Massime antroposofiche
20/21/22

M

20) “Rientra nel giusto sviluppo della vita dell’anima nell’uomo, che egli divenga del tutto consapevole entro il suo essere dell’attività che parte dallo spirito. Molti seguaci della moderna concezione scientifica del mondo sono in questo senso così fortemente irretiti in un pregiudizio, che dicono essere la causalità generale quella che domina in tutti i fenomeni del mondo. Se l’uomo crede di poter essere di suo la causa di qualcosa, non può che farsi un’illusione. La scienza moderna vuol seguire fedelmente in tutto l’osservazione e l’esperienza. Col pregiudizio della causalità nascosta degli impulsi che sono propri all’uomo, essa pecca contro questo suo principio. Ché l’agire liberamente dall’interiorità dell’essere umano è un ovvio risultato dell’osservazione dell’uomo su se stesso. Non è lecito negarlo, ma bisogna conformarlo con la cognizione della causalità generale entro l’ordine naturale”.

Abbiamo visto che il “mondo intermedio” dell’anima dovrebbe fare da trait d’union tra il “mondo inferiore” del corpo e il “mondo superiore” dello spirito.
Per poter svolgere la sua attività mediatrice (“Santa Maria mediatrice”), l’anima dovrebbe però risiedere al centro (nella regione del cuore), e non essere dis-locata, come invece avviene, in basso, dalle forze arimaniche, e, in alto, da quelle luciferiche.
Dis-locata, l’anima si riduce a “psiche” (neurofisiologica): nel primo caso, a una psiche egoistica e utilitaristica; nel secondo a una psiche egocentrica e narcisistica.
Ascoltate, a questo proposito, quanto dice qui Steiner: “Nei corpi eterico e fisico-sensibile operano forze che provengono dalle entità luciferiche e arimaniche. Poiché tali entità sono di origine spirituale, è naturale che nella sfera stessa del corpo fisico e di quello eterico si trovi una specie di entità astrale dell’uomo [una specie di “doppio” astrale]. A una veggenza spirituale che si limiti ad accogliere solo le immagini della coscienza soprasensibile, senza essere capace di comprenderne bene il significato, può facilmente accadere che l’involucro astrale del corpo fisico e di quello eterico vengano scambiati per il vero corpo astrale. Senonché proprio questo “corpo astrale” è l’elemento della natura umana che nella sua attività contrasta l’ordinamento veramente assegnato all’uomo nella struttura dell’universo” (1).
L’anima ci è dunque ignota. Non a caso, Scaligero ha intitolato uno dei suoi libri: Iside Sophia, la Dea ignota (2); “ignota”, appunto, tanto alle anime mortificate dall’oggettivismo materialistico, quanto a quelle esaltate dal soggettivismo psicologistico.
Dice Steiner: “Rientra nel giusto sviluppo della vita dell’anima nell’uomo, che egli divenga del tutto consapevole entro il suo essere dell’attività che parte dallo spirito”.
C’è però uno spirito che, rispettando la nostra libertà, dice: “Chiedete, e vi sarà dato” o “Bussate, e vi sarà aperto” (Paolo: “Il Signore è spirito e dov’è lo spirito del Signore ivi è libertà” – 2Cor 3,17), e ce ne sono altri che, non avendo alcun rispetto della nostra libertà, non aspettano affatto che si chieda o si bussi.
Solo un “giusto sviluppo della vita dell’anima” e una piena coscienza “dell’attività che parte dallo spirito” possono dunque permetterci di “discernere gli spiriti”: di distinguere, ossia, l’Io (inabitato dal Logos), che ci umana, mutando la psiche in anima (mutando l’Eva in Ave), sia dallo spirito luciferico, che ci dis-umana, mutando l’anima in una psiche che ci sottrae al mondo (fisico) e c’imprigiona in noi stessi, sia dallo spirito arimanico, che ci dis-umana, mutando l’anima in una psiche che ci sottrae a noi stessi e c’imprigiona nel mondo (fisico).
“Molti seguaci della moderna concezione scientifica del mondo – prosegue Steiner – sono in questo senso così fortemente irretiti in un pregiudizio, che dicono di essere la causalità generale quella che domina in tutti i fenomeni del mondo. Se l’uomo crede di poter essere di suo la causa di qualcosa, non può che farsi un’illusione” (questa la loro tesi).
Come alcuni, dunque, sono “fortemente irretiti” dal pregiudizio luciferico del libero arbitrio (dell’arbitrio, appunto, non della libertà), così altri sono “fortemente irretiti” dal pregiudizio arimanico del determinismo (della “causalità generale”).
Dal momento che abbiamo trattato a lungo di questo quando ci siamo occupati de La filosofia della libertà, mi limiterò qui a fare qualche breve e semplice considerazione.
Vedete, se apriamo il rubinetto, l’acqua scorre; se non l’apriamo, l’acqua non scorre. Possiamo quindi aprirlo o non aprirlo, ma non possiamo far sì che non scorra se l’apriamo, o che scorra se non l’apriamo.
Il rapporto tra l’apertura del rubinetto e lo scorrere dell’acqua è dunque necessario, mentre quello tra noi e l’apertura o la chiusura del rubinetto può essere, tanto necessario, quanto libero: sarà infatti necessario se la decisione di aprire o non aprire il rubinetto ci è stata imposta; sarà viceversa libero, se è stata posta da noi (in qualità di Io).
Tutto sta dunque nel capire – per usare le parole stesse di Steiner – come sorge in noi la decisione (3).
Pensate che proprio in questi giorni ho letto una conferenza nella quale Steiner parla di “effetti senza causa”, spiegando che un “effetto senza causa” è una creazione della libertà o un “miracolo”.
Ascoltate: “Come esiste la necessità negli eventi del mondo esteriore, naturale, così esistono i miracoli nell’ambito spirituale (…) Ogni comparsa nel mondo fisico di un essere umano è un miracolo (…) Bandire il miracolo dal mondo spirituale significa semplicemente fare tutto il possibile per non comprendere affatto il mondo spirituale. Di ciò che si rivela dal mondo spirituale noi percepiamo solo gli effetti; se cerchiamo la causa, non riusciamo a trovarla (…) In un certo momento del percorso spirituale l’umanità del presente dovrebbe essere spronata a prestare fede alla libertà, la quale è identica al miracolo” (4).
Morale della favola: lo spirito (l’Io) è la libertà, mentre il corpo astrale è il corpo causale; il primo sceglie e pone perciò le cause (che risiedono nel secondo), e dalle cause così poste discendono i relativi e necessari effetti (dice Steiner: “Schelling non voleva negare l’agire della necessità in natura, ma indicare come anche questa necessità sia un’azione della spiritualità che muove il mondo in libertà”) (5).
“La scienza moderna – continua Steiner – vuol seguire fedelmente in tutto l’osservazione e l’esperienza. Col pregiudizio della causalità nascosta degli impulsi che sono propri all’uomo, essa pecca contro questo suo principio. Ché l’agire liberamente dall’interiorità dell’essere umano è un ovvio risultato dell’osservazione dell’uomo su se stesso”.
Per quale ragione la scienza moderna “pecca”, sostenendo la “causalità generale”, contro il principio dell’osservazione e dell’esperienza? Per la semplice ragione che non osserva, né tantomeno esperisce, come, nell’uomo, la necessità (del corpo fisico, del corpo eterico e del corpo astrale o, in breve, della sua natura) sia cosa diversa dalla libertà (dall’Io).
Come s’illudono, perciò, quanti non credono alla libertà, cosi s’illudono quanti credono alla libertà della nostra natura (del corpo o della psiche).
Parafrasando il titolo di un noto romanzo di Milan Kundera (ma l’espressione è di Rimbaud) (6), potremmo quindi dire: la libertà è altrove. E non ci sono oggi altri mezzi, se non quelli offertici da La filosofia della libertà (la cui prima parte è dedicata appunto a “La scienza della libertà” ), per scoprire in quale luogo o a quale livello si trovi.
Avete presente l’immagine di San Giorgio e il drago? Ebbene, potrebbe mai San Giorgio liberare la fanciulla dal drago se ne fosse anche lui prigioniero?
Questo ci dice che mai potremmo liberare la nostra anima (restituendola all’Io e, attraverso l’Io, al Logos), se non ci fosse, in ciascuno di noi, un essere libero (un San Giorgio) cui poter affidare l’impresa di nobilitarla e redimerla.
Abbiamo visto, per finire, che la libertà, quando venga ritrovata laddove soltanto può essere ritrovata, ben si accorda o armonizza con la necessità.
Bisogna conformare la libertà – dice appunto Steiner – “con la cognizione della causalità generale entro l’ordine naturale”.

21) “Disconoscere l’impulso che parte dallo spirito nell’interiorità dell’essere umano è il maggiore ostacolo al raggiungimento di una penetrazione nel mondo spirituale, perché la classificazione del proprio essere nella connessione naturale significa distogliere lo sguardo dell’anima da tale essere. E non si penetra nel mondo spirituale, se prima non si afferra lo spirito dove è dato in modo del tutto immediato: nell’imparziale osservazione di se stessi”.

Perché “imparziale”? Perché se si trattasse della semplice osservazione di se stessi, andremmo tutti a nozze, giacché non facciamo altro, dalla mattina alla sera, che pensare a noi stessi.
Se psicologizzato, il celeberrimo “nosce te ipsum” (delfico) diventa una trappola, in quanto, anziché stimolare l’ego che “esiste” a occuparsi dell’Io che “è”, costringe l’Io che “è” a occuparsi dell’ego che “esiste”. Lo dimostra ampiamente la psicologia contemporanea. Ci sono tante scuole, ci sono tanti maestri, ma dell’uomo si continua a sapere ben poco.
E perché? Perché si lavora, a dispetto delle apparenze (come pure delle migliori intenzioni), in modo astratto e superficiale, senza mai travalicare i soliti (e spesso inavvertiti) limiti del materialismo e dello spiritualismo.
Viktor Frankl, ad esempio, ha tentato, fondando la “logoterapia”, di dischiudere all’anima le porte dello spirito. Ma che cosa ne è venuto fuori? Niente che dia modo, ad esempio, di comprendere più profondamente i sogni (quali “detti degli Dèi”), ma solo un paio di nuove tecniche psicoterapeutiche (l’”intenzione paradossa” e la “dereflessione”), indubbiamente apprezzabili, ma non tali da comportare un profondo rinnovamento della nostra abituale concezione antropologica.
Ho voluto prendere le mosse dalle ultime parole di questa massima per sottolineare la necessità (scientifico-spirituale) di osservare le cose, prescindendo in toto dalle opinioni, dalle simpatie, dalle antipatie, dai desideri o dalle brame personali (alla “dignità” dell’antroposofia – afferma Steiner – ci si può avvicinare soltanto “con lo spirito della serietà e della veracità”) (7).
Riprendiamola adesso dall’inizio. Dice Steiner: “Disconoscere l’impulso che parte dallo spirito nell’interiorità dell’essere umano è il maggiore ostacolo al raggiungimento di una penetrazione nel mondo spirituale”.
“Disconoscere l’impulso che parte dallo spirito nell’interiorità dell’essere umano” significa disconoscere, nell’anima, l’Io, e disconoscere l’Io è, in effetti, “il maggiore ostacolo al raggiungimento di una penetrazione nel mondo spirituale”: al raggiungimento, cioè, di una penetrazione, attraverso l’Io umano, nell’”Io sono” cosmico (nel Logos).
Disconosce l’Io nell’anima il materialismo, che nega ovviamente sia l’anima che lo spirito, ma lo disconosce anche lo spiritualismo, allorché parla, come fanno gli idealisti, di uno spirito solo immanente o, come fanno i religiosi, di uno spirito solo trascendente.
Tanto gli uni che gli altri non tengono conto del “Verbo” che, col farsi “carne” e col permettere l’avvento dello Spirito Santo, ha messo fine al contrasto tra la trascendenza (di Dio) e l’immanenza (dell’uomo dell’ego).
In grazia di questo “fatto mistico” (in tutto e per tutto equivalente, sul piano spirituale, a una mutazione genetica), la trascendenza (oggettiva) e l’immanenza (soggettiva) hanno cessato di guardarsi in cagnesco (come due “opposti”), per coniugarsi e dare così vita a una terza e nuova realtà: a una “Buona Novella” cui Vladimir Solov’ёv, ad esempio, ha dato il nome di Divinoumanità o di Teandria (8).
Prosegue Steiner: “La classificazione del proprio essere nella connessione naturale significa distogliere lo sguardo dell’anima da tale essere”.
Che cosa vuol dire? Vuol dire che classificare il proprio essere spirituale, inserendolo “nella connessione naturale”, ovverosia in quella degli esseri naturali (dei minerali, dei vegetali e degli animali), “significa distogliere lo sguardo dell’anima da tale essere”: significa cioè impedirle di afferrare ciò che fa di un essere umano un essere diverso dagli altri, e in specie da quello animale.
Che cosa ci viene infatti insegnato, un giorno sì e l’altro pure? Lo sapete tutti: che l’uomo è un animale intelligente (uno “psicozoo”); il che, paradossalmente, non è granché intelligente.
Ma non è questo che importa; importa piuttosto il fatto che, facendo proprio questo insegnamento della scienza materialistica, si sbarrano allo spirito le porte dell’anima, e che, una volta sbarrate queste porte, insieme alla libertà, dilegua la creatività.
Provate a leggere, ad esempio, L’epoca e i lupi di Nadežda Mandel’štam (9), moglie del grande poeta russo Osip Mandel’štam, oppure qualche biografia di Anna Achmatova o di Marina Cvetaeva, altre due grandi poetesse russe, e vedrete che ogni vero creatore (da non confondere – per carità – con l’odierno “creativo”) sente, più o meno oscuramente, di essere, non un medium, bensì un cosciente e libero strumento o testimone dello spirito.
Non crediate – mi raccomando – che ciò valga per la sola creatività artistica: anche Galilei, ad esempio (quel Galilei in cui risplendeva – come rivela Steiner – “il corpo eterico del Cristo”) (10), considerava frutto di una “ispirazione divina” il suo Dialogo sui massimi sistemi, tolemaico e copernicano.
Ascoltate, al riguardo, queste affermazioni di Nikolaj Berdjaev: “Dio attende dall’uomo un atto creatore come risposta dell’uomo all’atto creatore di Dio”; ”La creatività umana è la continuazione della creazione del mondo”; “La creatività è il contrario dell’egocentrismo, è l’oblio di sé, è l’aspirazione a qualcosa che è più alto di me”; “Quando parlo di creatività non intendo mai la creazione di prodotti culturali, ma quella specie di sconvolgimento e di slancio di tutto l’essere umano che lo porta verso una vita diversa e superiore, verso un nuovo essere”; “La nuova e conclusiva rivelazione sarà la rivelazione dell’attività creatrice dell’uomo. Sarà appunto questa la tanto attesa epoca dello Spirito” (11).
Che dire di più?

22) “L’osservazione di se stessi costituisce l’inizio dell’osservazione spirituale. E può costituirne il giusto inizio perché, nella vera riflessione, l’uomo non può fermarsi ad essa, ma deve procedere da essa ad un ulteriore contenuto spirituale del mondo. Come il corpo umano deperisce se non riceve nutrimento fisico, così l’uomo che nel giusto senso osservi se stesso sentirà deperire il suo sé, se non vede come nel sé agiscano le forze di un mondo spirituale che opera all’infuori di lui”.

L’abbiamo detto: “l’osservazione di se stessi” deve essere l’osservazione del nostro vero essere (fatto di corpo, anima e spirito), e non quella del solo essere psicofisico (scrive Paolo: “Coloro che vivono secondo la carne, nutrono pensieri per le cose della carne, mentre coloro che vivono secondo lo spirito, hanno il pensiero rivolto alle cose dello spirito” – Rm 8,5).
Dice Steiner: “Come il corpo umano deperisce se non riceve nutrimento fisico, così l’uomo che nel giusto senso osservi se stesso sentirà deperire il suo sé, se non vede come nel sé agiscano le forze di un mondo spirituale che opera all’infuori di lui”. Osserviamo la realtà odierna: non scorgiamo ovunque i segni di questo deperimento del sé e dell’anima? E molte delle cose che giustamente deprechiamo, quale ad esempio la violenza verso se stessi o verso gli altri, non denunciano appunto uno stato di disagio o di vuoto interiore, e quindi di profonda insoddisfazione o infelicità?
Ascoltate ciò che scrive Berdjaev: “Nel nostro secolo, che sta al culmine dell’epoca umanista, l’uomo europeo si trova in uno stato di terribile vacuità. Non sa più dove sia il centro della propria vita. Sotto ai piedi, non sente più alcuna profondità. Si dedica a una esistenza del tutto piatta: vive a due dimensioni, come se appartenesse, letteralmente, alla superficie terrestre, ignorando ciò che è sopra e ciò che è sotto di lui” (12).
C’è una meditazione, data da Steiner, che comincia così: “O spirito divino colmami / Colma la mia anima; / Alla mia anima infondi forza vigorosa, / E forza vigorosa anche al mio cuore /Al mio cuore che ti cerca, / Che ti cerca con profonda nostalgia…” (13).
Vedete, “Al mio cuore che ti cerca con profonda nostalgia”: è questo, lo si sappia o meno, ciò che fa il nostro cuore.
Ricordate quello che abbiamo detto quando ci siamo occupati de La scienza occulta? (14) Abbiamo detto che veniamo da lontano (ex Deo nascimur), e che la nostra attuale esperienza terrena non è che un capitolo di una storia al principio della quale eravamo tutt’uno col mondo divino-spirituale.
Come Agostino, pensando agli uomini che ricercano la felicità, si domandava: “Come l’hanno conosciuta per desiderarla tanto? Dove l’hanno vista per amarla tanto?” (15), così noi potremmo chiederci: “Di che cosa si può avere nostalgia se non di ciò che si è un tempo conosciuto?”.
La nostalgia che patiamo (per lo più inconsciamente) nel profondo del cuore sta dunque a dimostrare che ci manca ciò che un tempo abbiamo sperimentato (e che, dormendo, torniamo a sperimentare ogni notte, anche se non allo stesso modo e nella stessa misura).
Guardate, se non temessi di “pronunziare il nome di Dio invano”, direi che abbiamo sperimentato un tempo l’amore, e ch’è di questo che abbiamo profonda nostalgia: di un amore che è luce e calore dell’anima, ma che dovrebbe essere anche tessuto o sostanza della vita sociale.
Non è stato infatti l’amore a ispirare a Steiner l’idea della “triarticolazione dell’organismo sociale”: ossia quella di un ordinamento in cui l’amore si manifesta quale “fraternità”, nell’ambito dell’apparato economico, quale “uguaglianza”, nell’ambito dell’apparato politico o giuridico, e quale “libertà”, nell’ambito di quello spirituale o culturale?
Non si tratta dunque di predicare l’amore, ma di risvegliarlo e riportarlo alla coscienza, risollevandolo così da quell’abisso d’incoscienza in cui è precipitato. Ascoltate: “L’ideale antroposofico sarà conseguito grazie a questa osservazione oggettiva dei fatti, meglio che predicando in modo sentimentale l’amore e la pace” (16).
Per questo serve la scienza dello spirito, e per questo mi avete sentito spesso dire che Steiner è riuscito a fare quello che non sono riusciti a fare tanto Freud che Jung: a riportare cioè alla coscienza quanto vive e opera nelle sfere subcoscienti e incoscienti delle nostre anime.

Domanda: Che rapporto c’è tra l’anima e il cuore?
Risposta: Potremmo parlare, volendo, di un “cuore dello spirito”, collegato soprattutto al pensare, e di un “cuore dell’anima”, collegato soprattutto al sentire-volere.
Conosciamo in genere il secondo, ma non il primo. Ci riferiamo infatti al “cuore dell’anima” quando diciamo, ad esempio, che qualcuno “ha un buon cuore”, che è “un bravo cristiano” o, per l’appunto, “un’anima buona”, oppure quando consideriamo le opere di carità (il “Fate-bene-fratelli”). Al più alto dei suoi livelli, il “cuore dell’anima” ci si presenta come il “cuore della santità”.
Ci è nota dunque la “santità del sentire-volere”, ma ci è ignota la “santità del pensare” (del “Pensate-bene-fratelli”). Il che non deve meravigliare, perché ignoriamo la “santità del pensare” nella stessa misura in cui ignoriamo la realtà dello Spirito Santo o dello Spirito di Verità.
Ascoltate ciò che dice Hegel, a proposito della “fede dei discepoli in Cristo”: “Una tale fede, alla quale non mancava la certezza più salda, viene tuttavia dichiarata soltanto come l’inizio, la base fondamentale e la condizione, come qualcosa di ancora incompiuto. Coloro che possedevano tale fede non avevano ancora lo Spirito, dovevano ancora riceverlo: dovevano ricevere ancora lo Spirito che è la Verità stessa, lo Spirito che è soltanto posteriore a quella fede e che è guida verso ogni verità” (17).
Teniamo presente, però, che la “santità del pensare” non consiste nel pensare ordinariamente le cose sante (ad esempio, le “Sacre Scritture”), ma nel pensare santamente le cose ordinarie, o nel pensare le cose così come le ha pensate e le pensa il Signore.

Note:

1) R.Steiner: La soglia del mondo spirituale in Sulla via dell’iniziazione – Antroposofica, Milano 1977, pp. 154-155;
2) cfr. M.Scaligero: Iside-Sophia, la Dea ignota – Mediterranee, Roma 1980;
3) R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966, p. 19;
4) R.Steiner: Azioni di destino dal mondo dei morti – Antroposofica, Milano 2007, pp. 115, 116 e 119;
5) R.Steiner: Enigmi dell’essere umano – Antroposofica, Milano 2006, p. 35;
6) cfr. M.Kundera: La vita è altrove – Adelphi, Milano 1992;
7) R.Steiner: Vita da morte a nuova nascita – PSICHE, Torino 1997, p. 8;
8) cfr. V.Solov’ёv: Sulla Divinoumanità – Jaca Book, Milano 1971;
9) cfr. N.Mandel’štam: L’epoca e i lupi – Serra e Riva, Milano 1990;
10) R.Steiner: Economia spirituale e reincarnazione – Antroposofica, Milano 2008, p. 194;
11) N.Berdjaev: Autobiografia spirituale – Jaca Book, Milano 2006, pp. 226, 228 e 232;
12) N.Berdjaev: Nuovo Medioevo – Fazi, Roma 2004, p. 9;
13) R.Steiner: Indicazioni per una scuola esoterica – Antroposofica, Milano 1999, p. 91;
14) cfr. R.Steiner: La scienza occulta nelle sue linee generali – Antroposofica, Milano 1969;
15) Sant’Agostino: Le confessioni – Rizzoli, Milano 1996, p. 280;
16) R.Steiner: Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – Antroposofica, Milano 1985, p. 172;
17) G.W.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Rusconi, Milano 1996, p. 79.

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Di Lucio Russo
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