Sergej Prokofieff e La filosofia della libertà

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Abbiamo sempre apprezzato i lavori di Sergej Prokofieff (in particolare, Le sorgenti spirituali dell’Europa Orientale e i futuri misteri del Santo Gral) (1); leggendo il suo ultimo libro, dedicato al rapporto tra l’Antroposofia e La filosofia della libertà, abbiamo invece avvertito inaspettatamente un disagio il cui motivo ci si è chiarito soltanto quando, arrivati all’“epilogo”, ci siamo imbattuti nella seguente affermazione: “Il lettore che ha avuto la pazienza di leggere questo libro sino alla fine, si sarà accorto che qui si tratta di un accesso alla Filosofia della libertà del tutto diverso da quello abituale nella vastissima letteratura riguardo a questo tema. Il motivo sta nel fatto che la maggioranza delle opere sulla Filosofia della libertà cerca di comprendere questo libro dal contesto generale dell’opera iniziale di Rudolf Steiner, per formare poi un ponte alle successive comunicazioni dalle sue indagini nel mondo spirituale. Che in questo modo non è così facile creare un tale ponte, è dimostrato dal semplice fatto che molte opere di questo genere si fermano alla Filosofia della libertà e non si azzardano assolutamente di fare un passo nell’Antroposofia. Oppure toccano questo passaggio in modo molto vago, per evitare il pericolo di dover parlare di una “rottura” nell’evoluzione di Steiner. Nella presente opera invece, sin dall’inizio è stata intrapresa un’altra via e il tentativo un po’ azzardato, seguendo per così dire la corrente del tempo opposta, di partire da quanto Rudolf Steiner più tardi ha fondato quale Antroposofia e sviluppato in tre settenni e di guardare indietro alla sua principale opera iniziale, per vederla, da questa direzione dello sguardo, in una luce del tutto nuova” (2).
Dal momento, dunque, che “la maggioranza delle opere su La filosofia della libertà” non riesce a creare un “ponte” che, muovendo da questa, giunga all’Antroposofia, Prokofieff tenta allora di crearne uno che, muovendo all’inverso dall’Antroposofia, giunga alla Filosofia della libertà.
Ciò vuol dire, quindi, che, sia agli autori di quelle opere, sia a Prokofieff sfugge il fatto che non c’è da creare alcun “ponte”, poiché questo già esiste.
Proprio La filosofia della libertà è infatti il “ponte” (e Michele il Pontifex) che, partendo dalla scienza naturale, arriva alla scienza spirituale o all’Antroposofia. (Nella Favola di Goethe, il sacrificio della “serpe verde” crea appunto un “ponte” che collega la riva del mondo sensibile, rappresentato dalla stessa serpe, a quella del mondo soprasensibile, rappresentato dalla “bella Lilia”) (3).
“Oggi – afferma Steiner – una scienza iniziatica deve indicare la via a ritroso dalla natura alla spiritualità. La natura era per l’antica umanità nelle tenebre, lo spirito era nella luce. L’antica scienza iniziatica doveva trarre la luce dalla luminosa spiritualità e condurla nelle tenebre naturali, perché anche le tenebre venissero illuminate. La scienza iniziatica odierna deve prendere le mosse da codesta luce che è stata gittata nella natura esteriore dal di fuori, per via naturalistica, da Copernico, Giordano Bruno, Galilei, Kepler, Newton, ecc.” (4).
La filosofia della libertà stessa fornisce, al riguardo, un’indicazione assai precisa.
Scrive Steiner: “E’ caratteristico della speciale natura del pensare il fatto che esso è un’attività che si rivolge solo all’oggetto osservato e non alla persona che pensa (…) La peculiare natura del pensare consiste nel fatto che il pensante dimentica il pensare mentre lo compie. Non è il pensare che occupa il pensante, ma l’oggetto osservato su cui pensa. La prima osservazione che noi facciamo attorno al pensare è quindi questa: che esso è l’elemento inosservato della vita ordinaria del nostro spirito (…) In altre parole, mentre penso non vedo il mio pensare che io stesso produco, bensì l’oggetto del pensiero che io non produco” (5).
Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che La filosofia della libertà presuppone l’anima cosciente (un fatto, non una teoria) o, più precisamente, quel pensare oggettivo (rivolto “solo all’oggetto osservato e non alla persona che pensa”) ch’è patrimonio esclusivo della scienza naturale: di una scienza naturale che tuttavia non l’osserva, e che Steiner ci esorta invece a osservare e portare a coscienza.
Dice infatti: “Per chiunque abbia la capacità di osservare il pensare – e con un po’ di buona volontà questa capacità può averla ogni uomo normalmente organizzato – tale osservazione è la più straordinariamente importante di quante egli ne possa fare” (6).
Grazie a La filosofia della libertà è possibile dunque afferrare lo spirito (la “luce”) che anima inconsciamente la scienza della natura (“La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno riconosciuta”).
Il fatto che Steiner mostri la necessità di un’osservazione (implicante il ricorso all’esercizio della “concentrazione”) dovrebbe dimostrare che La filosofia della libertà (in sintonia con l’anima cosciente) non è un’opera “filosofica”, come quella, che so, di Schelling, intitolata: Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa connessi (7), o quella di John Stuart Mill, intitolata: Saggio sulla libertà (8). (Per questo, nel nostro Amor, che ne la mente mi ragionaUno studio de La filosofia della libertà di Rudolf Steiner, l’abbiamo definita “logodinamica”).
Ciò lo si potrebbe d’altro canto sospettare già dal secondo dei suoi sottotitoli: Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali.
Chiunque (muovendo dall’anima razionale o affettiva) ritenga Steiner un “filosofo”, e La filosofia della libertà un’opera “filosofica” (come ad esempio José Dupré) (9), mai riuscirà quindi a capire in qual modo, dal “filosofo”, sia scaturito l’“esoterista” o l’”occultista”, e, da La filosofia della libertà (1894), siano scaturite opere quali Teosofia (1904), L’iniziazione (1904), Dalla cronaca dell’akasha (1904) o La scienza occulta (1910).
Può essere interessante peraltro ricordare che uno dei pochi ad aver realizzato che La filosofia della libertà non è un’opera “filosofica” (giudicando però questo un difetto, e non un pregio) è stato Giovanni Gentile.
Nella sua recensione dell’opera di Steiner, ha infatti scritto: “Che sia proprio una filosofia della libertà non direi. E’ evidentemente una di quelle opere giovanili in cui lampeggia qua e là il vero, ma non si riesce a fermarne il concetto in forma organica e sistematica. S’intuisce felicemente un aspetto evidente della realtà, ma non si ha la forza di trarre il tutto alla luce; e insieme con la verità conquistata di colpo si conservano, inavvertitamente, tutti i vecchi concetti ricevuti, non criticati, non guardati nel loro intrinseco significato. Non si perviene perciò a una filosofia, la quale non può essere filosofia senza essere sistema; ma se ne abbozzano taluni concetti fondamentali” (10).
Gentile si è accorto, dunque, che con La filosofia della libertà “non si perviene a una filosofia”, ma non si è accorto del livello di realtà cui si perviene allorché il “vero” non viene posto “in forma organica e sistematica” nel concetto, bensì – come fa Steiner – nel pensare: ossia, in una realtà fluente e dinamica che esige, non di essere “fermata” (rappresentata), ma osservata e sperimentata nel suo sottile (eterico) movimento.
Fatto si è che come, in virtù di una metamorfosi, la crisalide nasce dal bruco, e la farfalla nasce dalla crisalide, così La filosofia della libertà nasce dalla scienza naturale, e l’Antroposofia nasce da La filosofia della libertà.
Se la scienza naturale pensa infatti l’oggetto sensibile, La filosofia della libertà pensa invece il pensare che pensa l’oggetto sensibile, e l’Antroposofia, risalendo il vivo movimento (micheliano) di tale pensare, perviene dapprima alla realtà (sofianica) del sovrasensibile (o – come dice Steiner e ricorda Prokofieff – del “comune mondo d’idee”) e poi alla realtà (spirituale) dell’Io (inabitato dal Logos).
Occorre fare però attenzione perché ogni processo di metamorfosi è caratterizzato dal fatto di essere, sia continuo (nel tempo), sia discontinuo (nello spazio): di presentare cioè, insieme, una continuità interiore e una discontinuità esteriore.
Il che comporta che tra la scienza naturale, La filosofia della libertà e l’Antroposofia si diano, tanto una continuità interiore (invisibile), quanto una discontinuità esteriore (visibile), e che la natura specifica o l’identità dell’opera fondamentale di Steiner rischia pertanto di essere oscurata o alterata (11), vuoi da quanti tendono a interiorizzare anche la discontinuità (come fanno quelli che credono di cogliere “una “rottura” nell’evoluzione di Steiner”), vuoi da quanti, al contrario, tendono a esteriorizzare anche la continuità (come fa Prokofieff, tentando di rendere visibile l’invisibile).
Parafrasando un noto detto, si potrebbe anche dire che, tra la scienza naturale, La filosofia della libertà, e l’Antroposofia, la continuità “c’è, ma non si vede”: che c’è, ossia, sul piano spirituale, ma non su quello materiale.
Una cosa, insomma, è l’Antroposofia invisibile, quale entità spirituale, altra l’Antroposofia visibile, quale entità terrena, così come una cosa è la farfalla invisibile, quale entità spirituale, altra la farfalla visibile, quale entità terrena.
Come il bruco e la crisalide non sono perciò che due essenziali momenti del divenire e del manifestarsi (dell’incarnarsi) della farfalla spirituale, così la scienza naturale e La filosofia della libertà non sono che due essenziali momenti del divenire e del manifestarsi (dell’incarnarsi) dell’Antroposofia spirituale o dell’Essere Antroposofia (veicolante l’impulso del Logos).
Afferma appunto Steiner: “Le concezioni di Copernico e di Giordano Bruno, relative al superamento dell’apparenza sensibile nei riguardi dello spazio, scaturiscono nel vero senso della parola dalle ispirazioni della corrente spirituale di cui è seguace anche la moderna scienza dello spirito. Ciò che possiamo chiamare l’esoterismo dei tempi nuovi esercitò segretamente la sua influenza su Copernico, Bruno, Keplero e altri” (12); e altrove aggiunge: “Tutta la scienza moderna è figlia del cristianesimo, è la continuazione diretta dell’impulso cristico” (13).
La filosofia della libertà esplicita dunque gnoseologicamente quanto è implicito nella scienza naturale (14), mentre l’Antroposofia esplicita spiritualmente (cosmicamente) quanto è implicito ne La filosofia della libertà.
Abbiamo detto, poc’anzi, che chiunque tenda a esteriorizzare anche la continuità (a rendere visibile l’invisibile), rischia di oscurare o alterare (magari diluendola) la natura specifica o l’identità di quel momento del divenire dell’Essere Antroposofia (e del Logos) rappresentato da La filosofia della libertà (15).
Prokofieff riconosce, in effetti, che il suo tentativo di “guardare indietro” (col senno del poi) a La filosofia della libertà è “un po’ azzardato”; ma a noi (duole dirlo) appare non tanto azzardato, quanto piuttosto forzato e, in qualche caso, persino fuorviante. (Scrive Steiner: “Non saranno certo coloro che vogliono solo sentir narrare i fatti delle sfere superiori a far apprezzare nel mondo il nostro movimento scientifico-spirituale nelle sue parti più profonde, ma saranno coloro che hanno la pazienza di penetrare in una tecnica di pensiero che crea una base reale, quasi uno scheletro per il lavoro nel mondo superiore”) (16).
Basti questo esempio.
Ne I gradi della conoscenza superiore, Steiner prima elenca i seguenti quattro gradi di conoscenza: la “conoscenza materiale” (sensibile); la “conoscenza immaginativa”; la “conoscenza ispirata” (o ispirativa); la “conoscenza intuitiva”, e poi spiega: “Nella conoscenza sensibile ordinaria sono in giuoco quattro elementi: 1) l’oggetto che fa un’impressione sui sensi; 2) l’immagine che di quell’oggetto l’uomo si forma; 3) il concetto per mezzo del quale l’uomo giunge ad afferrare spiritualmente un oggetto o un processo; 4) l’io che, sulla base dell’impressione dell’oggetto, se ne forma immagine e concetto” (17).
Netta è dunque, in Steiner, la distinzione tra i gradi della conoscenza e gli elementi di cui si compongono. Proseguendo, si scopre infatti che i quattro elementi di cui si compone il primo grado (materiale) si riducono nel secondo (immaginativo) a tre (all’immagine, al concetto e all’io), nel terzo (ispirativo) a due (al concetto e all’io), e nel quarto (intuitivo) a uno (all’io).
Ebbene, che cosa fa Prokofieff? Considera i quattro “elementi” di cui si compone il livello di “conoscenza materiale” alla stregua di “gradi” inferiori (“il primo grado in sé – scrive – consiste in quattro ulteriori gradi, ossia contiene quattro diversi elementi”) (18), vi aggiunge i tre “gradi” superiori, e configura così uno schema (19) nel quale i quattro gradi di conoscenza indicati da Steiner diventano sette.
“In questo modo – dichiara – entro il moderno cammino di iniziazione i quattro gradi inferiori si uniscono ai tre gradi superiori e insieme costituiscono una settemplicità – il quadrato inferiore e il triangolo superiore” (20).
Si tratta, come si vede, di un equivoco.
Questo sorge dal fatto che Prokofieff mette in rapporto l’immagine con la “concentrazione” e la “rappresentazione”, il concetto con la “meditazione” e il “pensare intuitivo”, e l’io con la “contemplazione” e con quella che chiama la “condizione eccezionale”, non mostrando perciò di distinguere (“logodinamicamente”) le inconsapevoli attività dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione che, in occasione della percezione sensibile (da lui messa giustamente in rapporto con l’”attenzione”), consentono al grado della “coscienza materiale” di usufruire, rispettivamente, dell’elemento dell’immagine, dell’elemento del concetto e dell’elemento dell’io, dalle consapevoli attività (queste, sì, “eccezionali”) della “coscienza immaginativa”, della “coscienza ispirativa” e della “coscienza intuitiva”.
Lo svolgersi naturale e incosciente di tali gradi di coscienza (generanti appunto gli elementi dell’immagine, del concetto e dell’io) è cosa infatti ben diversa dal loro svolgersi spirituale e cosciente (generante, nell’ordine, il “Sè spirituale”, lo “Spirito vitale” e l’”Uomo spirituale”).
Se proprio non si potesse fare a meno, dunque, di configurare uno schema comprendente sette “gradi” di coscienza (una “settemplicità”), si dovrebbero allora collocare, al di sotto di quello della coscienza materiale, i tre gradi incoscienti (di sogno, di sonno e di morte) e, al di sopra della stessa, i tre gradi superiori (dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione), ponendo altresì la massima cura nell’evidenziare che questi (extraordinari o spirituali) da altro non derivano che dalla presa di coscienza e dalla trasformazione (da una “metamorfosi ascendente”) di quelli (ordinari o naturali) (21).
Dice appunto Steiner: “La conoscenza immaginativa, ispirativa e intuitiva che qui si è descritta, ha proprio il compito di penetrare in quell’indistinto serbatoio che la scienza più moderna nomina così spesso come “inconscio”” (22).

Note:

01) S.O.Prokofieff: Le sorgenti spirituali dell’Europa Orientale e i futuri misteri del Santo Gral – Il Capitello del Sole, Bologna 2001;
02) S.Prokofieff: Antroposofia e “La filosofia della libertà” – Widar, Venezia-Marghera 2007, p. 241;
03) W.Goethe: Favola – Adelphi, Milano 1995;
04) R.Steiner: Conoscenza iniziatica – Istituto Tipografico Editoriale, Milano 1938, vol. I, p. 87;
05) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, pp. 35-36;
06) ibid., p. 38;
07) F.W.J.Schelling: Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti ad essa connessi – Rusconi, Milano 1996;
08) J.Stuart Mill: Saggio sulla libertà – il Saggiatore, Milano 1997;
09) cfr. Consumatori e produttori di libertà, 10 febbraio 2005;
10) cfr. Giovanni Gentile e La filosofia della libertà, 14 febbraio 2002;
11) sul piano pedagogico, non oscurerebbe o altererebbe infatti la natura specifica o l’identità del secondo settennio, chi volesse comprenderlo, non per quello ch’è in sé, ma per quello che appare allorché lo si osserva dal punto di vista del primo o del terzo?
12) R.Steiner: La direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità – Antroposofica, Milano 1975, pp. 67-68;
13) R.Steiner: Il quinto Vangelo. Ricerca dalla cronaca dell’Akasha – Antroposofica, Milano 1989, pp. 14-15;
14) osserva Prokofieff che Steiner, con La filosofia della libertà, “fonda una gnoseologia ugualmente valida sia per la scienza naturale, sia per la scienza dello spirito” (S.Prokofieff: op. cit., p. 147);
15) solo chi intenda la natura specifica o l’identità de La filosofia della libertà può in realtà intendere il perché Steiner, alla domanda di Walter Johannes Stein: “Dopo millenni che cosa rimarrà della sua opera?”, rispose: “Nulla, eccetto La filosofia della libertà, ma a partire da questa può essere ritrovato tutto il resto”. E’ da notare ch’egli afferma appunto che è “a partire da” La filosofia della libertà che “può essere ritrovato tutto il resto” (l’Antroposofia), e non che è a partire da tutto il resto (dall’Antroposofia) che può essere ritrovata La filosofia della libertà;
16) R.Steiner: Filosofia e Antroposofia – Antroposofica, Milano 1980, p. 26;
17) R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, p.12;
18) S.Prokofieff: op. cit., p. 13;
19) ibid., p. 15;
20) ibid., p. 16;
21) cfr. Coscienza naturale e coscienza spirituale, 15 febbraio 2002;
22) R.Steiner: Filosofia, Cosmologia e Religione nell’Antroposofia – Antroposofica, Milano 1981, p. 78.

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Di Lucio Russo
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