Massime antroposofiche
8/9/10

M

8) “Si può considerare l’entità dell’uomo in quanto risulta dal suo corpo fisico e dal suo corpo eterico. Si troverà che tutti i fenomeni nell’uomo che provengono da questa parte non conducono alla coscienza, ma permangono nell’incoscienza. La coscienza non si illumina, ma si ottenebra, allorché si accresce l’attività del corpo fisico e di quello eterico. Stati di deliquio si possono riconoscere come risultato di un tale accrescimento. Perseguendo questa orientazione del giudizio, si arriva a riconoscere che nell’organizzazione dell’uomo – e anche dell’animale – entra qualcosa che non è della stessa qualità del fisico e dell’eterico, e che non è attivo quando il fisico-eterico agisce con le proprie forze, bensì quando queste cessano di agire alla loro maniera. Si viene così al concetto del corpo astrale”.

Se l’uomo disponesse soltanto di un corpo fisico e di un corpo eterico, godrebbe della coscienza di sonno (senza sogni), ma non della coscienza di sogno, né tantomeno di quella di veglia.
“La coscienza – dice infatti Steiner – non si illumina, ma si ottenebra, allorché si accresce l’attività del corpo fisico e di quello eterico”.
Tutte le volte in cui il corpo fisico e il corpo eterico prendono il sopravvento sul corpo astrale e sull’Io perdiamo dunque la nostra coscienza ordinaria. Il che avviene di norma quando ci addormentiamo, ma anche quando ci succede di svenire o di perdere i sensi.
In ogni caso, tra la coscienza di sonno (senza sogni) delle piante e la coscienza di veglia umana, si dà quella di sogno degli animali, poiché al corpo fisico e a quello eterico viene ad aggiungersi il corpo astrale: ossia un quid “che non è della stessa qualità del fisico e dell’eterico”.
Siamo dunque al cospetto di un nuovo “salto di qualità” e di una seconda polarità o contrapposizione.
Come si dà infatti una contrapposizione tra la realtà morta del corpo fisico (minerale) e quella vivente del corpo eterico (vegetale), così se ne dà un’altra tra la realtà vivente del corpo eterico e quella senziente del corpo astrale: realtà che, nell’animale, non supera il grado di sogno, e che, nell’uomo, raggiunge invece (grazie all’Io) il grado ordinario di veglia.
Con l’avvento del corpo astrale, all’immobilità e all’esteriorità (all’estroversione) della vita vegetale (a tal punto pura o scevra di brame da essere la sola a emanare profumi) si contrappongono inoltre la mobilità e l’interiorità (l’introversione) della vita animale (la foglia della pianta, ad esempio, è circondata dall’aria esteriore, mentre l’alveolo polmonare dell’animale circonda l’aria interiore o, per meglio dire, interiorizzata).
Fate in ogni modo attenzione alle parole con le quali si conclude questa massima: “Si viene così al concetto del corpo astrale”, e a quelle con le quali comincia la successiva: “La realtà di questo corpo astrale…”.
Queste espressioni ci riportano, ancora una volta, a La filosofia della libertà. Ricordate? La sua prima parte è dedicata al “concetto” della libertà, mentre la seconda è dedicata alla “realtà” della libertà.
Si tratta di una distinzione di somma importanza, giacché il concetto deve essere pensato e compreso, grazie soprattutto allo studio, mentre la realtà deve essere percepita e sperimentata, grazie soprattutto alla pratica interiore (ricordiamoci che praticando la scienza della natura, si pensa ciò che si è prima percepito, mentre praticando la scienza dello spirito, si percepisce ciò che si è prima pensato).
Ascoltate ciò che dice appunto Steiner, ne L’iniziazione: “Per investigare i fatti, occorre avere la capacità di penetrare nei mondi soprasensibili. Ma se dopo essere stati investigati, quei fatti vengono comunicati, ognuno può procurarsi una soddisfacente convinzione della loro verità, anche senza percepirli egli stesso. Gran parte di essi possono essere senz’altro accertati, purché si giudichino veramente con imparzialità e con sano criterio” (1).
Non solo, ma ascoltate anche quanto dice qui: “La nostra scienza dello spirito evita il falso occultismo perché essa usa una quantità sempre maggiore dell’intelletto di cui gli uomini dispongono, per fondare una scienza per cui è necessaria una quantità d’intelletto più grande di quanto non fosse finora necessario. La nostra scienza dev’essere tale da richiedere più intelletto di quanto si era soliti impiegare finora. Quando si dice che è impossibile comprendere la scienza dello spirito, non è perché si dispone di un intelletto insufficiente, ma perché non si vuole impiegarne abbastanza. Volentieri ci si illude al riguardo. Impiegando tutto l’intelletto di cui si può già disporre oggi, si comprenderebbe senz’altro la scienza dello spirito” (2).
Una cosa, dunque, è il “concetto di una realtà” (di quella, nella fattispecie, del corpo astrale), altra la “realtà di un concetto”, che è un essere o un’entità spirituale.
Che ne consegue? Che è illusorio credere di poter percepire e sperimentare una realtà (quale essere o forza) se non se ne è previamente pensato e compreso il concetto (quale forma).
Sentite, a questo preciso proposito, quanto dice ancora Steiner: “A un certo punto, nell’evoluzione dell’umanità fu necessario arrivare al pensiero puro (…) Normalmente, e nei tempi più antichi sempre, il pensiero umano, come l’ho descritto ieri, è ricco d’immagini. Pensatori come Fichte, Schelling e Hegel ebbero solo pensieri puri, privi di immagini (…) Occorre un grande sforzo interiore per sollevarsi ad esempio a un’astrazione simile nell’accezione di Fichte, per far proprie con energia simili astrazioni di cui la persona gretta, dotata di senso della realtà, dice che non approdano a nulla dato che sono prive del tutto di esperienza. Ed è proprio così. Eppure a un certo punto bisognava arrivare a quelle astrazioni. Il primo passo andava fatto nella loro direzione. Appena però l’intima forza propulsiva della vita dell’anima procede ancora un po’ oltre tali astrazioni, si entra nella vita spirituale. L’unico percorso sano della mistica moderna passa attraverso il pensiero energico. Allo scopo bisogna prima conquistarlo. Il passo successivo sarà di andare oltre il pensiero energico per giungere alla vera esperienza dello spirito” (3).
E sentite pure ciò che dice Giovanni Colazza: “Dobbiamo lavorare da due lati: dall’esterno verso l’interno e dall’interno verso l’esterno; quel che abbiamo conosciuto intellettualmente deve incontrarsi con ciò che affiora nella nostra coscienza attraverso la meditazione. Non dobbiamo sforzarci di spiegarci quel che sorge in noi durante la meditazione, ma ottenere che i nostri pensieri divengano chiari da se stessi, si manifestino a noi, e questo avviene quando abbiamo preparato intellettualmente una forma in cui essi possano entrare. Così lo studio della Scienza dello Spirito si incontra con le forze interne che abbiamo sviluppato durante la meditazione e diventa realtà vivente (corsivi nostri)” (4).
E’ dunque rischioso darsi alla pratica interiore per risvegliare delle forze, se non ci si è prima chiariti le idee, se non si sono cioè prima predisposte le forme atte ad accoglierle (“Il pericolo più grave per l’uomo – dice Schelling – è l’esser dominato dai concetti oscuri” (5) e Steiner ribadisce: “Per chi, senza rivolgere lo sguardo dell’anima a determinati fatti del mondo soprasensibile [a quelli comunicati dal ricercatore spirituale], si mette solamente a fare “esercizi” per penetrarvi, quel mondo rimane un caos indeterminato e confuso) (6).
Fatto si è (ma non tutti purtroppo lo comprendono) che il vero studio (quale primo passo sul moderno cammino dell’iniziazione) è già una “pratica interiore”, ma una pratica che non esorbita dall’esperienza del mondo dello spirito quale mondo del pensiero.
Ricordate queste parole de La scienza occulta (7), relative a Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione goethiana del mondo (8) e a La filosofia della libertà (9)? In questi libri, scrive Steiner, “non vi è niente delle comunicazioni della scienza dello spirito; nondimeno in essi viene mostrato che il pensiero puro, concentrato in se stesso, può arrivare a spiegazioni del mondo, della vita e dell’uomo (…) Chi fa agire questi libri su tutta la sua anima è già nel mondo spirituale; soltanto che questo gli si palesa come mondo del pensiero”.
E’ comunque la pigrizia – sottolinea sempre Steiner – a impedirci (e non di rado, paradossalmente, proprio in nome della “prassi”) d’impiegare “tutto l’intelletto” di cui disponiamo, portandoci così a trascurare di dare al nostro impegno conoscitivo un saldo fondamento concettuale: di “costruire” cioè “sulla roccia”.
Lasciate, a questo proposito, che torni a leggervi un passo che ben conoscete: “Non saranno certo coloro che vogliono solo sentir narrare i fatti delle sfere superiori a far apprezzare nel mondo il nostro movimento scientifico-spirituale nelle sue parti più profonde, ma saranno coloro che hanno la pazienza di penetrare in una tecnica di pensiero, quasi uno scheletro per il lavoro nel mondo superiore (…) Naturalmente è assai più comodo pretendere di capire con un paio di concetti belli e fatti tutto quel che ci appare come realtà superiore, anziché creare un solido fondamento nella tecnica concettuale” (10).
Se si vuole davvero sviluppare un sano “discernimento degli spiriti” (ch’è in prima istanza – non dimentichiamolo – un “discernimento dei concetti”), bando dunque alla pigrizia, alla superficialità e (per quanto riguarda alcuni sedicenti “esoteristi”) alla supponenza.
Ascoltate, ciò che dice il Cristo: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7, 13-14).

9) “La realtà di questo corpo astrale si trova allorché, mediante la meditazione, si progredisce dal pensare che i sensi stimolano da fuori ad un’osservazione interiore. Per questo occorre afferrare interiormente il pensare stimolato da fuori, e viverlo nell’anima intensamente come tale, senza la sua relazione col mondo esterno; e poi, mediante la forza animica acquisita in questo afferrare e vivere il pensiero, accorgersi che vi sono organi interiori di percezione che vedono uno spirituale là dove nell’animale e nell’uomo il corpo fisico e l’eterico vengono contenuti nei loro limiti perché sorga la coscienza”.

Per trovare la “realtà” del corpo astrale occorre dunque la pratica interiore. Ma di quale pratica si tratta? Di quella indicata, da Steiner, in specie ne L’iniziazione e ne La scienza occulta.
Teniamo presente, tuttavia (non mi stancherò mai di ripeterlo), che la pratica è importante, ma che più importante ancora è lo spirito (l’intenzione profonda) che la anima. “Di regola – avverte infatti Steiner – l’abbandonarsi solo alla meditazione, alla concentrazione e via dicendo, senza cercare la disposizione animica più volte caratterizzata, non porta a nulla di buono” (11).
Dal momento che viene citata la “meditazione”, sarà bene comunque distinguere due diversi livelli o momenti della pratica interiore: 1) quello della concentrazione, atto ad afferrare interiormente “il pensare stimolato da fuori”, vivendolo “nell’anima intensamente come tale, senza la sua relazione col mondo esterno”; 2) quello della meditazione, atto ad “accorgersi”, grazie alla “forza animica acquisita” nell’”afferrare e vivere il pensiero” (mediante appunto la concentrazione), “che vi sono organi interiori di percezione che vedono uno spirituale là dove nell’animale e nell’uomo il corpo fisico e l’eterico vengono contenuti nei loro limiti perché sorga la coscienza”.
Per progredire “dal pensare che i sensi stimolano da fuori ad un’osservazione interiore” (all’osservazione di una realtà interiore) dobbiamo insomma passare, per mezzo della concentrazione, dal piano fisico a quello eterico, e poi, per mezzo della meditazione (ch’è anche, ma non solo, concentrazione), dal piano eterico a quello astrale.
Vorrei aggiungere che Steiner, ne L’iniziazione, suggerisce due esercizi che ben si prestano (quale “preparazione”) ad effettuare questi passaggi: il primo consiste nel “dirigere l’attenzione dell’anima su determinati processi del mondo che ci circonda” (su quelli, ad esempio, del crescere e dell’appassire, del fiorire e dello sfiorire); il secondo, invece, nel dedicare “una speciale cura al mondo dei suoni” (12).
Abbiamo parlato spesso della concentrazione, così come viene descritta da Steiner e da Scaligero (13); non vi dispiacerà, perciò, se mi limiterò adesso a parlare del passaggio dalla sfera eterica a quella astrale.
Si tratta di un passaggio difficile, poiché comporta l’attraversamento della “soglia” che divide la realtà fisica (collegata alla coscienza rappresentativa) e quella eterica (collegata alla coscienza immaginativa) dalla realtà animica (collegata alla coscienza ispirata) e da quella spirituale (collegata alla coscienza intuitiva).
Possiamo comunque dire, in breve, che, attraversando questa soglia e raggiungendo la realtà del corpo astrale, ci si eleva dall’esperienza del pensare (vivente) a quella del concetto, dall’esperienza della forza a quella della qualità, dall’esperienza della vita della luce a quella della luce della vita o dall’esperienza dell’incoscienza a quella della coscienza (ma non ancora, come vedremo, dell’autocoscienza).
Che cosa significa fare esperienza della coscienza? Significa osservarla, e quindi “accorgersi” (contemplandola, per così dire, dall’interno o dall’alto dell’Io) che passa inosservata, sia quando illumina (in forma rappresentativa) la sostanza morta del pensato, sia quando illumina (in forma immaginativa) la forza viva del pensare.
E come si fa ad osservarla? Sviluppando, come spiega Steiner, la coscienza ispirata (14), quale “sentire pensante” (cosciente e conoscente).
Per quanto mi riguarda, posso suggerirvi solo questo: chiudete gli occhi; che cosa vedete? Nulla, ovviamente. Fatto sta, però, che questo “nulla” lo vedete, e che proprio questo “nulla” che vedete (questa coscienza “vuota”) può permettervi di sperimentare la realtà dell’atto del vedere (di “vedere” il vedere): ossia, la realtà della luce che investe la tenebra (“E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno riconosciuta”).
Tra l’esperienza immaginativa (nella quale, ricordiamolo, “l’elemento artistico” viene assunto come “principio conoscitivo”) (15) e quella ispirata c’è comunque un’altra importante differenza. Ascoltate come la descrive Steiner: “Continuando dunque i suoi esercizi, l’uomo perviene a un più elevato grado di chiaroveggenza, nel quale egli non dispone soltanto di due tipi alternativi di coscienza: quello normale, ordinario e quello chiaroveggente, e della possibilità di ricordarsi nello stato normale delle esperienze chiaroveggenti [come può ricordarsi, ad esempio, di un sogno]. Quando abbia raggiunto quel grado superiore di chiaroveggenza, l’uomo può percepire mondi spirituali, esseri spirituali e fatti spirituali anche mentre si trova nel suo stato di coscienza ordinario e dunque mentre percepisce il mondo esterno mediante i suoi sensi. In tale condizione egli può, per così dire, introdurre la chiaroveggenza nel suo stato di coscienza abituale e scorgere dietro agli esseri che lo circondano nel mondo esterno, come nascoste dietro a un velo, le entità e le forze spirituali più profonde” (16).
Dunque, riassumiamo: se il corpo fisico non venisse contenuto nei suoi limiti (mortali), saremmo dei minerali; se il corpo fisico e il corpo eterico non venissero contenuti nei loro limiti (vitali), saremmo delle piante; siamo invece uomini, perché il corpo fisico e il corpo eterico vengono contenuti nei loro limiti dal corpo astrale, e perché il corpo astrale viene a sua volta contenuto nei suoi limiti (senzienti) dall’Io.

10) “La coscienza non sorge da un proseguimento di quell’attività che viene come risultato dal corpo fisico e da quello eterico, ma entrambi questi corpi devono ridurre a zero la loro attività, anzi scendere al di sotto dello zero, perché “si faccia posto” all’affermarsi della coscienza. Essi non producono la coscienza, ma offrono soltanto il campo su cui deve stare lo spirito per far nascere la coscienza nell’ambito della vita sulla terra. Come l’uomo sulla terra ha bisogno di un suolo su cui possa stare, così lo spirituale ha bisogno nell’ambito terrestre di una base materiale su cui possa esplicarsi. E come nello spazio cosmico un pianeta non ha bisogno del suolo per reggersi al suo posto, così lo spirito, la cui osservazione non è diretta mediante i sensi al materiale, bensì mediante la sua propria forza allo spirituale, non ha bisogno di questa base materiale per risvegliare in sé la sua attività cosciente”.

L’attività che “risulta” dal corpo fisico (anatomico) e da quello eterico (fisiologico) è quella della vita (del bios). Perché “si faccia posto” all’affermarsi della coscienza, la vita deve però ridursi a zero, “anzi scendere al di sotto dello zero”.
Possediamo infatti organi pieni di vita, come ad esempio il fegato, le cui cellule sono in grado di rigenerarsi, e ch’è dunque, diciamo, tutta vita e poca o nulla coscienza, e organi nei quali c’è soltanto quel poco di vita che serve a non farli degenerare, come ad esempio il cervello, le cui cellule non sono in grado di rigenerarsi, e ch’è dunque, diciamo, tutta coscienza e poca o nulla vita; questo perché il cervello deve limitarsi appunto a offrire “il campo – come dice Steiner – su cui deve stare lo spirito per far nascere la coscienza nell’ambito della vita sulla terra”.
A tal fine, occorre una materia o una sostanza che si limiti a mediare o riflettere l’attività dello spirito, e dalla quale deve essere pertanto eliminata ogni altra attività: in primo luogo, quella vitale (mors tua, vita mea). Non ci si rispecchia forse meglio in un’acqua ferma, che in un’acqua mossa o agitata?
Pensate all’isteria e alla nevrastenia. L’isteria presenta un eccesso di forza vitale (sanguigna e anabolica) e un difetto di coscienza, mentre la nevrastenia presenta un eccesso di coscienza (nervosa e catabolica) e un difetto di forza vitale (pure eloquente, al riguardo, è il contrasto tra l’ipotiroidismo e l’ipertiroidismo).
Ebbene, che cosa ci ricorda questo? Nientemeno che la “cacciata dall’Eden” di cui parla la Bibbia.
Ve la leggo: “Il Signore Dio disse allora: “Ecco che l’uomo è diventato come uno di noi, conoscendo il bene e il male! E ora facciamo sì ch’egli non stenda la sua mano e non prenda anche l’albero della vita, così che ne mangi e viva in eterno!”. E il Signore Dio lo mandò via dal giardino di Eden, per lavorare il suolo donde era stato tratto. Scacciò l’uomo, e dinanzi al giardino di Eden pose i cherubini e la fiamma della spada folgorante per custodire l’accesso all’albero della vita” (Gn 3, 22-24).
Come, nella storia dell’uomo, vi è stato dunque un momento in cui l’albero della conoscenza si è diviso dall’albero della vita, così ve ne sarà un altro in cui questi torneranno (in grazia dell’incarnazione del Logos) a unirsi, giacché l’albero della conoscenza avrà ritrovato quello della vita.
Ciò dipenderà però da noi (“aiutati, che Dio ti aiuta”): dallo sviluppo, cioè, della nostra coscienza. Non riusciremo mai a ritrovare la vita, se ci ostineremo infatti a ignorare che la coscienza di cui abitualmente godiamo (quella intellettuale o mentale, vincolata ai sensi e al cervello) ne è la negazione.
Fatto si è che, in ciascuno di noi, la natura è viva, ma lo spirito è morto. Solo cominciando a capire il come e il perché è morto (e muore), ci sarà possibile quindi sperare di restituirlo (al pari di Lazzaro) alla sua vita (alla vita del Logos).
Tornando a noi, è dunque il nervo morto a darci una coscienza morta (riflessa) dello spirito (al pari della Luna, che ci dà, per così dire, una “coscienza riflessa” del Sole).
Vedete, i fatti osservati e rilevati (strumentalmente) dai neurofisiologi sono reali; non sempre lo sono, invece, le relazioni che suppongono esserci tra i fatti, dal momento che queste vengono “pensate”, e non (sensibilmente) “osservate”.
Non dovrebbe essere difficile realizzare, ad esempio, che, come non sono gli occhi a vedere o le orecchie a udire, ma siamo noi a vedere per mezzo degli occhi o a udire per mezzo delle orecchie, così non è il cervello a pensare, ma siamo noi a pensare per mezzo del cervello o, per essere più precisi, a prendere coscienza del pensiero (che sgorga dal cuore) mediante il cervello (spiega Steiner: “Quando oggi l’uomo ci sta davanti in stato di veglia, l’occhio chiaroveggente osserva in lui delle correnti di luce che vanno continuamente dal cuore alla testa (…) Queste correnti sono dovute al fatto che il sangue umano, che è una sostanza fisica, materiale, si dissolve continuamente in sostanza eterica: nella regione del cuore avviene un continuo trapasso del sangue in una fine sostanza eterica che fluisce verso il capo e avvolge di raggi luminosi la ghiandola pineale [l’epifisi]”) (17).
E che cosa c’impedisce allora di realizzarlo? Nient’altro che la paura: quella paura che nasce dalla “cattiva coscienza” e sulla quale si sostiene – come ha detto tante volte Steiner – il materialismo. Non dice infatti il Vangelo: “Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio”?
Per poter vedere Dio (la Realtà) dobbiamo dunque purificarci, cominciando anzitutto (come quasi mai si considera) col purificare (santificare) il nostro pensiero e la nostra coscienza.
Diceva giusto Wagner: “Più che i puri, mi interessano i purificati”.
Per cominciare, sarà bene pertanto imparare a considerare le sostanze materiali quali veicoli delle forze plasmatrici eteriche (agenti, sul piano inorganico, dall’esterno e, su quello organico, dall’interno).
Per poter agire sulla Terra, tanto le forze eteriche (“elementari”), quanto, a un superiore livello, le qualità animiche e le essenze spirituali (i logoi), devono infatti far presa sulle sostanze (ossia, sulla loro parte morta o sui loro “precipitati” o “condensati”).
Pensate, ad esempio, all’innaffiatura delle piante. Credete forse che sia la sostanza dell’acqua a farle crescere, o a far sì che un garofano diventi un garofano o una rosa una rosa? No. Sono le forze eteriche, e per loro tramite le qualità astrali, che, per poter agire sulla Terra, si servono dell’acqua e dell’aria quale loro veicolo.
Goethe, affermando che “tutto l’effimero non è che un simbolo”, intendeva giusto affermare che le sostanze (l’”effimero”) non sono che il veicolo delle forze e delle qualità dello spirito.
Dice infatti Steiner: “Come l’uomo sulla terra ha bisogno di un suolo su cui possa stare, così lo spirituale ha bisogno nell’ambito terrestre di una base materiale su cui possa esplicarsi”: mediante la quale, cioè, possa mediarsi e veicolarsi; “e come nello spazio cosmico – prosegue – un pianeta non ha bisogno del suolo per reggersi al suo posto, così lo spirito, la cui osservazione non è diretta mediante i sensi al materiale, bensì mediante la sua propria forza allo spirituale, non ha bisogno di questa base materiale per risvegliare in sé la sua attività cosciente”.
Finché svolgiamo la nostra attività cosciente sulla Terra, dobbiamo dunque servirci del corpo fisico e degli organi di senso, che rappresentano la nostra “base materiale”.
Allorché lo spirito si volge però a se stesso, non necessita più di tale base, poiché è in grado di reggersi su di sé.

Note:

1) R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 11;
2) R.Steiner: Il movimento occulto nel secolo diciannovesimo e il mondo della cultura – Antroposofica, Milano 1993, p. 181;
3) R.Steiner: La questione sociale: un problema di consapevolezza – Antroposofica, Milano 1992, pp. 90-91;
4) G.Colazza: Dell’iniziazione – Tilopa, Roma 1992, p. 25;
5) F.W.J.Schelling: Quattordici lezioni su l’insegnamento accademico – Sandron, Milano-Palermo-Napoli s.d. [1911?], p. 41;
6) R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969, p. 42;
7) ibid., p. 279;
8) cfr. R.Steiner: Linee fondamentali di una teoria della conoscenza della concezione goethiana del mondo in Saggi filosofici – Antroposofica, Milano 1974:
9) cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
10) R.Steiner: Filosofia e antroposofia – Antroposofica, Milano 1980, p. 26;
11) R.Steiner: Antroposofia – Psicosofia – Pneumatosofia – Antroposofica, Milano 1991, p. 223;
12) R.Steiner: L’iniziazione, pp. 37 e 41;
13) cfr. M.Scaligero: Manuale pratico della meditazione – Tilopa, Roma 1984 e Tecniche della concentrazione interiore – Mediterranee, Roma 1985;
14) cfr. R.Steiner: I gradi della conoscenza superiore in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977;
15) R.Steiner: L’uomo, sintesi armonica delle attività creatrici universali – Antroposofica, Milano 1968, p. 27;
16) R.Steiner: Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – Antroposofica, Milano 1985, p. 50;
17) R.Steiner: Il Cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità – Antroposofica, Milano 2010, pp. 57-58.

Scarica PDF

Di Lucio Russo
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente