15/02/2008

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Stefano Maria Chiari (http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2615&metro=scienze) ci spiega che alcune esperienze vissute dai pazienti nel corso delle cosiddette “regressioni ipnotiche”, non essendo altro che dei déjà vu, non provano affatto che “la reincarnazione è veritiera e verificabile” (come vorrebbero quanti applicano tale terapia o, più in generale, i seguaci della New Age).
Cita infatti lo psicologo Christopher Evans (che scrive: “Ci sono tre modi per spiegare questo fenomeno [vale a dire, “i casi di persone che sotto ipnosi hanno ricordato frammenti di una vita vissuta precedentemente”]. Il primo consiste nel ritenerlo…una prova lampante che si sono vissute altre vite in passato…Si potrebbe tuttavia osservare che se ciò fosse vero, la loro vita precedente doveva essere esattamente uguale a quella presente, dal momento che i luoghi, le situazioni, le persone sono le stesse. Non si tratterebbe quindi di un altra vita, ma della stessa…Vi è poi una seconda interpretazione: quella di vivere un’esperienza di preveggenza. Ma esiste una terza spiegazione, più semplice: e cioè che il cervello sta producendo un ricordo falso”), e così conclude: “Nell’esperienza del “ricordo falso”, ci troviamo ad affrontare una situazione simile ad una vissuta precedentemente (in questa stessa vita e non in un’altra); il cervello, erroneamente, sovrappone due diversi vissuti, sperimentati in due momenti diversi, illudendoci di averli sperimentati già in passato in un’unica situazione. Finché perdura il falso ricordo, e quindi l’illusione, avvertiamo un senso di familiarità; quando il cervello si rende conto di aver commesso un errore, tutto svanisce nel nulla”.
Fin qui poco male, poiché i veri ricordi di vite terrene precedenti non hanno nulla a che fare, in effetti, con la “preveggenza”, con il déjà vu e con la “regressione ipnotica” (che può anzi favorire – come sostiene l’autore – una qualche “possessione diabolica”), ma possono essere soltanto frutto di un graduale e superiore sviluppo della coscienza.
Aggiunge però Chiari: “Pensare a un Dio creatore che si avvalga della reincarnazione, per portare a perfezione le anime nel corso di più esistenze – come sostiene, per esempio, la dottrina antroposofica – suppone fondamentalmente un’impotenza della redenzione di Cristo, essendo comunque presente nella vita di ognuno il poter scegliere tra il bene e male (…), e quindi la necessità della grazia (che in questa prospettiva sarebbe presente, ma non sarebbe adeguata, dimenticando che “dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia” e che Dio mai permette che siamo tentati oltre le nostre forze, come insegna San Paolo) per operare efficacemente tale scelta”.
Questa è bella!
Come ignorare, infatti, che la “dottrina antroposofica” non suppone per nulla un’impotenza della redenzione di Cristo o una inadeguatezza della grazia, bensì rileva l’impotenza (spirituale) dell’odierna coscienza umana ad accogliere e a far sua la redenzione di Cristo o la grazia (“Aiutati, che Dio ti aiuta!”)?
E non è giusto un indice di tale impotenza (materialistica) il sostenere – come fa Chiari – che, a sbagliarsi e poi a correggersi (rendendosi “conto di aver commesso un errore”), non è il soggetto, la persona o l’Io, bensì il cervello? Ovvero quello stesso cervello che, stando a quanto insegnano le attuali neuroscienze (tanto apprezzate da Chiari), sceglierebbe pure tra il bene e il male?

Di Lucio Russo
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