Afferma Steiner: “Come il cristianesimo venne a nascere nell’”anima” che all’umanità di quei tempi si offriva nel giudaismo, così esso venne a nascere entro lo “spirito” che all’umanità di allora era dato dalla civiltà greca. Fu invece la romanità a fornire il “corpo”. Per quel tempo, la romanità rappresentava in sostanza ciò che era in grado di realizzare l’organizzazione esteriore, cioè l’idea imperiale. Il giudaismo fu l’anima, la grecità lo spirito, la romanità il corpo, inteso nel senso in cui la struttura sociale rappresenta il corpo dell’umanità“ (1).
Ebbene, nel discorso rivolto, lo scorso settembre, ai “rappresentanti della scienza”, nell’Aula Magna dell’Università di Regensburg (2), Benedetto XVI ha detto che “l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco” rappresenta l’incontro “tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione”, e che “questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa”.
Sorprende, tuttavia, che il Pontefice, pur riconoscendo che la forma dell’attuale coscienza cristiana (o cristianità) (3) conserva ancor oggi i caratteri, sia dell’epoca di cultura dell’anima razionale e affettiva (quella greco-latina), sia di quella dell’anima senziente (Abramo visse tra il 2000 e il 1500 a.C. e Mosè nel XIII secolo a.C.), si mostri convinto che questa stessa coscienza cristiana possa arrestare, se non perfino invertire, l’ingravescente processo involutivo che stanno patendo la cristianità e l’Europa moderne.
E’ questa, dunque, l’ennesima conferma che non si ha la benché minima consapevolezza dei tempi e dei modi dell’evoluzione (filogenetica e ontogenetica) della coscienza umana, e che non ci si rende quindi conto delle esigenze spirituali poste (a partire dal 1413 d.C.) dall’anima cosciente o dalla modernità (4).
“Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido – ha detto ad esempio il Papa – viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati (…) Non ritiro, non critica negativa è dunque l’intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da questa possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”.
La “limitazione autodecretata della ragione” sarebbe quella enunciata, sul piano filosofico, da Kant (“Egli – dice Benedetto XVI – ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l’accesso al tutto della realtà”) e, sul piano scientifico, dall’empirismo. “Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria – spiega infatti il Pontefice – ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione”.
Ma qual è invero il problema? Il problema è che una cosa è lo spirito della scienza, vale a dire lo spirito della modernità (veicolante la luce dello Spirito Santo) (5), altra il suo metodo, “criterio” o “canone”. Come abbiamo avuto spesso occasione di sottolineare, lo spirito scientifico è infatti uno, e uno soltanto, mentre i suoi metodi possono essere molteplici, poiché devono essere sempre adeguati alla natura degli oggetti o dei fenomeni che indaga.
Per quale ragione, dunque, “il problema Dio” appare oggi “come problema ascientifico o pre-scientifico”? Per la semplice ragione che si pretenderebbe di affrontarlo, pensando così di essere “scientifici”, con lo stesso metodo (“derivante dalla sinergia di matematica ed empiria”) con il quale si usa giustamente indagare la natura inorganica.
Dischiudere davvero alla ragione – come dice il Papa – “tutta la sua ampiezza”, vorrebbe perciò dire dischiudere allo spirito scientifico “l’accesso al tutto della realtà”: non solo, quindi, a quella del corpo, ma anche a quelle dell’anima e dello spirito; vorrebbe dire, in altri termini, sviluppare, oltre la scienza naturale, una scienza dell’anima e una scienza dello spirito (6).
Che cosa propone invece il Pontefice, per poter dominare le minacce che emergono dalle possibilità dell’uomo? E’ presto detto: di colmare con la filosofia e, in specie, con la teologia l’odierno vuoto lasciato in campo animico-spirituale dalla scienza.
La scienza – dice infatti – “deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia”; il che significa – aggiunge – che “la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze”.
Come si vede, non invita dunque la scienza a riprendere e rinnovare un “discorso sul metodo”, a riconoscere la propria essenza spirituale e ad affrontare le realtà della vita, dell’anima e dello spirito, affrancandosi così da quell’ipoteca materialistica (o scientistica) che ha spinto i suoi recenti sviluppi in una direzione umanamente e moralmente inquietante, bensì invita l’anima cosciente, in tal modo ipotecata e gravata, a ri-utilizzare le grucce e dell’anima razionale e affettiva e dell’anima senziente. Non invita insomma la scienza a farsi spirituale e la spiritualità a farsi scientifica.
“L’occidente, – dice ancora – da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione biblica, entra nella disputa del tempo presente”.
A nostro avviso, c’è però poco da sperare che una “teologia impegnata nella riflessione biblica” in chiave anacronisticamente dottrinaria e dogmatica, possa davvero entrare “nella disputa del tempo presente” (a meno che tale disputa, come quasi sempre accade, non si risolva in chiacchiere) (7).
Basterebbe considerare un solo fatto: un tempo, per poter conoscere l’uomo, bisognava conoscere Dio; oggi, per poter conoscere Dio, bisogna conoscere l’uomo. Ch’è come dire che, un tempo, si doveva muovere dalla teologia per arrivare all’antropologia, mentre, oggi, si deve muovere dall’antropologia per arrivare alla teologia.
Ma come mai – si dirà – muovendo dall’attuale antropologia non solo non si arriva alla teologia, ma si approda anzi all’ateismo e al materialismo? E’ semplice: perché quella attuale è in realtà una zoologia, e non un’antropologia: ossia una scienza che, per gli inadeguati mezzi conoscitivi di cui si serve, non permette all’uomo di prendere coscienza del suo vero Sé (dell’Io spirituale), e per ciò stesso del fondamento divino o spirituale del proprio essere (dell’”Io sono”).
Ci sarebbe – è vero – l’antroposofia, ma si provi a proporla a uno dei tanti che oggigiorno auspicano (all’interno o all’esterno della Chiesa) un profondo rinnovamento del nostro modo di pensare, sentire e volere, o del nostro vivere sociale, e si stia a vedere quel che succede.
Osserva appunto Steiner (e siamo nel 1922!): “Per la civiltà avviata alla distruzione, da null’altro può venire salvezza se non dalla vita spirituale quale può essere tratta dalla vere sorgenti spirituali. Non vi è altra salvezza, altrimenti appunto la civiltà moderna, fondata in Europa e giunta fino in America, va verso il suo tramonto. In ciò che marcisce occorre saper vedere i fenomeni più importanti del presente. Non serve fare compromessi con ciò che sta marcendo; un aiuto ci sarà solo da ciò che può prosperare anche al di sopra della tomba, perché appunto è più forte della morte, ed è la vita dello spirito. Per ciò che è necessario, gente del genere (8) ha solo un’astratta indicazione: deve sorgere un generale cambiamento dell’atteggiamento internazionale. Se in qualche luogo essa sente di un autentico fiorire di reale vita spirituale, lo vede come “mistica inutilizzabile” (se non come prava superstitio – nda). Allora si fa avanti e dice: in tempo di tramonto si presentano i più svariati movimenti occulti e mistici, ma occorre difendersene” (9).
Note:
01) R.Steiner: Come ritrovare il Cristo? – Antroposofica, Milano 1988, p. 30;
02) cfr. http.//www.vatican_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-regensburg_it.html;
03) cfr. Cristianesimo e cristianità, 18 maggio 2005;
04) quando s’ignora tale evoluzione (e la diversità qualitativa delle sue fasi), accade – scrive Lucio Russo – “che alcuni – come ricorda Stephen Toulmin – datano allora la nascita della modernità “nell’anno 1436, quando Gutemberg adottò i caratteri di stampa mobili; alcuni nel 1520, con la ribellione di Lutero contro l’autorità della Chiesa; altri nel 1648, con la fine della guerra dei trent’anni; altri ancora con la rivoluzione americana del 1776 o quella francese del 1789; mentre solo per pochi i tempi moderni iniziano nel 1895, con L’interpretazione dei sogni di Freud e l’ascesa del “modernismo” nelle arti figurative e nella letteratura” (Cosmopolis – Rizzoli, Milano 1991, p. 18). Accade, insomma, che si considerano questi eventi quali “cause” della modernità, e non – come sarebbe giusto – quali suoi sintomatici o emblematici “effetti”” (L.Russo: Le opere scientifiche di Goethe, 10° incontro);
05) cfr. Pentecoste, 21 settembre 2006;
06) i moderni tentativi della ricerca teologica di “deellenizzare” il Cristianesimo (ricordati dal Pontefice) stanno a confermare che chi non progredisce finisce inevitabilmente con il regredire. “Il ritorno al semplice uomo Gesù”, quale modello morale, comporta infatti, volenti o nolenti, il disconoscimento della divinità del Cristo e della realtà del Dio triunitario (tale, ad esempio, è il modello dei sedicenti “atei cristiani” o “cristiani non credenti”). Anche per i rappresentanti del cosiddetto “rinnovamento carismatico” il Cristo è appunto “un Cristo complicato, che si capisce solo se si è teologi, non un Gesù semplice, che si contempla con occhi semplici, da bambini” (S.Falvo: Lo Spirito ci rivela Gesù – SAN PAOLO, Cinisello Balsamo (Mi) 1987, p. 57). Non ci si rende conto, dunque, che “semplici” non lo si è, ma lo si diventa, in quanto la vera semplicità (sancta simplicitas) non è un punto di partenza, situato sentimentalmente al di qua dell’intelletto, bensì un punto di arrivo, situato spiritualmente al di là dello stesso. Dice infatti il Cristo: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete (corsivo nostro) come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18, 3);
07) dice Maria, in uno dei “misteri drammatici” di Steiner: “Il pensiero che vive entro gli antichi schemi può curare solo la corteccia dell’albero, ma non giunge mai alla virtù di vita del midollo” (R.Steiner: La porta dell’iniziazione – Antroposofica, Milano, p. 75);
08) “del genere” – si spiega in nota – di J.J.Ruedorffer, pseudonimo di Kurt Riezler, funzionario ministeriale del Cancelliere von Bethmann Hollweg durante la prima guerra mondiale, autore di: Die drei Krisen. Eine Untersuchung über den gegenwärtigen politischen Weltzustand – Stuttgart/Berlin 1920;
09) R.Steiner: Antichi e moderni metodi di iniziazione – Antroposofica, Milano 2006, pp. 124-125.