24/07/2008

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Riflettendo sulla figura di Filippo Neri, Goethe trovò soprattutto significativo “che anche nel cuore di Roma un uomo alacre, timorato di Dio, energico, operoso, si preoccupasse di congiungere la religiosità, anzi la santità, con le cose del mondo, d’introdurre il senso del divino nella vita secolare, così da gettare egli pure le basi di una riforma; poiché questa soltanto è la chiave capace di schiudere le prigioni del papato e di ridare al mondo libero il suo Dio” (cfr. Laici e laicisti, 30 agosto 2005).
Ebbene, chiunque aspiri – come Goethe – a “ridare al mondo libero il suo Dio”, sentendosi per ciò stesso vicino, col cuore, allo spirito che anima l’insegnamento di Steiner, troverà sicuramente interessanti i seguenti passi tratti da La rivoluzione dei Templari. Una storia perduta del dodicesimo secolo, di Simonetta Cerrini (Mondadori, Milano 2008):
1) “la Chiesa attuale è nata rivendicando il monopolio del sacro ed escludendo i re dal potere spirituale, a seguito del conflitto con l’Impero che si conclude nel 1122, con il concordato di Worms (…) La rivoluzione pacifica dei templari consiste nello svuotare dall’interno la funzione del clero nella società e allargare questa funzione alla società stessa, per giungere a una società religiosa, ma non clericale (…) I templari sono giunti a mettere in discussione la struttura stessa della società dell’epoca” (pp. 6-7);
2) “all’inizio dell’era cristiana, i laici non esistevano. Secondo l’apostolo Pietro, che si riferisce all’Alleanza annunciata da Dio a Mosè (Esodo 19,6), i credenti sono tutti, senza distinzione, “una razza eletta, un sacerdozio regale, una nazione santa”. Più tardi, durante il Medioevo, questa unità del popolo cristiano è messa in dubbio: i chierici inventano la categoria dei laici. La separazione tra chierici e laici è addirittura un elemento che contraddistingue la società medievale, e che caratterizza la sua organizzazione politica e religiosa. Nel XII secolo, al momento stesso della nascita dell’ordine dei templari, la Chiesa, che aveva appena inaugurato i suoi fondamenti giuridici, diventando una vera e propria istituzione, si assicura, dopo la lotta contro l’Impero, il monopolio del sacro (…) I chierici sono i soli autorizzati a gestire il sacro; i laici non hanno alcuna autonomia in materia, neppure i re né l’imperatore. Devono limitarsi a obbedire e coloro che combattono non sono che il “braccio armato” dei chierici” (pp. 17-18);
3) “il bisogno di rinnovamento religioso voluto dall’autorità ecclesiastica si concretizzò con la riforma gregoriana, dal nome del pontefice Gregorio VII (1073-1085). Già prima di diventare papa il monaco Ildebrando di Soana era impegnato nel grande movimento di moralizzazione del clero – ormai identificato con la Chiesa nel suo insieme – e di canalizzazione delle energie e del desiderio di spiritualità dei laici guerrieri in un’azione pratica di difesa del clero. La lotta che oppose il vescovo di Roma e l’Impero e che accompagnò la riforma rese caduca la visione carolingia e ottoniana che attribuiva al re una funzione centrale e annullò il ruolo dell’autorità laica nella gestione del sacro. Il ceto dirigente laico si vide così emarginato e spogliato di ogni autorità spirituale. Il popolo dei cristiani, basso clero, piccola nobiltà, donne, cavalieri, precedentemente affidato alla responsabilità del re, era ormai soggetto al papa. E’ l’inizio della Chiesa istituzionale che conosciamo oggi: la Chiesa centrata su Roma, che ha il papa come unico capo, eletto dai cardinali e non dal popolo. Una Chiesa che ha tuttavia già conosciuto la sua prima divisione, una Chiesa latina separata dal 1054 dalla Chiesa greca, rimasta legata all’imperatore di Bisanzio. Sono anche i balbettii, incoscienti, di uno Stato laico ancora in embrione, la cui laicità è però il risultato di una privazione e di un’esclusione dal sacro. Soltanto nel nostro immaginario – determinato da altre storie – lo Stato laico è nato da una conquista. Per questo aspetto è nato piuttosto da una sconfitta” (pp. 40-41).

Di Lucio Russo
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