Non di rado ci è accaduto, dopo aver letto qualche libro o qualche articolo degli odierni rappresentanti della scienza, che ci tornassero alla mente gli ultimi versi del sonetto Er frutto de la predica, di Giuseppe Gioachino Belli (1):
Inzomma, da la predica de jjeri,
Ggira che tt’ariggira, in concrusione
Venissimo a ccapì cche ssò mmisteri.
Fatto che si è appunto ripetuto non appena ultimata la lettura del nuovo libro di Edoardo Boncinelli: Come nascono le idee (2).
Boncinelli apre infatti il suo lavoro (il titolo – si noti – non è interrogativo) dichiarando che “sull’argomento nessuno – e meno che mai io – ha niente di sicuro e di accertato da dire” (3), e lo chiude con il seguente “commiato”: “Ma insomma sappiamo che cos’è un’idea? No. Sappiamo come può nascere una buona idea? Non direi. Possiamo fare qualcosa per favorire lo sbocciare di nuove buone idee? Ne dubito. Ma allora perché hai scritto questo libro? E’ stata un’idea…” (4).
Un’idea senz’altro “avventata e fascinosa”, come egli stesso dice (5), non essendo certamente facile riempire circa centocinquanta pagine per spiegare “come nascono le idee”, senza sapere “che cos’è un’idea”.
E come le riempie allora Boncinelli? Sciorinando tutta una serie di ipotesi e congetture (relative ad esempio al pensiero, alle idee, alla memoria, alla coscienza, alla creatività o all’intelligenza) che hanno – come al solito – una marcata impronta materialistica (6).
E’ infatti convinto, al pari di quasi tutti gli scienziati contemporanei, che si possa fare scienza solo indagando la realtà sensibile: ossia osservando, nel caso specifico, il sistema nervoso e il cervello (sensibili), e non il pensiero e le idee (extrasensibili).
Questo non è però che un pregiudizio, perché si potrebbero (e dovrebbero) osservare, con spirito scientifico, anche il pensiero e le idee (“Solo ora comprendo – dice Faust – la parola del saggio: “Il mondo degli spiriti non ci è chiuso: chiusi sono i tuoi sensi, morto il tuo cuore””) (7).
Scrive in proposito Steiner: “Mentre l’osservare gli oggetti e i processi, e il pensare su di essi sono condizioni usuali che riempiono la mia vita nel suo svolgersi, l’osservazione del pensare è una specie di condizione eccezionale (…) Deve essere chiaro che, osservando il pensare, viene usato un procedimento che costituisce la condizione normale per lo studio di tutto il rimanente contenuto del mondo, ma che non si applica mai al pensare stesso nel corso delle condizioni normali” (8).
Tale procedimento (l’osservazione) “non si applica mai al pensare stesso”, con l’ausilio di tecniche interiori (9), perché, “nel corso delle condizioni normali”, lo si applica – come detto – al sistema nervoso e al cervello, con l’ausilio di tecniche esteriori.
Con queste affermazioni, sappiamo bene di suscitare, in coloro che la pensano come Boncinelli, un sorriso di compatimento. Dal punto di vista materialistico, non è infatti da compatire chi è convinto – come noi – non solo che esistano, ma che siano anche osservabili, delle realtà extrasensibili quali quelle del pensiero e delle idee?
Ma ci spieghino allora, i materialisti (più o meno dichiarati), per quale ragione, escogitando e imbastendo le loro teorie, tirano in ballo il “caso”.
Ecco, ad esempio, quanto scrive Boncinelli, a proposito delle “differenze sottili fra individuo e individuo” (10): “Il contributo relativo del patrimonio genetico varia molto al variare delle doti o dei difetti personali che si stanno prendendo in considerazione, ma raramente supera il 50% e spesso si rivela molto più contenuto. Il problema è che anche il contributo che si può ragionevolmente assegnare all’ambiente dove uno è vissuto e alle sue esperienze dirette è quasi sempre inferiore al 50%, e spesso assai inferiore. L’unica via d’uscita da questa constatazione, deludente sia per gli uni che per gli altri, è rappresentata dalla considerazione, che molti neurobiologi hanno fatto da tempo, che nella determinazione della natura di un individuo operi una terza componente di natura essenzialmente casuale e comunque non ascrivibile né ai geni né alle esperienze individuali. Nessuno poteva però immaginare che la parte giocata da questa terza componente fosse così consistente” (11).
Dunque, “nella determinazione della natura di un individuo”, oltre a quella ereditaria e a quella ambientale, opera (e in modo sorprendentemente “consistente”) una “terza componente”. Ebbene, per quale ragione questa dovrebbe essere costituita dal “caso” (che de-responsabilizza), e non dall’”Io” (che responsabilizza)?
Il “caso” non è extrasensibile o imponderabile quanto l’Io? O si è forse in grado di percepirlo così come si percepiscono ordinariamente le cose, e magari di riprodurlo e verificarlo?
Come si vede, anche quanti sono convinti, al pari di Boncinelli, che si possa fare scienza solo indagando la realtà sensibile, prima o poi si vedono costretti a ricorrere alla realtà extrasensibile.
Ma perché non farlo allora in modo avveduto e critico, evitando così di ridurla a un banale espediente o a un comodo Deus ex machina? (12)
E cosa dovrebbero pensare, poi, coloro che – educati, non diciamo dallo Steiner dei Saggi filosofici (13) o de La filosofia della libertà (14), ma anche soltanto dal Rosmini del Nuovo saggio sull’origine delle idee (15) – si trovano a leggere che le idee “sgorgano dall’attività inconscia della nostra materia cerebrale e del nostro sistema nervoso” (16), che “il pensiero è tutto quello che intercorre fra uno stimolo che ci colpisce e la nostra risposta” (17) o che la coscienza è “una collezione di atomi di presente” (18)? Ci sarebbe da meravigliarsi se pensassero che si è passati – come si suol dire – “dalle stelle alle stalle”?
Fatto si è che il “caso” è un’idea, e non una cosa (o un fatto, come crede, da buon realista metafisico, Jacques Monod) (19); e non si può sapere che cos’è il “caso” se non si sa “che cos’è un’idea”. Così come non si può sapere chi ispira o suggerisce (nichilisticamente) agli uomini l’idea del “caso”, se non si sa chi ispira o suggerisce (spiritualmente) loro l’idea dell’Io (20).
Non per niente, a Mefistofele che gli addita il “Nulla” (il caso), Faust risponde: “Nel tuo Nulla, spero di trovare il Tutto” (l’Io) (21).
Non ha torto dunque John Searle quando afferma: “Se dovessi descrivere la motivazione più profonda del materialismo, si potrebbe affermare che essa è semplicemente un terrore della coscienza. Ma è così che dovrebbe essere? Perché i materialisti dovrebbero avere paura della coscienza? (…) La ragione più profonda della paura della coscienza sta nel fatto che la coscienza possiede il carattere sostanzialmente terrificante della soggettività” (ossia, per l’appunto, dell’Io) (22).
Note:
01) vedi Noterella 4 aprile 2003;
02) E.Boncinelli: Come nascono le idee – Laterza, Roma-Bari 2008;
03) ibid., p. V;
04) ibid., p. 149;
05) ibid., p. VI;
06) cfr. Il cervello, la mente e l’anima, 12 dicembre 2001;
07) W.Goethe: Faust – Einaudi, Torino 1967, pp. 18-19;
08) R.Steiner: La filosofia della libertà – Mondadori, Milano 1998, p. 36;
09) cfr. M.Scaligero: Tecniche della concentrazione interiore – Mediterranee, Roma 1985;
10) E.Boncinelli: op. cit., p. 57;
11) ibid., pp. 59-60;
12) nel corso di una recente intervista, Lucio Rossi, fisico e dirigente, al CERN di Ginevra, del “settore dedicato ai magneti superconduttori del progetto LHC, Large Hadron Collider”, ha affermato: “Ci vuole molta più credulità e senso di contraddizione a pensare che tutto sia frutto del caso, piuttosto che di una razionalità suprema” – Tempi, 16 ottobre 2008;
13) cfr. R.Steiner: Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974;
14) vedi nota 08;
15) cfr. A.Rosmini: Nuovo saggio sull’origine delle idee – Laterza, Bari 1948;
16) E.Boncinelli: op. cit., p. 6;
17) ibid., p. 4;
18) ibid., p. 80. Spiega Boncinelli: “In conclusione, la continuità della coscienza di ogni singolo individuo, cioè la sua identità, si basa sul complesso dei processi paralleli che interessano il suo corpo e la sua psiche, caratterizzati da quella continuità e sostanziale inesauribilità tipica di ogni fenomeno biologico, ma può venir esperita solamente attraverso la collezione dei momentanei episodi di coscienza” (p. 82);
19) cfr. J.Monod: Il caso e la necessità – Mondadori, Milano 1997. E’ da notare che la sua idea che il caso sia un fatto che genera (evolutivamente), tanto la novità, quanto, grazie al “meccanismo dell’invarianza”, la necessità, rappresenta la perfetta contro-immagine materialistica del rapporto dell’”Io sono” (ossia della libertà e dell’amore), vuoi con la creatività, vuoi con la necessità;
20) nella versione del Padre Nostro data da Steiner (vedi Pater Noster, 25 dicembre 2003) è detto appunto ch’è la “luce della conoscenza” del Padre (dell’”Io sono”) a liberarci dall’”illusione” e dall’”inganno”;
21) W.Goethe: op. cit., p. 177;
22) cit. in J.Eccles: Come l’Io controlla il suo cervello – Rizzoli, Milano 1994, p. 74.