono in attesa di essere autorizzati dalle autorità di controllo e 365 sono in avanzata fase di sperimentazione. Nessuno pensa che la disputa sulle staminali possa interrompere questo trend”.
Bando dunque alle ciance (e alla volontà popolare): gli affari sono affari!

Di Lucio Russo
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