Chi conosce la scienza dello spirito sa che l’ordinaria coscienza rappresentativa ha per supporto il corpo fisico, mentre la coscienza immaginativa, la coscienza ispirativa e la coscienza intuitiva hanno per rispettivi supporti il corpo eterico, il corpo astrale e l’Io; e sa pure che la cosiddetta “soglia” (tra l’al di qua esistenziale e l’al di là essenziale) divide il corpo fisico (spaziale) e il corpo eterico (temporale) dal corpo astrale (animico) e dall’Io (spirituale).
Si attraversa perciò scientemente tale “soglia” soltanto quando, al di là della coscienza rappresentativa e di quella immaginativa, si sviluppa la coscienza ispirativa.
Vari fattori ostacolano questo passaggio. Uno di questi – afferma Steiner – è rappresentato dal fatto che la conoscenza immaginativa è accompagnata da “un sentimento subbiettivo straordinariamente forte di felicità” (1), mentre la coscienza ispirativa impone di “dimenticare anzitutto questo sentimento di felicità. Perché ora è necessario, dopo aver attivato il pensiero dapprima deliberatamente, come ho già descritto, per mezzo di meditazioni e di concentrazioni del pensiero, dopo essere arrivati per mezzo di questo pensiero attivato al quadro panoramico della propria vita, è, dico, necessario che con forza si elimini tutto nuovamente dalla coscienza” (2).
Al posto di una (chiaro-veggente) coscienza “piena” (di immagini), deve infatti subentrare una (chiaro-udiente) coscienza “vuota” (“iconoclasta”): ovvero, un puro stato di veglia, privo di contenuto; uno stato ricettivo, e non attivo; uno stato in cui, per così dire, si è spiritualmente “tutt’orecchi”.
Aggiunge infatti Steiner: “Quando a questo modo si è eliminato nuovamente ciò che si è portato nella coscienza per mezzo delle forze intensificate, e si è ristabilita una coscienza vuota, si presenta il secondo grado della conoscenza, che, rispetto alla conoscenza immaginativa, potremo chiamare la conoscenza ispirata. Allora ci poniamo nella possibilità, quando abbiamo acquistato questa coscienza vuota dopo una siffatta preparazione, che il mondo uditivo ci si presenti come all’occhio si presenta di solito il mondo visibile; il mondo spirituale ci si presenta ora dinanzi all’anima” (3).
Il precedente “sentimento di felicità” (dovuto al fatto che ci si espande al di là dei limiti del corpo o dello spazio fisico) si muta a questo punto in un sentimento di dolore (poiché ci si contrae nello “spazio” qualitativo o animico-spirituale dell’egoità).
Dice appunto Steiner: “Vi trovate ora nel vuoto della coscienza. Attorno a voi è quella calma negativa, che è al di sotto dello zero. Voi sentite il dolore, che sta a base dell’intiera esistenza del mondo; è il dolore al contempo dell’isolamento” (4).
Questo “dolore dell’isolamento” (che ha il fine di arginare o contrastare l’egoismo) (5) è il dolore (si potrebbe dire “ontologico”) che accompagna la consapevolezza di essere un Io o una “specie a sé” (6), e per ciò stesso un’essenza (un’entità) diversa e separata, in “gelida solitudine”, da tutte le altre essenze.
“Nel donarsi – osserva in proposito Scaligero – l’Io attua la sua infinità: riempie di suo movimento lo spazio che lo separa dall’altro e per cui l’altro è l’altro“ (7).
L’Io umano non può però donarsi direttamente all’altro, o riempire “di suo movimento lo spazio che lo separa dall’altro e per cui l’altro è l’altro“. Per poterlo fare, deve prima donare se stesso all’Io sono divino. L’Io umano – come dice Steiner – è infatti species, mentre l’Io sono divino è Genus (l’Ecce homo): ovvero, quell’Essere (dell’amore) nel quale soltanto possono ritrovarsi e riunirsi tutte le essenze.
“L’unità originaria dei molti “Io” – aggiunge infatti Scaligero – è la sorgente metafisica che nel mondo si attua come amore” (8); e Steiner ribadisce: “Sulla terra non esiste solo l’individuale anima umana, ma anche l’umanità” (9).
Per poter donare se stesso all’Io sono divino (quale ”unità originaria dei molti “Io”” o Essere dell’”umanità”), l’Io umano deve però purificare il proprio corpo astrale: cioè a dire, il corpo dell’egoità o dell’egoismo (“L’intima natura del corpo astrale è l’egoismo; è necessario però che ci sia l’ideale di poter essere egoista (un “ego” – nda) perché gli interessi universali diventino i propri interessi”) (10).
Una cosa è infatti l’egoità (la soggettività) “piena di sé” (della propria inferiore natura) o satura di interessi particolari (di “particulari” brame), altra l’egoità (l’individualità) che, dopo essersi svuotata (catarticamente) di sé o di tali interessi, si ricolma (con amore) di quelli universali.
Fatto si è che il corpo astrale è come un “recipiente” che si presta a essere colmato, sia da ciò che risale dal basso (dal sensibile, che in realtà lo attrae arimanicamente), sia da ciò che discende dall’alto (dal sovrasensibile, cui deve però andare incontro).
Si potrebbe dire, perciò, che tale “recipiente” si presenta, in un caso (in quello della vita ordinaria), come un “vaso” rivolto all’ingiù (come Eva) e, nell’altro, come un “vaso” (Vas) rivolto all’insù (come Ave).
E’ così, del resto, che Steiner raffigura (schematicamente), da una parte, il corpo astrale dell’ego (di Caino o dell’Io riflesso nel corpo fisico) e, dall’altra, il corpo astrale dell’Io spirituale (di Abele) (11).
Dice infatti: “Ora si guarda giù nel mondo fisico, e si presenta (…) l’immagine di come noi uomini siamo in questo mondo. Osserviamo il nostro corpo astrale, ma esso, che si mostra ora come in immagine riflessa, è rivolto verso il basso, non vuole sviluppare la forza per fluire verso il mondo spirituale; rimane per così dire incollato e attaccato al piano fisico, non si eleva verso l’alto. Si vede anche l’immagine riflessa dell’altro essere: il suo corpo astrale fluisce verso l’alto. Si ha la sensazione che questo corpo astrale fluisca nel mondo spirituale. Si vede se stessi, si vede l’altro, e si ha la sensazione tu sei di nuovo qui sotto, e al posto dell’altro essere vi è un uomo del tutto diverso, un uomo migliore di te; il suo corpo astrale aspira all’alto, come fumo che va verso l’alto. Il tuo corpo astrale aspira alla Terra come fumo che va verso il basso”” (12).
Si faccia qui attenzione a non confondere (come potrebbe facilmente accadere) “l’immagine riflessa dell’altro essere” (dell’Io umano, che passa da una vita terrena all’altra), il cui “corpo astrale fluisce verso l’alto”, con l’”altro essere” (con l’Io sono divino), il cui “corpo astrale fluisce verso il basso”, e al posto del quale – dice appunto Steiner – vi è ora un “uomo” del tutto diverso (ossia l’Io umano) (13).
L’Io sono divino – dice ancora – è infatti “un’altra entità” (14): “un’entità che farà su di lui (sull’Io umano – nda) una particolare impressione, perché gli apparirà somigliante a come è egli stesso (in quanto Io – nda)” (15).
“Somigliante”, ma non uguale (non appartenente, cioè, allo stesso livello gerarchico), poiché si tratta di “un essere che può inviare verso il basso sulla Terra quanto ha acquistato nel mondo spirituale, come una benedicente pioggia spirituale” (16); di “un essere che ha molto più valore di noi stessi”, e “che benedicendo può riversare verso il basso la sua astralità” (17).
A questo punto – spiega sempre Steiner – matura “la decisione spirituale” di “portare la propria solitudine verso questo secondo essere, di far riscaldare il proprio gelo al calore dell’altro essere, di unirsi con l’altro essere” (18).
Ed eccoci così tornati a quanto abbiamo detto, all’inizio, della conoscenza ispirata o ispirativa: tale doloroso “gelo” è infatti quello dell’”isolamento” o della “solitudine” della coscienza “vuota” (vuota del proprio spazio o del proprio corpo, del proprio tempo, dei propri pensieri o della propria memoria).
“Si ha per un momento l’impressione – dice infatti Steiner – come se ora la coscienza fosse spenta, come se si fosse provocata una specie di annullamento del proprio essere, una specie di combustione del proprio essere. Avviene ora qualcosa che si può descrivere così: irrompe nell’autocoscienza, che si sente già come spenta, qualcosa che soltanto ora si può imparare a conoscere, irrompe l’ispirazione” (19).
“L’ideale – dice ancora – dev’essere di potersi tuffare nell’altro essere, perché vi è la volontà di non cercare se stessi nell’altro essere con i propri interessi, ma di trovare l’altro essere più significativo di quanto si trovi se stessi. L’autoeducazione deve andare tanto oltre da sentire nel suo intero significato morale-occulto questa immagine superiore: trasformare cioè a poco a poco ciò che siamo in noi stessi, in modo che non possano più riscaldarci i nostri affetti, i nostri impulsi, le nostre brame e le nostre passioni, ma che, immedesimandoci nel corpo astrale, ci si immedesimi nella gelida solitudine e con questa ci si apra al calore, cioè al caldo interesse che fluisce da altri mondi e vuole unirsi alle forze benedicenti che escono dall’altro essere” (20).
Abbiamo finora parlato di questo “altro essere” come dell’Io sono divino. Ma sapendo che tale Io sono è, insieme, uno e trino, è possibile forse precisare a quale delle tre Ipostasi o Persone divine corrisponda?
E’ possibile, ma soltanto ove si tenga conto di quanto afferma Steiner, nelle sue conferenze sul Vangelo di Giovanni (21): “Attraverso tutte le esperienze fatte nel corso della catarsi, l’uomo purifica il corpo astrale fino a trasformarlo nella “vergine Sophia”. E alla “vergine Sophia” viene incontro l’io cosmico che effettua l’illuminazione, per cui l’uomo ha intorno a sé luce spirituale. Questo secondo elemento, che si aggiunge alla “vergine Sophia”, l’esoterismo cristiano lo chiamava (e lo chiama tuttora) “lo Spirito Santo”. Per cui ci si esprime del tutto correttamente, nel senso esoterico-cristiano, dicendo: l’iniziato cristiano consegue con la sua disciplina iniziatica la purificazione del suo corpo astrale; egli trasforma il corpo astrale in vergine Sophia e viene illuminato dall’alto (o, se preferite, adombrato) dallo “Spirito Santo”, dall’io cosmico (…) Abbiamo dunque imparato a conoscere due concetti nel loro significato spirituale: quello della vergine Sofia, ch’è il corpo astrale purificato, e quello dello Spirito Santo, dell’io cosmico, che viene accolto dalla vergine Sofia e può quindi esprimersi poi da quel corpo astrale. Ma esiste un grado ancora più alto: quello per cui si è in grado di aiutare altri a conseguire quelle due realtà. Gli uomini della nostra epoca evolutiva possono ricevere nel modo descritto la vergine Sofia (il corpo astrale purificato) e lo Spirito Santo (la illuminazione). Ma solo il Cristo Gesù poté dare alla Terra ciò che occorre perché gli uomini possano conseguire tutto ciò. Il Cristo ha conferito alla parte spirituale della Terra le forze necessarie, perché possa avverarsi tutto quanto è connesso con l’iniziazione cristiana, quale l’abbiamo descritta” (22).
In grazia del Cristo-Gesù (del Logos o del Verbo che “si è fatto carne”), possiamo dunque sviluppare la nostra coscienza dal grado rappresentativo (fisico) a quello immaginativo (eterico), e, successivamente, dal grado immaginativo a quello ispirativo (astrale), rovesciando così l’ordinario (e bramoso) orientamento del nostro corpo astrale.
Incontro a questo corpo astrale (alla Vergine-Sophia), dischiuso verso l’alto, muove allora lo Spirito Santo e, in virtù della loro unione, viene alla luce nell’anima il Figlio dell’uomo.
Per questo, Bernardo di Chiaravalle si rivolge alla Vergine dicendo: “Tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”, e noi diciamo, nell’Ave Maria: “Il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del seno tuo”.
Note:
01) R.Steiner: Conoscenza iniziatica – Istituto Tipografico Editoriale, Milano 1938, p. 45;
02) ibid., pp. 45-46;
03) ibid., p. 48;
04) ibid., p. 73;
05) spiega Steiner: “Se l’uomo vuole prepararsi per l’ispirazione, deve portare la sua interiorità fino al punto in cui questo disinteresse, o mancanza di egoismo, le diventi proprio anche se nulla ve la costringa da fuori” (R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, p. 38);
06) R.Steiner: Teosofia – Antroposofica, Milano 1957, p. 50;
07) M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 16;
08) ibid., p. 14;
09) R.Steiner: Le basi occulte della Bhagavad Gita – Miriadi, Mestre 1998, pp. 64-65;
10) R.Steiner: Lo sviluppo occulto dell’uomo nelle sue quattro parti costitutive – Antroposofica, Milano 1986, p. 137;
11) vedi, in ibid., la parte bassa della figura alla pagina 131;
12) ibid., p. 132;
13) scrive Steiner: “Ciò in cui fino allora ci si sentiva racchiusi diventa qualcosa che ci sta di fronte; ci si sente temporaneamente al di fuori di quanto di solito si era considerato come il proprio essere, e si chiamava il proprio “io”. Ormai è come se si vivesse in piena coscienza in due “io”, uno dei quali è quello che fino ad allora abbiamo conosciuto, l’altro si presenta come un essere nato a nuovo e superiore al primo (…) Il secondo io – il nuovo nato – può ormai venir condotto alla percezione del mondo spirituale; in lui può svilupparsi ciò che esplica nel mondo spirituale una funzione di importanza corrispondente a quella degli organi sensori per il mondo fisico-sensibile” (R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 264);
14) vedi, ne Lo sviluppo occulto dell’uomo…, quella rappresentata a destra nella figura della pagina 128;
15) ibid., p. 128;
16) ibid., p. 129;
17) ibid., p. 130;
18) ibid., p. 130;
19) ibid., p. 130;
20) ibid., pp. 137-138;
21) cfr. Lo Spirito Santo e la Vergine-Sophia, 10 dicembre 2006;
22) R.Steiner: Il Vangelo di Giovanni – Antroposofica, Milano 1995, pp. 183-184.