Dice Steiner che il pensiero con cui dovremmo accompagnare la festa (primaverile) della Pasqua è: “Egli è stato deposto nel sepolcro ed è risorto”, mentre quello con cui dovremmo accompagnare la festa (autunnale) dell’Arcangelo Michele è: “Egli è risorto, dunque può venir deposto nel sepolcro senza perire” (1).
La festa di Michele è quindi una “Pasqua rovesciata”, poiché in questa si ha “prima la morte, poi la resurrezione”, mentre in quella si ha “prima la resurrezione dell’anima, poi la morte” (2).
Proviamo a meditare, in breve, queste due affermazioni.
Golgotha – come si sa – equivale al latino Calvaria e al greco Kranion che significano “cranio” o “teschio”.
La crocifissione del Cristo-Gesù avviene dunque nella testa e, più precisamente, nella corteccia cerebrale. Il che vuol dire che il Cristo-Gesù muore là dove nascono, nell’uomo, l’intelletto e la coscienza sensibile.
Scrive infatti Steiner: “Allorché i pensieri afferrano il corpo fisico, dal loro immediato contenuto furono cancellati spirito, anima e vita; è rimasta solo l’ombra astratta che è attaccata al corpo fisico. Tali pensieri possono fare oggetto della loro conoscenza solo oggetti fisico-materiali, perché essi sono reali soltanto se legati al corpo fisico-materiale dell’uomo” (3).
La morte del Figlio di Dio quale uomo (il Venerdì santo) è solo però il presupposto della rinascita (la Pasqua) del Figlio di Dio quale Figlio dell’uomo, o dell’uomo quale Figlio di Dio: è solo il presupposto, cioè, della resurrezione del pensiero e della coscienza sovrasensibile.
Dunque, “Egli è stato deposto nel sepolcro ed è risorto”. La deposizione nel sepolcro lo libera da Lucifero (che avversa la morte), mentre la resurrezione lo libera da Arimane (che avversa la vita). Affinché la resurrezione del Logos possa divenire la resurrezione di ciascun uomo, è tuttavia necessario che ciascun uomo liberamente la voglia, e quindi la attui, collegandosi attivamente con le forze dell’Arcangelo Michele, il “fiammeggiante principe del pensiero”.
“Le forze di Michele – spiega appunto Steiner – non possono essere conquistate con una qualsiasi forma di passività (neanche con la preghiera passiva). Le forze di Michele possono essere conquistate soltanto se l’uomo, con volontà colma d’amore, diventa uno strumento delle forze divino-spirituali. Le forze di Michele non vogliono infatti che l’uomo le supplichi, ma che si unisca a loro, e l’uomo può farlo se accoglie con energia interiore gli insegnamenti del mondo spirituale” (4).
Per la resurrezione di ciascun uomo, quella del Cristo è perciò condizione necessaria, ma non sufficiente. Per consentire alla forza redentrice del Logos di attuarsi, ciascun uomo deve infatti lottare come Michele, e con Michele, contro il drago che domina la sua natura inferiore e manipola (intelligentissimamente) l’ordinario, astratto e impotente intelletto: deve lottare, cioè, per elevare il pensiero dal sensibile al sovrasensibile, sottraendolo così ad Arimane che vorrebbe invece mantenerlo rigidamente ancorato (rigor mortis) al sensibile.
“Arimane – scrive infatti Steiner – si è appropriato dell’intellettualità in un’epoca in cui non poteva ancora interiorizzarla in sé. Nel suo essere essa rimaneva una forza che nulla aveva a che fare col cuore e con l’anima. L’intellettualità emana da Arimane come un cosmico impulso gelido, senz’anima. E gli uomini che vengono presi da quell’impulso sviluppano una logica che sembra parlare di per sé stessa (in realtà è Arimane che parla per suo mezzo), una logica in cui non si mostra per nulla il giusto e intimo collegamento dell’anima e del cuore con ciò che l’uomo pensa, dice e fa. Michele invece non si è mai appropriato dell’intellettualità. Egli la amministra come forza divino-spirituale, sentendosi unito con le potenze divino-spirituali. E compenetrando l’intellettualità, egli mostra anche come essa contenga la possibilità di essere un’espressione del cuore e dell’anima, altrettanto bene quanto lo è della testa e dello spirito. Michele porta infatti in sé tutte le forze primordiali delle divinità, sue e dell’uomo. Perciò egli non trasmette all’intellettualità nulla di gelido, di insensibile, ma la accompagna in modo caldo e pieno di anima” (5).
Grazie all’impulso del Logos e all’esempio di Michele, il pensiero e l’anima possono dunque risorgere e, in quanto risorti, tornare liberamente a calarsi nell’intelletto, nel sensibile, nel finito o nel quantitativo (nel “sepolcro”), senza timore di rimanervi intrappolati, e quindi di perire.
“Egli è risorto, dunque può venir deposto nel sepolcro senza perire”.
Michele – osserva appunto Steiner – “sta col proprio essere nell’incalcolabile (nel vivente, nel qualitativo o nell’essenziale – nda); ma stabilisce il pareggio fra l’incalcolabile e il calcolabile che porta in sé come pensiero cosmico che ha ricevuto dai suoi dèi”; intento di Arimane è invece “di fare una macchina cosmica di quanto egli emana dalla terra negli spazi universali. Il suo ideale è unicamente: “Misura, numero, peso”” (6).
P.S.
“Chi studia antroposofia e dice che essa lo lascia freddo, mi appare come chi accatasti in continuazione legna nella stufa lamentando che non scalda. Dovrebbe soltanto accendere la legna, allora avrà il caldo! Si possono tenere conferenze di antroposofia: è la buona legna per l’anima; ma può accenderla soltanto ciascuno da sé. Ognuno deve trovare nella propria anima il fiammifero per accendere l’antroposofia. A chi trova l’antroposofia fredda, asciutta e intellettuale, manca soltanto la possibilità di accenderla in modo che riscaldi e compenetri l’anima, così che possa infiammarla del suo fuoco. Come per la legna occorre soltanto un piccolo fiammifero, così anche per l’antroposofia occorre solo un piccolo fiammifero. Con esso potremo accendere in noi la forza micheliana” (7).
Note:
01) R.Steiner: Il corso dell’anno come respiro della Terra – Antroposofica, Milano 2006, p. 42;
02) ibid., p. 150;
03) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 73;
04) R.Steiner: Il corso dell’anno come respiro della Terra, p. 112;
05) R.Steiner: Massime antroposofiche, p. 102;
06) ibid., p. 152;
07) R.Steiner: Il corso dell’anno come respiro della Terra, p. 114.