Abbiamo visto, giovedì scorso, che la corrente animico-spirituale del mondo esterno tenderebbe a smaterializzarci, ma che il corpo umano le si oppone, “trattenendola”, “rallentandola” e “arrestandola”. Abbiamo anche provato a farci una prima idea della realtà di questa dinamica, spostando l’attenzione dal piano corporeo a quello animico.
Adesso, però, dobbiamo tornare sul piano corporeo, poiché è a questo che Steiner qui si riferisce.
Ripartiamo, dunque, da questa sua affermazione: “Il sistema del petto e dell’addome è inserito in questa corrente, ed è quello che si oppone alla distruzione cui tende l’animico-spirituale; è anche quello che rifornisce di materia l’uomo intero”.
La corrente animico-spirituale del mondo esterno investe dunque gli arti, il petto, l’addome e la testa, ma sono il petto e l’addome (il centro) a rifornire di materia gli arti e la testa (la periferia). E come?
Dice Steiner: “I nostri arti, i quali emergono oltre il tronco, sono quanto vi è in noi di più spirituale, poiché in essi il processo produttore di materia si svolge in grado minimo: gli arti debbono la loro materialità soltanto a ciò che il sistema del tronco invia loro attraverso i processi del ricambio. Gli arti possiedono un alto grado di spiritualità e, quando eseguono dei movimenti, vengono alimentati dal resto del corpo” (p. 184).
Osservando lo scheletro umano, è in effetti difficile non notare la grande differenza che c’è tra la pesante e rotondeggiante struttura ossea della testa (in specie della scatola cranica) e quella leggera lineare e raggiata degli arti, così com’è difficile non notare che, nella testa, la struttura ossea è esterna e quella non-ossea (il cervello) è interna, mentre negli arti la struttura ossea è interna e quella non-ossea (muscolare) è esterna. Ciò potrebbe già permetterci di capire – come vedremo tra breve – che il tronco e l’addome forniscono di materia morta la testa e di materia vivente gli arti.
Dice Steiner: “Se gli arti si muovono troppo poco o si muovono in modo ad essi inadatto, non sottraggono al corpo delle sostanze in quantità sufficiente. Il sistema del tronco si trova allora nella felice situazione – felice dal suo punto di vista – che gli arti non gli sottraggono abbastanza materia. Esso impiega allora la parte inutilizzata per creare nell’uomo della materialità supplementare (…) Questo soprappiù pervade ciò che l’uomo non dovrebbe avere e che ha materialmente soltanto perché è un essere terrestre, qualcosa che, nel vero senso della parola, non ha nessuna propensione verso l’animico-spirituale: questa cosa che pervade sempre più il corpo è il grasso. Ma quando il grasso si deposita in modo anormale, pone un vero e proprio ostacolo al processo animico-spirituale che è un processo di assorbimento, e rende difficile a tale processo di arrivare fino al sistema della testa (…) Più tardi nella vita il fatto di ingrassare dipende da altre cause assai svariate, ma nell’infanzia si ha sempre modo, in bambini normali, di controbilanciare con un’alimentazione appropriata la tendenza ad ingrassare troppo (…) Ma non si può sentire la giusta responsabilità di fronte a queste cose, se non se ne misura l’enorme importanza, se non si riconosce che, autorizzando i bambini a nutrirsi in modo da accumulare troppo grasso, si impedisce lo svolgersi del processo cosmico che tende a far sì che l’elemento spirituale-animico scorra attraverso l’uomo” (pp. 184-185).
Abbiamo appena detto che il tronco e l’addome forniscono di materia vivente gli arti. Ed ecco infatti che quando gli arti vivono (“si muovono”) troppo poco o vivono (“si muovono”) in modo ad essi inadatto, la materia da loro inutilizzata si deposita come grasso: cioè a dire come una sostanza della quale non si sono serviti gli arti e della quale non può servirsi la testa, che vi trova anzi un ostacolo (in quanto – direbbe un orientale – è “tamas”, e quindi attratta in basso dalla gravità).
Varrà la pena ricordare, in proposito, che proprio in questi giorni si è avuta notizia che i bambini italiani, stando almeno alle statistiche, sarebbero, tra quelli europei, i più obesi.
Ma vediamo adesso che cosa succede nella testa.
Dice Steiner: “Nella testa dell’uomo avviene veramente qualcosa di meraviglioso: qui viene a fermarsi la corrente animico-spirituale, e rifluisce indietro, come l’acqua quando incontra uno sbarramento (…) In questo riflusso si ha un continuo depositarsi di materia entro il cervello. E quando questa materia, ancora compenetrata di vita, vien respinta indietro e si deposita, allora si forma il nervo. Il nervo si forma sempre quando della materia, trascinata dallo spirito attraverso la vita, si deposita e muore entro un organismo vivente. Il nervo è dunque della materia morta in seno ad un organismo vivente, della materia da cui la vita si ritrae, rifluendo su se stessa, disgregando, sbriciolando la sostanza. In tal modo si formano nell’uomo dei canali, che si estendono dappertutto e sono riempiti di materia morta, i nervi. Lungo i nervi l’elemento animico-spirituale può rifluire nell’uomo; l’animico spirituale scorre lungo i nervi, perché si serve della materia morta” (pp. 185-186).
La realtà animico-spirituale ci viene dunque incontro e ci attraversa, ma, attraversandoci, viene accolta, frenata e arrestata. Potremmo dire, volendo, che viene “accolta” nella sfera dell’inconscio o del sonno (degli arti), che viene “rallentata” in quella del subconscio o del sogno (del tronco) e che viene “arrestata” in quella del conscio o della veglia (della testa).
In virtù di questo viaggio, all’interno dell’uomo, la forza-forma animico-spirituale si trasforma in forma animico-spirituale: ovvero, la volontà-pensiero cosmica si trasforma nel pensiero umano. Questo viaggio equivale quindi a un processo inteso a distillare la forma dalla forza, liberandola gradualmente da questa.
Ma che cos’è una forma liberata interamente dalla forza? E’ una forma “morta”, tanto sul piano della sostanza (del nervo) quanto su quello del pensiero (riflesso).
Sarà forse il caso di ricordare, ancora una volta, che una cosa è l’animico-spirituale che si fa vita della sostanza, e che si presenta o manifesta perciò come tale (ad esempio, come cellula), altra è l’animico-spirituale che si presenta o manifesta come “animico-spirituale”: che si spoglia cioè del suo abito vitale e sostanziale, per presentarsi nudo di fronte allo specchio cerebrale e poter così acquisire una prima e riflessa coscienza di sé.
Ma c’è di più. Abbiamo appena detto che una forma, liberata interamente dalla forza, è una forma “morta”. E che cos’è invece – domandiamoci – una forza liberata interamente dalla forma (un volere interamente liberato dalla forma conferitagli dal karma)? E’ presto detto: una libera volontà.
Ascoltate infatti quanto dice Steiner, ne La filosofia della libertà: “La volontà è libera. Non può però osservare questa libertà della volontà chi non sia in grado di vedere che la libera volontà consiste nel fatto che soltanto dall’elemento intuitivo la necessaria attività dell’organismo umano viene paralizzata, respinta, e sostituita dall’attività spirituale della volontà piena d’idee. Solamente chi non può fare questa osservazione della duplice articolazione di un libero volere, crede alla non libertà di ogni volere. Chi invece sia in grado di osservarla si apre un varco alla comprensione del fatto che in tanto l’uomo non è libero, in quanto non è capace di compiere fino in fondo il processo di repressione dell’attività organica, e che però questa non-libertà anela alla libertà, la quale non è per nulla un ideale astratto, bensì una forza dirigente che risiede nell’essere umano”.
A ben vedere, “compiere fino in fondo il processo di repressione dell’attività organica”, vuol dire appunto infrangere quella unità di forza (volere) e di forma (pensare) che domina e governa l’intera natura (il pensare nel volere è quel segreto della natura cui non hanno accesso, vuoi i filosofi della sola volontà, vuoi quelli del solo pensiero): vuol dire cioè dividere la forza dalla forma e la forma dalla forza, per poi tornare a riunirle (quale volere nel pensare), non come si danno necessariamente (incoscientemente) in natura, ma come sono chiamate a darsi liberamente (coscientemente) nell’uomo.
Che cosa abbiamo detto infatti l’ultima volta? Che l’uomo è un’autentica “zeppa” inserita nel corpo della natura: ossia un “cuneo” che divide appunto la forma dalla forza e la forza dalla forma, al fine di creare, sulla Terra, il nuovo regno della libertà e dell’amore.
Dice Steiner: “Come possiamo dunque rappresentarci ciò che è organico, ciò che è vivente? Possiamo rappresentarcelo come qualcosa che arresta e accoglie in sé l’animico-spirituale, che non lo lascia passare. Possiamo invece rappresentarci la sostanza morta, materiale, minerale, come qualcosa che lascia passare l’animico-spirituale (…) Ciò che vive organicamente è impenetrabile per lo spirito, mentre la materia morta si lascia attraversare dallo spirito. “Il sangue è un succo del tutto peculiare”, perché si comporta di fronte allo spirito come una sostanza opaca di fronte alla luce: non lascia passare lo spirito, ma lo trattiene in se stesso. Anche la sostanza nervosa è una sostanza assai peculiare; è come un vetro trasparente di fronte alla luce. Come un vetro trasparente lascia passare la luce, così la materia fisica morta, ed anche la sostanza nervosa, lascia passare lo spirito” (pp. 186-187).
Potremmo anche dire che il sangue, in quanto permeabile dallo spirito, lo assorbe, mentre il nervo, in quanto impermeabile allo spirito, lo lascia andar via.
Pensate alla Luna. La sua parte luminosa è tale perché non assorbe, e per ciò stesso riflette, la luce solare, mentre la sua parte oscura è tale perché l’assorbe, e per ciò stesso non la riflette. Possiamo pertanto paragonare “ciò che vive organicamente” alla Luna oscura e la “materia morta” alla Luna chiara, che per l’appunto riflette la luce solare, così come il cervello riflette il pensiero vivente.
Dice Steiner: “Come vedete, vi è una differenza tra due parti costitutive dell’uomo: tra ciò che in lui vi è di minerale e che si lascia attraversare dallo spirito, e ciò che vi è di animale, di organico-vivente, che trattiene in sé lo spirito inducendolo a produrre le forme che configurano l’organismo” (p. 187).
Vi è cioè differenza, in lui, tra ciò che lascia che lo spirito conservi (seppure riflesse) le sembianze dello spirito, e ciò che conferisce invece allo spirito le sembianze, mettiamo, del fegato, dei reni, dei polmoni o del cuore.
Guardate le foglie in primavera: sono turgide e piene di vita, proprio perché lo spirito vi si è calato interamente. Guardatele invece in autunno: sono secche e prive di vita, proprio perché lo spirito ne è fuoriuscito. Nel primo caso, lo spirito ci si dà dunque in forma di foglia; nel secondo, in forma appunto di spirito (in forma – direbbe Goethe – di Urpflanze).
Durante la primavera e l’estate, la natura inspira infatti lo spirito, mentre durante l’autunno e l’inverno lo espira.
Dice Steiner: “Quando l’uomo lavora fisicamente, egli muove i suoi arti. Ciò significa che egli nuota, per così dire, entro lo spirito (…) Sia che tagliate della legna, sia che camminiate o comunque muoviate i vostri arti per un lavoro utile o inutile, voi diguazzate continuamente nell’elemento spirituale, siete continuamente in rapporto con lo spirito. Questo fatto è molto importante. Ma è ancora più importante se ci domandiamo come stiano le cose quando lavoriamo spiritualmente, quando pensiamo o leggiamo. In questo caso non nuotiamo coi nostri arti dentro il mondo spirituale esteriore; bensì l’elemento spirituale-animico che è dentro di noi lavora, servendosi continuamente del nostro corpo, cioè si esprime completamente in noi mediante un processo fisico-corporeo. In questo processo della materia viene continuamente ad urtare come contro uno sbarramento, e rifluisce all’indietro. Nel lavoro spirituale il nostro corpo svolge un’attività sovrabbondante, mentre nel lavoro fisico-corporeo è il nostro spirito che svolge un’attività sovrabbondante (…) Il lavoro del corpo è spirituale, il lavoro dello spirito è corporeo, per quanto riguarda l’uomo. Dobbiamo far nostra questa verità paradossale, e comprendere che nell’uomo il lavoro corporeo è spirituale, e il lavoro spirituale è corporeo. Lo spirito ci irrora da fuori quando eseguiamo un lavoro fisico. La materia è attiva in noi quando lavoriamo spiritualmente” (pp. 187-188).
Qual è dunque il paradosso? Che l’homo faber è uomo “spirituale”, mentre l’homo sapiens è uomo “corporeo”. Ma attenzione: il primo consuma lo spirito (incosciente) per lavorare col corpo, mentre il secondo consuma il corpo per lavorare con lo spirito (cosciente).
Dice Steiner: “Noi ci spiritualizziamo in modo eccessivo quando lavoriamo troppo fisicamente: dall’esterno ci rendiamo troppo spirituali. Quale conseguenza ne deriva? Che noi dobbiamo abbandonarci per troppo tempo allo spirito, cioè dobbiamo dormire troppo a lungo. Se lavoriamo eccessivamente col nostro corpo, dobbiamo dormire troppo (…) Ma da che cosa proviene allora che i fannulloni dormono così volentieri e così a lungo? (…) Il fannullone dorme tanto non perché lavora troppo poco, giacché anch’egli muove le gambe e gesticola con le mani e le braccia per tutta la durata del giorno. Anche il fannullone agisce in qualche modo. Guardando dal di fuori, si può dire che egli non fa niente di meno di quanto non faccia l’uomo attivo, ma si muove senza un senso. L’uomo attivo si dedica al mondo esteriore, dà un senso alle sue attività: e in ciò sta la differenza” (pp. 188-189).
La differenza sta cioè nel fatto che l’uomo attivo, dando un senso (cosciente) al suo lavoro fisico, lo spiritualizza, mentre il fannullone, non dandogli un senso, lo lascia nelle mani (incoscienti) della natura.
Dice Steiner: “Occorre che noi ci compenetriamo di queste parole – agire sensatamente – se vogliamo diventare educatori di bambini. E quando l’uomo agisce invece irragionevolmente? Quando non fa nient’altro che quello che il suo corpo richiede. Agisce sensatamente quando compie azioni quali le richiede il mondo circostante, e non soltanto il suo corpo” (p. 189).
Pensate, ad esempio, a tutti quelli che oggi praticano il cosiddetto “footing” o che vanno in palestra. Non mettono forse (insensatamente) lo spirito al servizio del corpo?
Sia chiaro, non si tratta qui di “mortificare la carne”, bensì di educarla; e la si educa in modo sano solo se la si educa indirettamente. Se vogliamo curare davvero noi stessi, se vogliamo davvero il nostro bene, dobbiamo perciò curare il mondo e volere il suo bene (compiendo “azioni quali le richiede il mondo circostante”). Quanti ricercano invece direttamente il proprio bene (quello del corpo), finiscono prima o poi col farsi del male. O non è vero, forse, che passiamo gran parte della seconda metà della nostra vita tentando di rimediare alle molte sciocchezze che abbiamo fatto durante la prima?
Pensate che l’autopsia di molti giovani soldati americani caduti durante la guerra nel Vietnam ha rivelato numerosi casi di arteriosclerosi: cioè a dire, di una patologia che consiste nel progressivo indurimento delle arterie, e che accompagna di solito la vecchiaia.
Dice Steiner: “Più noi faremo fare della pura ginnastica, e più porteremo il bambino a provare un eccessivo bisogno di sonno e a sviluppare una tendenza all’ingrassamento (…) Che della ginnastica si sia fatta a poco a poco un’attività priva di significato, che si occupa unicamente del corpo, è stato un fenomeno che ha accompagnato l’epoca del materialismo. La nostra pretesa di far dello sport, dove non solo si eseguono dei movimenti privi di senso, ma dove si sviluppa il senso della rivalità, dell’opposizione, corrisponde allo sforzo di abbassare l’uomo non solo a non avere che pensieri materiali, ma anche a non possedere che una sensibilità animale. Un’attività sportiva esagerata si può chiamare darwinismo pratico. Il credere che l’uomo discenda dagli animali significa fare del darwinismo teorico. Fare dello sport, invece, è darwinismo pratico, significa fondare una morale che riconduce l’uomo al rango degli animali” (p. 190).
Allorché Giuseppe Prezzolini (1882-1982) compì cento anni, fu intervistato. E sapete cosa rispose quando gli venne chiesto quale fosse il segreto della sua longevità? “In vita mia, non ho mai fatto ginnastica”.
Certo, non è che una battuta, ma una battuta che contiene qualcosa di vero. Come detto, non si tratta di decidere se il corpo debba muoversi o meno, ma se debba muoversi in una maniera o nell’altra, sensatamente o insensatamente (oppure – direbbe Freud – in modo “narcisistico” od “oggettuale”).
Che senso ha, ad esempio, che una persona sana si affatichi a “sviluppare i muscoli” o a praticare il cosiddetto “body building”? Spera forse (darwinisticamente) di poter prevalere nella “lotta per l’esistenza” e di garantirsi così la “selezione naturale”? Ma questa è solo un’illusione.
Come testimonia Viktor Frankl (nel suo Uno psicologo nei lager), a meglio resistere alle terribili condizioni di vita nei lager, non sono stati infatti gli individui più forti fisicamente (che hanno ceduto, anzi, assai presto), quanto piuttosto gli individui più forti spiritualmente: vale a dire, coloro che sono riusciti a dare in qualche modo un senso o un significato alla loro atroce esperienza.
Si è fatto tardi. Continueremo la prossima settimana.
Roma, 22 giugno 2000