Aristotelismo e platonismo

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Scrive Giancarlo Roggero: l’alternativa prospettata da Steiner per la fine del ventesimo secolo “era stata invero netta: o una “culminazione dell’antroposofia nella civiltà terrena”, in virtù di coloro che “congiungono nel proprio cuore l’intelligenza con la spiritualità”, o “la tomba di ogni civiltà”. La congiunzione dell’intelligenza con la spiritualità, possibile sul piano interiore a chiunque vi aspiri e operi di conseguenza, era chiamata a riflettersi in un orientamento umano della civiltà, grazie al riproporsi sulla terra, in forme nuove, dell’antica cooperazione tra le individualità platoniche e quelle aristoteliche, che già aveva dato i suoi frutti al tempo della Scolastica medievale. In proposito lo Steiner parla di un “patto indistruttibile (unverbrüchliche Abmachung) siglato da quelle individualità nei mondi soprasensibili, in seguito al quale “dal movimento antroposofico potrà sorgere qualcosa, destinato a svilupparsi pienamente prima della fine di questo secolo”, per preservare la civiltà dal “giungere alla totale decadenza”. Tutto questo fa ormai parte della storia non divenuta del ventesimo secolo. Non solo la civiltà esteriore è rimasta estranea agli impulsi di cui era portatore il movimento antroposofico, ma all’interno dello stesso è mancata la presenza di una componente platonica che lo completasse. A ciò può aver contribuito il modo in cui sono stati trasmessi gli insegnamenti dello Steiner. L’opera del quale ha rappresentato nel complesso lo sforzo poderoso per liberare l’aristotelismo dall’antico retaggio dogmatico, e restituirlo alla sua vocazione originaria di arte del percepire. La vitalità, e quindi l’efficacia, della scuola da lui fondata, era fin dall’inizio commisurata alla sua capacità di mantenersi fedele a tale arte, evitando, per un frainteso principio di autorità, di ricondurre gli insegnamenti del maestro nel cerchio magico dell’antico aristotelismo. In quest’ultimo caso la recezione di apporti platonici al suo interno sarebbe stata gravemente compromessa. Difficilmente, infatti, il platonismo si lascia costringere nelle forme convenzionali di un sistema. In tal senso esso sembra destinato a restare senza patria, se non addirittura negletto, sulla terra, sebbene ricompaia di continuo, come una tendenza insopprimibile dello spirito umano” (1).
Non solo, dunque, “la civiltà esteriore è rimasta estranea agli impulsi di cui era portatore il movimento antroposofico”, ma “all’interno dello stesso è mancata la presenza di una componente platonica che lo completasse”, e “a ciò può aver contribuito” il fatto che gli insegnamenti di Steiner (per “il modo in cui sono stati trasmessi”) sarebbero stati ricondotti “nel cerchio magico dell’antico aristotelismo” (“dogmatico”).
Ma se questo è vero, che cosa significa? Significa che l’aristotelismo, una volta ricondotto nel suo antico e dogmatico “cerchio magico” (o “nelle forme convenzionali di un sistema”) è rimasto, al pari del platonismo, “senza patria, se non addirittura negletto, sulla terra”.
E’ questo del resto il destino di qualunque corrente culturale che non approdi all’anima cosciente, e si mostri per ciò stesso ipotecata, come l’aristotelismo, dall’anima “razionale-affettiva” (speculativa) o, come il platonismo, dall’anima “affettivo-razionale” (misticheggiante).
Osserva in proposito Steiner: “Ancor prima che Bacone da Verulamio e Amos Comenius comparissero sulla Terra [orientando l’aristotelismo verso il materialismo], nella Scolastica si lavorava alla continuazione del culto di Michele. Vediamo come nella Scolastica, nella cosiddetta scuola realistica, si volesse salvare l’origine della spiritualità che l’uomo porta nei suoi pensieri. Gli scolastici realistici attribuirono realtà spirituale a ciò che l’uomo afferra con i suoi pensieri. Si poté salvare soltanto una sottile spiritualità, ma spiritualità (…) Nella vita corrente si parla volentieri di aristotelici e di platonici come di due correnti contrapposte. Ma così non è in realtà. Le diverse epoche terrene esigono che si parli ora in senso platonico, ora in senso aristotelico, ma quando nel retroscena della vita sensibile si percepisce quella soprasensibile si vede come le due correnti si fecondino a vicenda, come esse vivano l’una nell’altra” (2).
Che cosa si dovrebbe quindi fare, perché la corrente aristotelica e quella platonica “si fecondino a vicenda”, e “vivano l’una nell’altra” non solo nel “retroscena”, ma anche sulla “scena” della vita sensibile? Non certo promuovere esteriormente un “dialogo”, un ”incontro” o un “embrassons-nous” tra i rappresentanti dell’una e dell’altra corrente, quanto piuttosto impegnarsi a svilupparne interiormente una terza, “goethiano-michaelita”, che faccia da ponte tra le due.
Il che è ovviamente impossibile se non si afferra lo spirito dell’insegnamento di Steiner, e non si ha perciò vera cura della “via del pensiero” e dello sviluppo dei gradi superiori di coscienza (afferma Steiner: “Capire nel profondo della propria anima la scienza dello spirito è per molti versi qualcosa del tutto diverso di quanto s’immaginano molti che fanno conto di appartenere al movimento antroposofico”) (3).
Di fatto, è solo al grado della coscienza ispirata ch’è oggi possibile una fertile e sana (e non quindi “regressiva”) “recezione di apporti platonici”.
Per pervenire a tale grado (correlato alla seconda Gerarchia), al quale “svanisce il pensiero vivente” (4) e si colma la “coscienza vuota”, bisogna però aver già realizzato quello della coscienza immaginativa (correlato alla terza Gerarchia), e aver perciò permesso all’impulso di Michele di fecondare e vivificare l’intelletto (come ha fatto ad esempio Goethe con l’aristotelismo analitico di Linneo).
Il che vuol dire che nell’evoluzione dell’anima cosciente, l’esperienza platonica, al contrario di ciò che si è verificato storicamente, segue quella aristotelica.
In sintesi: procedendo lungo la “via del pensiero”, che prende le mosse dal moderno pensiero “aristotelico-intellettuale” (applicato ai fenomeni naturali) (5), si dà, in un primo momento e in virtù dell’impulso di Michele, un’attiva o viva esperienza (sul piano eterico, al di qua della soglia) del pensiero “goethiano-immaginativo”, e, in un secondo e più alto momento, una recettiva esperienza (sul piano astrale, al di là della soglia) della realtà spirituale del mondo “platonico” delle Idee.
Superfluo aggiungere che la metamorfosi (ascendente) del momento “intellettuale-aristotelico” (fisico) nel momento “immaginativo-michaelita” (eterico), e di questo nel momento “ispirato-sofianico” (astrale) viene “completata” da un quarto e ultimo momento: ossia, da quello intuitivo, cristico o pentecostale (Io).

Note:

1) G.Roggero: La Vergine del silenzio in Uno sguardo sul presente, Appendice seconda a K.Heyer: La meraviglia di Chartres e altri scritti sulla spiritualità del Medioevo – Edizioni “TreUno”, Prato 2003, pp. 308-309;
2) R.Steiner: Considerazioni esoteriche sui nessi karmici – Antroposofica, Milano 1989, vol. IV, p. 58;
3) R.Steiner: Esigenze sociali dei tempi nuovi – Antroposofica, Milano 1971, p. 243;
4) R.Steiner: Lo sviluppo occulto dell’uomo nelle sue quattro parti costitutive – Antroposofica, Milano 1986, p. 70;
5) “Questo – dichiara Steiner – dovrà essere il vero metodo scientifico-spirituale: penetrare nel mondo spirituale per la stessa via che da tre o quattro secoli si è percorsa per indagare la natura. A tal fine si tratta solo di sviluppare davvero ulteriormente le abitudini scientifiche che l’umanità ha conquistato negli ultimi secoli, di svilupparle adeguatamente e con sufficiente sforzo, senza lasciarsi trattenere da comodità di pensiero” (R.Steiner: Impulsi evolutivi interiori dell’umanità. Goethe e la crisi del secolo diciannovesimo – Antroposofica, Milano 1976, p. 78).

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Di Lucio Russo
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