Abbiamo detto, l’ultima volta, che l’evoluzione dell’uomo e quella della Terra sono tutt’uno. L’uomo è infatti la fonte dalla quale sgorgano incessantemente le forze creatrici dello spirito, e anche il “luogo” in cui la Terra perviene alla coscienza di sé.
Qual è allora il problema? Il problema è che l’uomo non fa defluire tali forze (attraverso l’Io) verso la Terra, ma le trattiene dentro di sé (nell’ego) e, così facendo, le altera o corrompe.
Quanti di voi conoscono il Dell’amore immortale di Scaligero sanno infatti che, dell’Io, sono propri il coraggio e la dedizione, mentre, dell’ego, sono propri la paura e il rattenimento.
Dice Steiner: “Potete rappresentarvi che dal soprasensibile piove in continuazione qualcosa verso il basso, nel sensibile, che queste gocce rimangono infeconde per la terra se l’uomo non le accoglie in sé e non le trasmette, attraverso se stesso, alla terra. Queste gocce, che l’uomo accoglie alla sua nascita, e che depone alla sua morte costituiscono una continua fecondazione della terra mediante forze soprasensibili” (pp. 53-54).
Fatto si è che l’Io mette le “forze soprasensibili” al servizio dell’uomo e della terra, mentre l’ego le mette al servizio di se stesso, sottraendole così (per “appropriazione indebita”), tanto all’uno che all’altra. Mettendole al proprio servizio, l’ego finisce però col distruggersi, poiché si tratta di forze ben più grandi di lui. E’ questa, in un certo senso, la “maledizione” dell’ego: ovvero, quella che fatalmente lo colpisce, allorquando pretende di essere ciò che non è (l’Io).
Prometeo, ad esempio, può essere un buon simbolo dell’ego. Egli è infatti un (astuto) Titano (appunto come l’ego), e non un Eroe (quale è invece l’Io): un Titano che donò agli uomini il fuoco, rubandolo agli dei, e che fu per questo incatenato a una roccia, dove un’aquila veniva durante il giorno a mangiargli il fegato, che gli ricresceva durante la notte. E non è l’ego incatenato appunto al corpo fisico (minerale), dove le forze intellettuali (anti-patiche) consumano, durante la veglia, quelle vitali (sim-patiche), che si rigenerano durante il sonno?
Come fu dunque necessario, per liberare Prometeo, l’intervento di Eracle, così è necessario, per liberare l’ego, l’intervento dell’Io. Ch’è come dire – dal punto di vista de La Filosofia della libertà – che, per liberare il “libero pensatore” (il Titano luciferico), occorre l’intervento del “pensatore libero” (dell’Eroe cristico).
Dice Steiner: “Premesso questo, possiamo chiedere: come si comportano, dentro la natura umana, le forze apportatrici di morte? Abbiamo visto che, se l’uomo non vivificasse continuamente la natura esteriore, essa dovrebbe perire. Che cosa fanno dunque le forze di morte entro la natura umana? Fanno sì che l’uomo, per loro mezzo, produca tutto ciò che nel suo organismo è sistema osseo e sistema nervoso (…) Se in noi agiscono le forze apportatrici di morte, e noi le lasciamo come sono, esse formano il nostro scheletro; se invece, mentre agiscono ulteriormente, noi le indeboliamo, si forma in noi il sistema nervoso” (p. 54).
Abbiamo già visto, a suo tempo, che le forze “apportatrici di morte” sono delle forze archetipiche che potrebbero essere messe in rapporto con quelle del Thanatos freudiano.
Si tratta di forze spirituali che non solo agiscono “dentro la natura umana”, ma che, in questa, lasciano anche la loro impronta. E il sistema osseo e (in forma attenuata) il sistema nervoso sono per l’appunto l’impronta lasciata, nella nostra natura, dal Thanatos.
Non ci è facile realizzarlo, perché l’odierna neurofisiologia attribuisce al sistema nervoso tanto la capacità di pensare quanto quelle di sentire e di volere.
Così facendo, tuttavia, si finisce solo col confondere le cose, e col perdere così di vista la specifica qualità del pensare o, per essere più precisi, del rappresentare.
Ogni rappresentazione costituisce infatti una specie di lithos o “coagulo”, e implica quindi un processo di condensazione (salino) analogo a quello che trasforma uno stato liquido in uno stato solido.
Va tenuto presente, però, che il passaggio dal primo al secondo di questi stati non avviene in modo immediato, ma attraverso stati intermedi, quali ad esempio quello di “gel” e quello di “cartilagine”. Come la sostanza cartilaginea, pur tendendo a diventare ossea, può dunque conservare il proprio stato, così la sostanza nervosa, pur tendendo a diventare ossea, può conservarsi nervosa.
Dice appunto Steiner: “Che cos’è un nervo? Un nervo è qualcosa che tende continuamente a diventare osso, ma ne è impedito dal fatto di essere in rapporto con elementi che non sono né di natura ossea, né di natura nervosa” (p. 54).
Come vedete, si tratta di afferrare immaginativamente il processo di metamorfosi indotto, nella sostanza, da una determinata qualità (dal Thanatos), e non di limitarsi a distinguere intellettualmente (e in ossequio al “principio d’identità”) uno stato dall’altro (quello liquido da quello di gel, quello di gel da quello cartilagineo, e quello cartilagineo da quello osseo).
Dice Steiner: “L’altra corrente invece, quella delle forze apportatrici di vita, agisce continuamente nel sistema muscolare e sanguigno, e in tutto ciò che vi appartiene. Se il nervo non diventa osso, è unicamente perché tale tendenza viene impedita dal sistema del sangue e dei muscoli che le si oppone (…) Gli antichi conobbero sempre una certa parentela tra midollo o sostanza nervosa, e midollo o sostanza ossea, e furono d’avviso che l’uomo pensi con le ossa, altrettanto che coi nervi. Infatti è vero. Noi andiamo debitori di tutto ciò che è scienza astratta alle facoltà del nostro sistema osseo” (pp. 54-55).
Dal momento – come dice sempre Steiner – ch’è “estremamente importante che nell’uomo si stabilisca una giusta azione e reazione” tra il sistema delle ossa e dei nervi e quello dei muscoli e del sangue, non è affatto improprio affermare – come talvolta si fa – che si può “crepare di salute”. Quand’è infatti che si “crepa di salute”? Quando le forze di vita (appunto di “salute”) del sistema dei muscoli e del sangue prendono un abnorme sopravvento su quelle di morte (di “malattia”) delle ossa e dei nervi.
Abbiamo già detto, al riguardo, che il prevalere delle prime (calde) può dar luogo a processi di infiammazione, mentre il prevalere delle seconde (fredde) può dar luogo a processi degenerativi.
Va comunque sottolineato che al di là dei processi di vita e di quelli di morte si dà, quale terzo, il processo umano (il processo dell’Io). E’ questo, infatti, a mettere in reciproco e per l’appunto “umano” rapporto gli opposti, come avviene ad esempio in quello (di 1 a 4) vigente, nel corso di un minuto, tra il numero delle respirazioni (18) e quello delle pulsazioni (72).
Può essere interessante peraltro osservare che la medicina non sembra ancor oggi in grado di contrastare i processi degenerativi con lo stesso successo con cui riesce invece a contrastare quelli infiammatori. Tanto che potremmo dire: “La medicina conosce bene gli “anti-biotici”, ma non altrettanto i “biotici””. Potrebbe sembrare una battuta, ma non lo è. Anche la moderna scienza medica è infatti progenie di quell’intelletto (di quel sistema nervoso od osseo) ch’è deputato a contrastare, proprio in virtù delle forze “apportatrici di morte”, le forze “apportatrici di vita”.
Afferma Steiner che “andiamo debitori di tutto ciò che è scienza astratta alle facoltà del nostro sistema osseo”.
Ricordo, a questo proposito, che qualche tempo dopo aver intrapreso lo studio della Scienza della logica di Hegel, mi venne questo pensiero: “Perché riflettere sulla “logica dell’essere”, e non piuttosto sull’essere della logica?”. Non è infatti, la logica, figlia del logos? E non “figlia unica”, poiché esistono – come abbiamo visto – una logica della morte, una logica della vita, e anche una logica della qualità (o dell’essenza).
Allorché perciò si risale dalla prima di queste logiche alla seconda, dalla seconda alla terza e dalla terza alla quarta, non si giunge – come pensava Hegel – alla logica dell’essere, bensì all’essere della logica: ovvero, all’Io.
Fatto sta che quanto – per riprendere le parole di Steiner – “piove in continuazione” nel sensibile, arriva alla nostra coscienza ordinaria soltanto dopo essere stato, per così dire, “asciugato”. E come facciamo ad “asciugarlo” (a farlo cioè discendere dal suo stato reale a quello riflesso)? Servendoci della mediazione (della struttura riflettente) fisica, nervosa od ossea.
Per quale ragione, ad esempio, è sorta, unitamente alla scienza moderna, la concezione meccanica del mondo? Perché il mondo lo si è preso appunto a pensare (inconsciamente) mediante il sistema (o lo specchio) osseo.
Lo abbiamo detto: il simile conosce il simile; il mondo ci rivela le sue qualità a seconda delle mediazioni (fisica, eterica o astrale) di cui ci serviamo; e se ci serviamo unicamente di quella ossea, vedremo ovunque delle ossa, e quindi dei “meccanismi”.
Dice Steiner: “L’uomo fa della geometria, si forma, ad esempio, la rappresentazione di un triangolo. Come mai? A chi rifletta davvero su queste cose, può apparire miracoloso che l’uomo sviluppi la rappresentazione del triangolo astratto, che nella vita concreta non si trova in nessun luogo, puramente per una fantasia geometrico-matematica. Molti misteri si celano dietro i fatti palesi del mondo! Immaginate, per esempio, di stare in piedi in un dato punto di una camera. In certi momenti il vostro essere soprasensibile compie movimenti singolari, dei quali di solito nulla sapete; all’incirca così: avanzate un poco in una direzione, poi arretrate un poco, e poi ritornate al posto di prima. Questa linea che percorrete nello spazio e che rimane incosciente, descrive veramente la forma di un triangolo. Tali movimenti esistono in realtà; solo che noi non li scorgiamo (…) L’uomo, avendo la sua spina dorsale nella verticale, sta sul piano dove un tale movimento si compie. Egli non ne è cosciente, non dice a se stesso: io ballo descrivendo continuamente una forma triangolare. Invece egli disegna un triangolo e dice: questo è un triangolo. In realtà si tratta di un movimento incosciente che egli esegue nel cosmo. Tali movimenti che fissiamo disegnando figure geometriche, noi li eseguiamo in realtà con la terra. La terra non ha solamente il moto che le attribuisce la concezione copernicana; essa descrive continuamente altri movimenti artistici ed altri ancora, molto più complicati, come quelli inerenti alle linee dei corpi geometrici: il cubo, l’ottaedro, il dodecaedro, l’icosaedro, ecc. Questi corpi non sono inventati, sono delle realtà, ma realtà inconsce. In queste e in altre forme geometriche sono contenuti meravigliosi accenni a questo sapere, per gli uomini subcosciente, che proviene dalla conoscenza essenziale di cui è dotato il nostro sistema osseo. A questo non arriva però la nostra coscienza; essa si spegne prima, e viene solo riflessa nelle forme geometriche che l’uomo descrive. L’uomo è inserito nel cosmo e, facendo geometria, riproduce qualcosa ch’egli stesso vi compie” (pp. 56-57).
Molti anni fa (prima d’incontrare la scienza dello spirito), presi per un breve periodo a dipingere. Ma che cosa accadde? Che un bel giorno, sfogliando il catalogo di una mostra del pittore francese Robert Delaunay (1885-1941), scoprii un dipinto praticamente identico a uno mio.
Per carità, quello di Delaunay era un quadro, mentre il mio, al confronto, era solo una crosta! Ma il punto è un altro. Trattandosi di due quadri assolutamente astratti, era in effetti sorprendente, a prescindere dal loro valore artistico, che vi si trovassero raffigurate, quasi con i medesimi colori, le stesse forme.
Il fatto tanto mi colpì, che smisi di dipingere e mi misi alla ricerca di una sua possibile spiegazione. Cercai a destra e a manca, finché non m’imbattei in un breve saggio di Aniela Jaffé (nota allieva di Jung), intitolato: Il simbolismo nelle arti figurative (in C.G.Jung: L’uomo e i suoi simboli – Casini, Firenze-Roma 1967 – ndr).
Vi si affermava che il “risultato, caotico ma poderoso” di molte opere di diversi artisti moderni, di quelle di Jackson Pollock, ad esempio, o di Georges Mathieu, richiamano le forme della materia quali sono rivelate dalle microfotografie. E tale affermazione veniva appunto corredata da una microfotografia della forma delle vibrazioni prodotte nella glicerina da onde sonore, invero assai simile ad alcuni dipinti di Pollock.
Allorché poi scoprii, grazie sempre a una foto pubblicata in un altro libro, che la bellezza e la raffinatezza delle geometrie della sezione trasversale della spina di un comune riccio di mare non hanno nulla da invidiare a quelle dei mandala orientali o dei rosoni delle cattedrali gotiche, giunsi a questa conclusione: “Anche quando pensiamo di darci alla fantasia più sfrenata, non usciamo mai dalla realtà”.
Oggi tuttavia aggiungerei: “Non usciamo mai dalla realtà con il nostro essere, ma ne usciamo con la coscienza riflessa del nostro essere”. Questa – come ormai sappiamo – ci presenta infatti l’essere come un non-essere, allo stesso modo in cui – tornando a Steiner – ci presenta i reali movimenti compiuti da noi e dalla Terra come astratte figure geometriche.
Dice Steiner: “Nelle mie prime opere vedrete sempre ritornare un’idea per mezzo della quale volli porre la conoscenza sopra una base diversa da quella su cui poggia oggi. Per la filosofia exoterica che deriva dal pensiero anglo-americano, l’uomo è veramente un semplice “spettatore” del mondo, per quanto riguarda il suo processo animico. Anche se l’uomo non ci fosse, così pensa quella filosofia, anche se nella sua anima non risperimentasse ciò che avviene nel mondo fuori di lui, tutto resterebbe tale quale è. Ciò vale per la scienza della natura, riguardo allo svolgimento di fatti da me citato, ma vale anche per la filosofia. Il filosofo odierno si sente molto a suo agio quale “spettatore” del mondo, vale a dire nell’elemento della conoscenza apportatore di morte. Io volevo strappare la conoscenza a questo elemento apportatore di morte. Perciò ho sempre ripetuto: l’uomo non è un semplice spettatore del mondo; è il teatro sul quale si svolgono sempre di nuovo i grandi avvenimenti cosmici; la vita animica dell’uomo è la scena sulla quale si svolge il divenire del mondo” (pp. 57-58).
“Il filosofo odierno – dice Steiner – si sente a suo agio quale “spettatore” del mondo”: si sente cioè a suo agio nel darsi al “voyeurismo” o alla “scoptofilia”.
Dicendo così – sia chiaro – non intendo assolutamente offendere il “filosofo odierno”, ma soltanto operare una diagnosi.
Un conto, infatti, è il pensiero che guarda passivamente le cose, altro il pensiero che penetra attivamente nella loro essenza.
Già ricordai, del resto, allorché ci occupammo de La filosofia della libertà, che Franz von Baader (1765-1841), autore assai apprezzato da Goethe, Schlegel ed Hegel, ha intitolato un suo scritto: Sull’analogia dell’istinto di conoscere e dell’istinto di generare (in F. von Baader: Filosofia erotica – Rusconi, Milano 1982 – ndr), e che Steiner, rammentando anche il biblico “Or Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino…”, ha riconosciuto, in più occasioni, la validità di una siffatta analogia.
Nella stessa occasione, sottolineai anche il fatto che Kant, nonostante i gravi limiti della sua concezione, ha avuto il merito di riconoscere la rappresentazione come un’attiva produzione del soggetto, e non come una passiva ri-produzione interiore dell’oggetto esteriore (quale la considerano gli empiristi).
Il suo idealismo critico ha però messo in luce la realtà del soggetto, oscurando quella dell’oggetto (della “cosa in sé”), mentre il materialismo, tanto nella sua espressione scientifica, quanto in quella filosofica, ha messo in luce la realtà dell’oggetto, oscurando quella del soggetto (dell’Io).
Roma, 3 febbraio 2000