Antropologia (9)

A

La settimana scorsa abbiamo finito la seconda conferenza. Stasera cominceremo quindi la terza. Prima, però, vorrei dire ancora qualcosa sui danni che può provocare un’educazione che non tenga conto delle necessità animico-spirituali del bambino.
Ogni bambino è un essere che proviene dal mondo spirituale, e che, per affrontare la sua nuova vita terrena, ha bisogno di allontanare la sua vita prenatale; per poterlo fare, abbisogna della fredda anti-patia; ma la fredda anti-patia – ed è questo il punto – gli va portata incontro con calda sim-patia.
Il calore materno, il calore paterno e quello degli educatori servono infatti a evitare che il bambino cominci la sua avventura terrena prendendosi una pericolosa “infreddatura” (animica). Non si tratta solo di sentimento (di mettere ad esempio il bambino, con calore e affetto, davanti alla televisione o al computer), ma anche, e in primo luogo, di consapevolezza.
Non c’è infatti da stabilire se il bambino debba o non debba essere portato verso l’intellettualità, ma da stabilire in qual modo debba esservi portato, rispettando i tempi e le esigenze del suo sviluppo interiore.
Ricordate (lo abbiamo visto la volta scorsa) ciò che Steiner ha detto agli insegnanti lì presenti? “Non dovete mescolare troppe nozioni astratte in ciò che portate incontro al fanciullo che avete da educare; dovete dargli piuttosto molte immagini”.
E perché? Perché le immagini, passando “per la fantasia e la simpatia”, sanno toccare con garbo e delicatezza le corde di un’anima da poco giunta sulla Terra, e ancora sensibile, quindi, ai modi in cui s’intesse la vita prenatale.
Potremmo anche dire, volendo, che il bambino è pronto a “digerire” le immagini, ma non ancora le nozioni o i concetti astratti; e che bisognerebbe perciò svezzarlo animicamente dalla fantasia con la stessa cura e gradualità con cui lo si svezza materialmente dal latte.
In tempi di materialismo, però, viene giudicato sconsiderato dare a un bambino di pochi mesi il salame o la porchetta, ma non dare a un bambino di sei o sette anni i video-giochi o il computer.
Si tratta infatti di tempi che conoscono (in una certa misura) le leggi che presiedono alla crescita fisica del bambino, ma non quelle che presiedono alla sua crescita animico-spirituale.
Fatto si è che durante tutta la nostra vita, e non solo nell’infanzia, siamo (sanamente) in bilico tra la corrente calda della sim-patia e quella fredda dell’anti-patia, e basta poco per farci cadere (patologicamente) da una parte o dall’altra.
Ove nel nostro cervello, ad esempio, diventasse eccessiva la corrente della sim-patia, potremmo cadere vittime di un “rammollimento cerebrale”; così come, ove vi diventasse eccessiva la corrente dell’anti-patia, potremmo cadere vittime di una “sclerosi cerebrale”.
Abbiamo detto, la volta scorsa, che una scuola che ignori le reali necessità del bambino può danneggiarne il presente e pregiudicarne l’avvenire. Quanto viene seminato durante la prima metà della vita, o, più precisamente, nel corso dei cinque settenni che vanno dalla nascita ai 35 anni, viene infatti raccolto durante la seconda metà della vita, in quanto il settennio che va dai 28 ai 35 anni è sottilmente collegato a quello che va dai 35 ai 42, così come quelli che vanno dai 21 ai 28, dai 14 ai 21, dai 7 ai 14, e dalla nascita ai 7 anni, sono rispettivamente collegati a quelli che vanno dai 42 ai 49, dai 49 ai 56, dai 56 ai 63, e dai 63 ai 70 anni.
Occorrerebbe tener conto, in particolare, che dalla nascita ai 7 anni (fino al cambio dei denti) viene seminato ciò che serve allo sviluppo del corpo fisico; e che dai 7 ai 14, dai 14 ai 21 e dai 21 ai 28 anni, viene seminato ciò che serve invece, rispettivamente, allo sviluppo del corpo eterico, del corpo astrale e dell’Io (della coscienza dell’Io).
Seminando (nei contenuti e nei modi) ciò che è davvero necessario, consentiremmo quindi al bambino di maturare la coscienza intellettuale senza esaurire quelle forze che dovrebbero permettergli, in seguito, di superarla e integrarla con la coscienza immaginativa, con la coscienza ispirativa e con quella intuitiva.
Una cosa, infatti, è godere del bene dell’intelletto, altra patire il male dell’intellettualismo: ossia, di quella elefantiasi o perversione del pensiero astratto (e per compensazione logorroico) che fatalmente consegue a uno sviluppo meramente orizzontale o quantitativo (e non quindi verticale o qualitativo) dell’intelletto (o – come direbbe uno psicanalista – a una “fissazione” alla fase rappresentativa dello sviluppo della coscienza).
Ha sottolineato Steiner (lo abbiamo visto l’ultima volta) che c’è una “grande differenza” tra la formazione (etica) della volontà e la formazione (noetica) della rappresentazione.
Oggi si privilegia però l’informazione, e non la formazione, senza granché preoccuparsi (nonostante gli inquietanti sintomi rilevabili nel mondo giovanile) del fatto che l’informazione (soprattutto, se unilaterale) possa non solo non-formare, ma addirittura de-formare.
Ma passiamo adesso alla terza conferenza.

Dice Steiner: “La conoscenza della psicologia è, al nostro tempo, assai debolmente sviluppata; soffre soprattutto dei postumi effetti di quel dogma della Chiesa, fissato nell’869, dal quale è stata oscurata la conoscenza, ben nota in tempi più antichi e più istintivi, che l’uomo sia costituito di corpo, anima e spirito. Oggi, dove si tratta di psicologia, sentirete parlare quasi dappertutto solo di una duplice divisione dell’essere umano. Sentirete dire ch’egli è composto di corpo e d’anima, oppure di corpo e spirito; intendendosi l’”anima” e lo “spirito” come suppergiù equivalenti, e così pure il “corpo” nel senso fisico e il “corpo” nel senso biologico. Quasi tutte le psicologie poggiano su questa errata divisione in due parti, che impedisce di arrivare ad una conoscenza reale dell’essere umano. Da ciò deriva che quasi tutto quello che oggi si considera psicologia non penetra veramente nell’intima essenza dell’essere umano, e spesso è soltanto un gioco di parole” (p. 45).

I greci, in effetti, distinguevano il sòma (il corpo “nel senso fisico”) dalla physis (dal corpo “nel senso biologico”), e Paolo di Tarso e Origene distinguevano l’uomo “spirituale” (“pneumatico”) dall’uomo “psichico”.
Per mostrare quanto sia deleteria, ai fini di “una conoscenza reale dell’essere umano”, la rimozione della coscienza dello spirito (dell’Io) di cui parla qui Steiner, potremmo prendere spunto dalla teoria dei colori di Goethe.
Il colore è un fenomeno direttamente osservabile. Ma come nasce? Nasce – afferma Goethe – dall’incontro o dallo scontro della luce con la tenebra: dall’interazione, cioè, di due opposte realtà. E’ impossibile pertanto comprenderlo se non si risale al gioco di forze da cui scaturisce, e che lo determina.
Ebbene, lo stesso potremmo dire dell’anima. Come il colore nasce infatti dall’incontro o dallo scontro della luce con la tenebra, e viene quindi a porsi, quale terzo, in mezzo alle due, così l’anima nasce dall’incontro o dallo scontro dello spirito col corpo, e viene a porsi, quale terza, in mezzo ai due.
Da una parte, dunque, lo spirito, dall’altra il corpo, e al centro l’anima. E’ impossibile pertanto conoscere l’anima se – come fa la psicologia contemporanea – non si considera questa dinamica triarticolazione.
La psicoanalisi freudiana, ad esempio, considera soltanto la realtà del corpo (e della psiche quale suo mero “epifenomeno”), mentre la psicologia analitica junghiana vorrebbe, sì, considerare anche la realtà dell’”anima”, ma, continuando a ignorare quella dello spirito, finisce per ritrovarsi tra le mani solo una “psiche”, schiava come sempre del corpo.
Pensate, per un attimo, all’immagine (assai cara, peraltro, agli psicoterapeuti junghiani) di San Giorgio che affronta il drago per liberare la fanciulla. Vedete, i protagonisti di questa impresa “archetipica” sono per l’appunto tre: San Giorgio, che simboleggia lo spirito; il drago che simboleggia il corpo; la fanciulla che simboleggia l’anima.
Ebbene, che cosa accadrebbe se si eliminasse San Giorgio? E’presto detto: che la fanciulla rimarrebbe prigioniera del drago.
Alla psicologia più recente, ciò non sembra però bastare. Mostra infatti di desiderare, a chiare lettere, che il drago non si limiti a tenere prigioniera la fanciulla, ma che la divori (risucchiandola nel cervello).
Oggi, alla rimozione della coscienza dello spirito, sta facendo infatti seguito la rimozione – patrocinata appunto dalla psicologia (e dalle neuroscienze) – della coscienza dell’anima.

Dice Steiner: “A sua volta questa falsa concezione proviene da un altro gravissimo errore, estesosi specialmente nella seconda metà del secolo XIX, quando venne fraintesa una conquista, in sé veramente grande, della scienza fisica. Sapete che il nome di Julius Robert Mayer (1814-1878 – nda) è conosciuto in relazione alla cosiddetta legge della conservazione della forza o dell’energia. Questa legge afferma che la somma di tutte le forze o energie esistenti nell’universo è costante, che tali energie possono soltanto trasformarsi, in modo che una forza si manifesta una volta come calore, un’altra volta come forza meccanica, e così via. Ma presentando in questa forma la legge di Julius Robert Mayer, la si fraintende radicalmente; ché egli mirava a mettere in luce la metamorfosi delle energie, non già ad enunciare una legge così astratta come quella della conservazione dell’energia. Che cosa è questa legge, vista in una grande concatenazione di fatti nella storia della civiltà umana? E’ un grandissimo ostacolo alla comprensione dell’uomo in genere. Infatti, quando si neghi davvero che delle forze vengano mai a formarsi di nuovo, non si potrà arrivare ad una conoscenza del vero essere dell’uomo, poiché questo vero essere dipende appunto dal fatto che per suo mezzo vengono continuamente generate nuove forze. Certamente, nell’insieme delle condizioni in cui noi viviamo nel mondo, l’uomo è l’unico essere nel quale vengano a formarsi nuove forze, ed anche (come vedremo in seguito) nuove materie. Ma siccome la concezione odierna del mondo non vuole accogliere gli elementi che porterebbero a conoscere pienamente anche l’uomo, così propugna la legge della conservazione dell’energia la quale, in certo senso, non disturba quando si considerino unicamente gli altri regni della natura: minerale, vegetale e animale; annulla invece ogni vera conoscenza non appena ci si voglia accostare all’uomo” (pp. 45-46).

Un interessantissimo esempio del fatto che il principio di conservazione dell’energia (in base al quale non è possibile creare energia ma solo trasformarla) rappresenti – come dice Steiner – “un grandissimo ostacolo alla comprensione dell’uomo” ci viene fornito (suo malgrado) dal celebre neurofisiologo australiano John Eccles.
In questo suo libro, Come l’io controlla il suo cervello (Rizzoli, Milano 1994 – ndr), egli fa la seguente affermazione: “Approfonditi studi sperimentali stabiliscono che le intenzioni mentali (psiconi) possono efficacemente attivare la corteccia cerebrale”.
Ma che cosa sono gli “psiconi”? Sono – spiega Eccles – le “unità mentali” che interagiscono con le “unità nervose” (con i “dendroni” della neocorteccia), precisando che “possono esistere indipendentemente dai dendroni in un mondo esclusivo di psiconi, che è il mondo dell’io”, e che ci potrebbero perciò “essere milioni di psiconi, ciascuno connesso in modo esclusivo con i milioni di dendroni”.
Ho fatto già notare – in altre occasioni – che questo “mondo esclusivo di psiconi, che è il mondo dell’io”, altro non è, in realtà, che il mondo delle idee (come sempre “delle idee” è quel mondo che Jung ha chiamato “degli archetipi in sé”).
Che cosa hanno dunque stabilito “approfonditi studi sperimentali”? Che le “intenzioni mentali”, gli “psiconi”, o le idee (esistenti “indipendentemente dai dendroni”) possiedono un’energia capace di determinare non solo un’attività nervosa, ma anche un previo aumento del flusso sanguigno cerebrale (nella regione interessata).
“Si può prevedere – afferma per l’appunto Eccles – che in futuro si scoprirà che l’immensa serie di pensieri silenziosi di cui siamo capaci è in grado di promuovere attività in così tante regioni specifiche della corteccia cerebrale che gran parte della neocorteccia si potrà considerare sotto l’influenza mentale del pensiero”.
Bene, e come la mettiamo, allora, col principio di conservazione dell’energia? “Per le leggi di conservazione della fisica – ricorda infatti Eccles – si è comunemente creduto che gli eventi mentali non-materiali non potessero esercitare alcuna azione efficace sugli eventi neuronali del cervello”.
Che fare, dunque? Rimettere in discussione la validità, nel caso dell’uomo, di tale principio, o cercare una qualche via che consenta invece di salvaguardarlo?
Eccles ha optato, purtroppo, per questa seconda alternativa, trovando rifugio nelle brume della fisica quantistica (e non nella luce dei qualia o, giustappunto, delle idee).
Ascoltate, infatti, come conclude il suo scritto: “Si ravvisa quindi un livello superiore di complessità nervosa, per arrivare a comprendere il modo in cui la mente può influenzare efficacemente il cervello nelle decisioni coscienti, senza infrangere le leggi di conservazione della fisica” (corsivo nostro).
Fatto sta che il mondo supposto da tali leggi ricorda molto da vicino un caleidoscopio. Come tutti sanno, ruotando un’estremità di questo strumento appaiono figure sempre diverse, ma i frammenti di vetro colorato che le formano sono (per qualità e numero) sempre gli stessi.
Si tratta perciò di un mondo in cui è vano parlare di libertà e creatività.
Notate bene che Steiner non intende “abolire” questa legge, ma portarla, per così dire “a compimento”: a questa legge, che “non disturba” – come ha detto – fin quando si considerano i regni minerale, vegetale e animale, intende infatti aggiungere la “legge” dello spirito (dell’Io): ossia quella della libertà.
Si applica dunque all’uomo il principio di conservazione dell’energia perché lo si ritiene un animale, e lo si ritiene un animale perché gli si applica un siffatto principio (sarebbe interessante peraltro sapere che cosa pensano i sedicenti cristiani di un principio che nega la possibilità che si dia una “Buona Novella”, o che venga “raddrizzata la via del Signore”, dal momento che “sotto il sole – come si usa dire – non c’è, e mai ci sarà, nulla di nuovo”).
Dice Eccles – lo avrete notato – che il mondo degli psiconi “è il mondo dell’io”. Ma non è così. Una cosa infatti è l’Io, altra il mondo delle idee. E che cos’è l’Io? Una sorta di “foro” attraverso il quale, e solo attraverso il quale, penetra incessantemente nel mondo la forza creatrice dello spirito. Non è dunque “pieno di sé” come l’ego, bensì “vuoto di sé”, e per ciò stesso ricolmo di spirito.
La nostra vita – lo abbiamo detto – si divide grosso modo in due parti. Nella prima metà, si realizza soprattutto il karma, e quindi la necessità. Il nostro destino, per concretarsi, deve infatti dispiegarsi nel tempo e nello spazio. Nella seconda metà dovremmo invece sviluppare la nostra libertà. Solo questa può infatti permetterci di oggettivare la necessità, e quindi di conoscere (e magari modificare) il karma.
Superfluo dire che le forze arimaniche, che ispirano gli “oggettivisti” (assolutisti), militano per una necessità che esclude la libertà (per il “determinismo”), mentre quelle luciferiche, che ispirano i “soggettivisti” (relativisti), militano per una libertà che esclude la necessità (per il cosiddetto “libero arbitrio”).
Né gli uni, né gli altri riescono dunque ad andare al di là del dualismo di oggettività e soggettività (Eccles si definisce non a caso un “dualista interazionista”). Entrambi, ignorando lo spirito (la vera libertà), non riescono insomma a emanciparsi dai punti di vista imposti al pensiero dalle loro rispettive e contrastanti nature.
Lasciate comunque che vi legga, per concludere, questo eloquente passo della prima lettera di Paolo ai Corinzi: “Chi mai conobbe i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. E noi abbiamo ricevuto non lo spirito del mondo, ma lo spirito di Dio per conoscere i doni che egli ci ha elargito. E questi noi li annunziamo, non con insegnamenti di sapienza umana, ma con insegnamenti dello Spirito, esponendo cose spirituali a persone spirituali. L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; sono follia per lui e non è capace di intenderle perché se ne giudica solo per mezzo dello Spirito”.

Roma, 30 dicembre 1999

Scarica PDF

Di Lucio Russo
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente