Il cosa, il come, il chi

I

Chiunque abbia familiarità con l’opera di Rudolf Steiner non tarderà a notare, leggendo lo splendido Pensieri controcorrente di Nikolaj Berdjaev (1), una convergenza, se non una concordanza, tra diverse affermazioni del geniale filosofo russo e quelle del fondatore dell’Antroposofia.
Bastino questi esempi.
Scrive Berdjaev: “Ha un’enorme importanza dal punto di vista antropologico il problema del rapporto che intercorre nell’uomo tra lo spirito, l’anima e il corpo. Si può parlare di una triadicità del composto umano. Il concepire l’uomo come qualcosa composto esclusivamente di anima e di corpo e quindi privo dello spirito sarebbe una naturalizzazione dell’uomo stesso” (2).
Oppure: “La verità, manifestata da Cristo, è la verità dell’infinita libertà dello spirito” (3); “Coloro che riescono ad aprirsi un varco verso la nuova vita, la nuova creatività e la nuova arte sono gli gnostici di tipo nuovo” (4); “La persona, nella sua integralità, è bisessuale, androgina” (5).
Oppure ancora: “Gli uomini hanno rinnegato Dio, ma così facendo non hanno messo in dubbio la dignità di Dio, bensì la dignità dell’uomo. L’uomo non può tenersi in piedi senza Dio. Per l’uomo Dio è appunto l’idea suprema, la realtà che edifica l’uomo. L’altra faccia di questo è che l’uomo è l’idea suprema di Dio” (6). (Afferma allo stesso proposito Steiner: “Meditate ora sull’idea: “Io penso i miei pensieri” e: “Io sono un pensiero che viene pensato dalle Gerarchie del cosmo””) (7).
Ebbene, è sufficiente questo per concludere che Berdjaev fosse animato dallo stesso spirito che animava Steiner? Niente affatto.
Lo provano più che a sufficienza i giudizi da lui espressi, nell’Autobiografia spirituale (8), nei riguardi dell’Antroposofia e della persona stessa di Steiner.
Ad esempio, questi: “Nell’antroposofia, fenomeno che ho conosciuto meglio sia per letture sia per contatti personali, non ho mai trovato l’”uomo”, l’uomo si era dissolto nei diversi piani cosmici (…) Lo stesso Steiner, che potei conoscere personalmente, mi lasciò un’impressione complessa e abbastanza spiacevole. Non mi diede però l’impressione di essere un ciarlatano (…) Raramente c’è stato un uomo che mi abbia dato l’impressione di essere così privo di grazie carismatiche come Steiner. Non v’era nessuna luce che venisse dall’alto. Voleva raggiungere ogni cosa partendo dal basso” (9).
Che dire? Non è quantomeno singolare il non riuscire a trovare l’”uomo” in una Anthropos-Sofia: vale a dire, in un insegnamento che si ripromette proprio di risvegliare nell’uomo la “coscienza della sua umanità”? (10)
Ben si comprende, dunque, il perché Steiner, nel corso di una sua conferenza, si sia rivolto ai presenti dicendo: “Noi lavoriamo insieme da molto tempo, e penso sia già a poco a poco cresciuta la serietà e la capacità di discriminare fra elementi che presentano qualche affinità; in fondo anche un cagnolino ha qualche affinità con un leone: entrambi hanno quattro zampe!”; e abbia aggiunto: “Accomunare il nostro movimento a questo o a quel tentativo, è quel che più ci danneggia”.
Ma per quale ragione – come dice sempre Steiner – vi è “la tendenza a mettere le cose su uno stesso piano, facendo così succedere confusioni”? (11)
Per la semplice ragione che si è in genere attenti al cosa, e non al come. Solo il come, tuttavia, può permetterci, rivelando il chi, di discernere gli spiriti, e quindi di “discriminare fra elementi che presentano qualche affinità” (12).
E qual è il come di Berdjaev? E’ il come filosofico, proprio dell’anima razionale-affettiva (“Io – afferma – mi propongo qui di considerare il problema dell’uomo come filosofo e non come teologo. Il pensiero contemporaneo è chiamato a creare un’antropologia filosofica”) (13); e qual è quello di Steiner? E’ il come scientifico-spirituale, proprio invece dell’anima cosciente.
Berdjaev sottolinea a più riprese, al pari di Steiner, la natura astratta del pensiero contemporaneo. Ma qual è, per Berdjaev, il pensiero “astratto”? E’ il pensiero intrinsecamente privo di sentire, e per ciò stesso di slancio mistico o di “grazie carismatiche” (14). E qual è invece, per Steiner? E’ il pensiero intrinsecamente privo di volere, e per ciò stesso di oggettività (di “oggettualità”) o di scientificità (15).
Berdjaev afferma – è vero – che “la scienza ama la verità e cerca la verità”, che “non sopporta la menzogna”, e che “il vero scienziato è un asceta” (16).
Ma quando questo “asceta” (non essendo uno starec, bensì appunto uno “scienziato” dello spirito) vuole “raggiungere ogni cosa partendo dal basso”, secondo il metodo (induttivo) dell’anima cosciente, ecco che Berdjaev storce (aristocraticamente) il naso e si rifiuta di seguirlo.
“Risultati di osservazione animica secondo il metodo delle scienze naturali”: così suona – com’è noto – il secondo sottotitolo de La filosofia della libertà (17).
Ebbene, ci si può forse stupire, alla luce di quanto detto, che l’opera fondamentale di Steiner sia apparsa a Berdjaev addirittura “insignificante”? (18)
Ci sono comunque un paio di punti dei suoi Pensieri in cui la differenza tra l’approccio razionale-affettivo (nel suo caso, però, sarebbe più appropriato dire “affettivo-razionale”) e quello scientifico-spirituale si palesa in modo particolarmente evidente.
Uno è quello in cui Berdjaev parla della tecnica. Scrive infatti: “Il problema della tecnica per noi è diventato un problema spirituale che tocca il destino dell’uomo, il suo rapporto con Dio (…) E’ una realtà che non è mai esistita nella storia del mondo fino alle scoperte e alle invenzioni compiute dall’uomo. L’uomo è riuscito a creare un mondo nuovo. La macchina non è il congegno meccanico. Nella macchina è presente la ragione dell’uomo, vi agisce il principio teleologico” (19).
E’ vero. Basterebbe d’altronde meditare la lettera di Steiner del 12 aprile 1925, intitolata: Dalla natura alla subnatura (l’ultima contenuta nelle sue Massime) (20), per rendersi conto che quello della tecnica è in effetti “un mondo che si emancipa dalla natura verso il basso” e che, in quanto tale, crea “un problema spirituale che tocca il destino dell’uomo, il suo rapporto con Dio”.
Non è però sufficiente affermare – come fa Berdjaev – che “nella macchina è presente la ragione dell’uomo”; occorre piuttosto capire – come consente di fare la sola scienza dello spirito – quale preciso grado o livello della ragione umana sia presente o incarnato nella macchina.
Come Kant, infatti, si è premurato di distinguere una “ragione pura” da una “ragione pratica”, così noi dovremmo premurarci di distinguere, per così dire, una ragione rappresentativa (o intellettuale), una ragione immaginativa, una ragione ispirativa e una ragione intuitiva, al fine di comprendere ch’è la prima di queste a essere presente o incarnata nella macchina, e ch’è solo in virtù dello sviluppo delle altre, superiori, che la tecnica – come dice Berdjaev – “può essere volta al servizio di Dio” e strappata dalle grinfie del “diavolo” (21).
“La tecnica – scrive ancora – prodotta dallo spirito materializza la vita, ma potrebbe anche contribuire a liberare lo spirito, a liberarlo dalla fusione con la vita materiale e organica. Essa può anche spiritualizzare” (22).
Sarà tuttavia ben difficile che ciò possa accadere, se non ci si guadagnerà la capacità di distinguere concretamente, nell’uomo, i diversi gradi di coscienza e, nello spirito, i diversi spiriti o le diverse Gerarchie (e non solo, semplicisticamente, il diavolo dal buon Dio).
Scrive infatti Steiner: “Nell’epoca in cui ancora non esisteva una vera e propria tecnica indipendente dalla natura, l’uomo trovava lo spirito nella contemplazione della natura. La tecnica che si andava emancipando fece sì che lo sguardo dell’uomo si irrigidisse sull’elemento meccanicistico-materiale, quello che per lui diventava ora scientifico. In esso è però assente tutta la spiritualità divina collegata con l’origine dell’evoluzione dell’umanità. L’elemento puramente arimanico domina quella sfera. Nella scienza dello spirito viene ora creata l’altra sfera in cui non esiste nulla di arimanico. E appunto accogliendo con la conoscenza quella spiritualità, alla quale le potenze arimaniche non hanno accesso, l’uomo si rafforza, per affrontare Arimane nel mondo” (23).
L’altro punto è quello in cui Berdjaev parla della libertà: “La libertà – scrive – è qualcosa che sta prima dell’essere, ha la propria fonte non nell’essere ma nel non-essere” (24).
D’accordo, ma in che cosa ha la propria fonte il “non-essere”?
E si può forse rispondere concretamente a questo interrogativo, se non considerando – come abbiamo tentato ad esempio di fare nel nostro studio su La filosofia della libertà (25) – i sottili rapporti intercorrenti tra l’essere vivo del pensiero, l’essere morto dell’organo cerebrale e il non-essere (la parvenza o l’astrazione) dell’immagine che appare allorché il primo si rispecchia nel secondo per prendere una prima e basale coscienza di sé?
E’ vero dunque che la libertà nasce dal non-essere, ma ancor prima è vero che il non-essere (l’uomo o il pensiero “caduto”) nasce dall’essere; così come è vero che per passare dalla libertà negativa (la libertà “da”, dell’ego o del “vecchio Adamo”) alla libertà positiva (la libertà “per”, dell’Io o del “nuovo Adamo”), ovvero all’amore, dal non-essere, grazie all’impulso del Logos, deve risorgere l’essere o, per meglio dire, lo spirito (ossia l’essere autocosciente).

Note:

01) Nikolaj Berdjaev: Pensieri controcorrente – La Casa di Matriona, Milano 2007;
02) ibid., p. 132;
03) ibid., p. 21;
04) ibid., p. 81;
05) ibid., p. 137;
06) ibid., p. 59;
07) R.Steiner: Pensiero umano-Pensiero cosmico – Estrella de Oriente, Trento 2004, p. 74;
08) N.Berdjaev: Autobiografia spirituale – Jaca Book, Milano 2006;
09) ibid., pp. 204 e 205;
10) R.Steiner: Formazione di comunità – Antroposofica, Milano 1992, p. 69;
11) R.Steiner: Essere cosmico e Io – Antroposofica, Milano 2000, pp. 90 e 91;
12) osserva appunto Steiner: “Chi si accontenti di una concordanza letterale, senza sentire come le cose provengano da una sorgente spirituale e come siano da essa pervase per il fatto di essere inserite nel complesso della concezione antroposofica, chi non fa attenzione a questo come, se vuole identificare l’esposizione letterale con una qualsiasi altra dottrina esteriore, travisa ciò che qui è inteso” (Lo studio dei sintomi storici – Antroposofica, Milano 1961, p. 110);
13) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente, p. 118. “La filosofia – osserva acutamente Miguel de Unamuno – si avvicina più alla poesia che alla scienza” (Del sentimento tragico della vita – Rinascimento del libro, Firenze 1937, p. 10);
14) nell’edizione tedesca del 1904, della sua Teosofia (così come nell’O.O. 009, consultabile on-line), Steiner, riguardo all’anima razionale-affettiva, scrive: “Als Verstandesseele sei diese vom Denken bediente Seele bezeichnet. Man könnte sie auch die Gemütsseele oder das Gemüt nennen”. Nell’edizione italiana del 2003 (Mondadori), il passo è stato tradotto così: “L’anima servita dal pensiero si chiamerà anima razionale. La si potrebbe anche chiamare anima affettiva” (Gemütsseele). In quella del 1957 (Antroposofica), figura invece la prima affermazione, ma non la seconda;
15) precisa Steiner: “L’anima cosciente non arriverà mai alla conoscenza, neppure delle cose esteriori, se non si accosta ad esse con amore e dedizione, perché noi passiamo effettivamente davanti alle cose senza avvertirle, se non le avviciniamo con tali sentimenti, cioè con devozione. Questo sentimento è così la guida alla conoscenza dell’ignoto; lo è già nella vita ordinaria e tanto più lo è nei confronti del mondo soprasensibile (…) La devozione deve sgorgare dall’Io e andare verso l’oggetto che si vuol conoscere” (Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa, Roma 1984, pp. 58 e 59);
16) ibid., p. 22;
17) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
18) N.Berdjaev: Autobiografia spirituale, p. 206;
19) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente, p. 48;
20) R.Steiner: Massime antroposofiche – Antroposofica, Milano 1969, p. 222;
21) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente, p. 49;
22) ibid., p. 49. In che senso la tecnica potrebbe “anche spiritualizzare”, lo si può capire grazie a questa affermazione di Massimo Scaligero: “Nell’aridità dell’agnostico pensiero matematico, in effetto brilla una fredda luce, segno inavvertito di una invisibile luce di vita, più prossima alle nitide linee della geometria e della logica formale, che non alle tensioni della psiche yoghica o mistica” (Graal – Tilopa, Roma 1982, p. 17);
23) R.Steiner: Massime antroposofiche, p. 225;
24) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente, p. 125;
25) pubblicato dall’“Osservatorio”.

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Di Lucio Russo
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