Cominciamo a leggere questa lettera, intitolata: L’atteggiamento dell’anima umana prima dell’inizio dell’epoca di Michele (31 agosto 1924).
“ (…) L’attuale epoca di Michele è sorta nell’evoluzione dell’umanità dopo il prevalere della formazione intellettuale del pensiero, da un lato, e dell’osservazione umana rivolta al mondo esteriore dei sensi, al mondo fisico, dall’altro lato” (p.60).
L’attuale epoca di Michele è cominciata (nel 1879) dopo la separazione del pensare dal volere (dal percepire).
Che pensare e volere non siano stati sempre disgiunti lo s’ignora, perché ci si occupa (in malo modo) dell’evoluzione del corpo, ma non di quella dell’anima (giacché si crede, da materialisti, che la prima spieghi la seconda).
Il passaggio dall’anima razionale-affettiva, caratterizzata dal “sentire nel pensare”, all’anima cosciente, caratterizzata dal “volere nel pensare”, costituisce invece una mutazione evolutiva che, a dispetto della sua apparente sottigliezza, ha prodotto degli effetti tutt’altro che sottili, quali, ad esempio, la nascita della modernità e della scienza.
Non dimentichiamo che il “sentire nel pensare” caratterizza la logica, mentre il “volere nel pensare” caratterizza la scienza.
Il nuovo impulso di Michele, diretto all’anima cosciente, vorrebbe dunque che questa portasse avanti la propria evoluzione, passando dalla fase scientifico-naturale a quella scientifico-spirituale.
“La formazione del pensiero, per sua propria essenza, non è un’evoluzione verso il materialismo” (p. 60).
Mi avete sentito spesso dire che la materia non è materialista, perché per creare il materialismo occorre lo spirito. Il materialismo non è dunque creato dalla materia, ma dallo spirito della materia, e quindi dallo spirito della morte.
L’umanità moderna, essendo penetrata nel regno arimanico della morte, deve ora fare i conti con una entità che vorrebbe approfittare della sua intrusione per asservirla, non certo per servirla.
Penso sappiate, ad esempio, che esistono oggi dei ricercatori convinti che, per mezzo della risonanza magnetica o di altre tecniche più o meno consimili, è possibile fotografare i sentimenti (1).
Bene, immaginiamo allora di vedere la foto di un gatto. Perché possiamo asserire ch’è la foto di un gatto? E’ ovvio: perché ri-conosciamo, nell’animale della foto, quello che conosciamo nella realtà.
E conosciamo nella realtà i sentimenti, così da poterli ri-conoscere nelle foto? E’ da escludere.
E che cos’è allora che si fotografa? E’ semplice: l’effetto corporeo (visibile) prodotto dal sentimento animico (invisibile); niente di più, cioè, di quanto siamo tutti in grado di osservare quando qualcuno arrossisce dalla vergogna o impallidisce dalla paura.
Al soggetto sottopostosi a un’indagine del genere, un vero ricercatore dovrebbe perciò dire: “Nello stesso istante in cui sperimentavi nell’anima il sentimento X, ho fotografato nel corpo l’evento Y. Non so quale relazione ci sia tra questi due fatti”.
Abbiamo detto e ripetuto che con l’avvento dell’anima cosciente si ha la nascita della scienza (“Sostenere che la Scienza è nata prima di Galilei – osserva Zichichi – lo si può se non si conosce la sua straordinaria opera o se, conoscendola, non la si è capita a fondo”) (2).
Ma la nascita di quale scienza? Di quella che, indagando la realtà inorganica, prende a modello del suo modo di procedere la matematica. Ricordate queste famose parole di Galilei? “… questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente in un labirinto” (3).
Sta di fatto, però, ch’è un “aggirarsi vanamente in un labirinto”, tanto l’affrontare senza tali mezzi la realtà inorganica, quanto l’affrontare con tali mezzi le realtà della vita, dell’anima e dello spirito.
Ricordiamoci che possiamo studiare scientificamente un fenomeno soltanto dopo averlo oggettivato: cioè soltanto dopo averlo distinto e allontanato da noi (obiěctu (m) : “cosa gettata contro, posta innanzi”).
Non ce ne rendiamo conto, però, perché, come fa notare Steiner ne La filosofia della libertà (4), prestiamo attenzione all’oggetto osservato e non al soggetto che l’osserva e lo pensa (vale a dire, a noi stessi).
E che cosa fa allora Arimane? Approfitta, per così dire, di questa nostra disattenzione (incoscienza) per rovesciare il rapporto tra il soggetto (spirituale) e l’oggetto (materiale), inducendoci così a spiegare, non l’oggetto per mezzo del soggetto, bensì il soggetto per mezzo dell’oggetto.
Oggi, ad esempio, disponiamo di una mirabile conoscenza del cervello. Tuttavia, sia il modo in cui vengono combinati tra loro i dati della ricerca, sia le conclusioni che se ne traggono, sono tutt’altro che mirabili.
Che cosa succede infatti? Succede che il soggetto (l’Io) studia l’oggetto (il cervello), ma viene poi indotto (da Arimane) a spiegare se stesso per mezzo del secondo, come se non fosse l’Io a conoscere se stesso quale Io (ego) mediante il cervello, ma fosse il cervello a conoscere se stesso quale Io (materiale o corporeo).
Un altro esempio, altrettanto eloquente (e sinistro), lo forniscono i sostenitori della cosiddetta “Ipotesi Forte dell’Intelligenza Artificiale” (I.F.I.A.) (5), dal momento che cercano di spiegare, non il funzionamento del computer per mezzo di quello della mente (che lo ha creato), ma il funzionamento della mente per mezzo di quello del computer.
“Il mondo delle idee, che in epoche anteriori era vicino all’uomo come per ispirazione, nell’epoca precedente quella di Michele divenne possesso dell’anima umana. Questa non ricevette più le idee “dall’alto”, dal contenuto spirituale del cosmo, ma le estrasse attivamente dalla spiritualità propria dell’uomo” (p. 60).
Il mondo delle idee è divenuto “possesso dell’anima umana” (“Al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno” – Lc 12,32) nel momento stesso in cui il Verbo, fattosi “carne”, è morto e risorto: in virtù dunque di un fatto, e non di una dottrina o di un insegnamento (6).
Che cosa è dunque, essenzialmente, il Cristianesimo? La viva coscienza di tale fatto e del suo significato per l’uomo, per la Terra e per il mondo divino-spirituale (“Se Cristo non è risorto, – scrive Paolo – è vana dunque la nostra predicazione, e vana è pure la vostra fede” – 1 Cor 15,14): la viva consapevolezza, cioè, che quanto era un tempo nell’”alto dei cieli” è disceso nel profondo dell’anima umana. “Raddrizzate la via del Signore”, dice il Battista, volendo appunto significare che ci è data non solo una “buona” novella, ma anche una “via” novella, poiché il trascendente (l’”Io sono” macrocosmico) è ora nel (sacro) cuore dell’immanente (microcosmico).
Non dobbiamo tuttavia dimenticare che, della spiritualità che vive nella nostra più intima essenza, siamo riusciti finora a portare a coscienza e a far nostra soltanto quella parte che ci consente di conoscere (galileianamente) la realtà inorganica.
Già da tempo, però, avremmo dovuto portare a coscienza e far nostra anche quella parte che ci consentirebbe di conoscere (goethianamente) la realtà organica (“Goethe – afferma Steiner – è il Copernico e il Keplero del mondo organico” (7); e Florenskij, il “Leonardo da Vinci russo”, scrive: “Bisogna imparare da Goethe la conoscenza della natura”) (8).
“Soltanto con questo l’uomo divenne maturo per riflettere sulla propria entità spirituale. Prima di allora egli non penetrava fino a questa profondità del suo essere. In certo modo egli vedeva in sé la goccia che si è scissa dal mare della spiritualità cosmica durante la vita terrena per poi, trascorsa questa, riunirsi nuovamente a quella”(p. 60).
Si può sostenere che l’uomo è una “goccia che si è scissa dal mare della spiritualità cosmica durante la vita terrena per poi, trascorsa questa, riunirsi nuovamente a quella”, ma si deve poi decidere se, nel “riunirsi nuovamente a quella”, tale “goccia” (l’Io individuale) sussista oppure si dissolva nel “mare della spiritualità cosmica”.
Sapete, ad esempio, che Tommaso d’Aquino sosteneva la sussistenza dell’Io dopo la morte (la cosiddetta “immortalità dell’anima”), preparando così l’avvento dell’anima cosciente, mentre Averroè sosteneva la dissolvenza dell’Io dopo la morte, rimanendo così fermo all’anima razionale-affettiva, e per ciò stesso a quanto era stato vero “prima di allora”: prima, cioè, che, per effetto (postumo) dell’incarnazione del Logos, il mondo delle idee divenisse (in veste rappresentativa) “possesso dell’anima umana” (osserva Steiner: “Tutta la scienza moderna è figlia del cristianesimo, è la continuazione diretta dell’impulso cristico”) (9).
“La formazione del pensiero svolgentesi nell’uomo costituisce un progresso nell’autoconoscenza umana (…) Insieme ai pensieri ispirati dell’antichità, l’uomo riceveva anche i contenuti spirituali dell’universo. Col cessare di questa ispirazione, da quando l’uomo forma i pensieri per attività propria, egli è rinviato alla percezione dei sensi per dare un contenuto ai suoi pensieri. Inizialmente, quindi, l’uomo dovette riempire di contenuto materiale la propria conquistata spiritualità. Egli cadde nel modo di vedere materialistico appunto nell’epoca che portò il suo essere spirituale ad un gradino più alto dei precedenti” (pp. 60-61).
Immaginate che le idee, in quanto “forme”, siano delle coppe (“recipienti d’amore” le chiama Steiner).
Ebbene, mentre un tempo l’uomo riceveva (in modo ispirato) queste coppe colme di sostanza spirituale, con l’avvento dell’anima cosciente si è ritrovato ad avere nella testa, quale suo prodotto (intellettuale), delle coppe vuote, nelle quali ha preso allora a riversare sostanza materiale.
Una sera, rispondendo a una domanda, ho detto che la bellezza, per i greci, era una Dea (Afrodite): ossia appunto un’entità o un’idea ricolma di essere o di sostanza spirituale.
E che cosa è diventata invece per noi? E’ presto detto: un’idea astratta, alla quale non sappiamo far altro che dare una sostanza corporea.
Pensate, ad esempio, all’idea dell’amore, e provate a infarcirla di contenuto o sostanza materiale, ossia del solo contenuto di cui di norma disponiamo. Che cosa diventa? E’ facile: corpo e sesso.
Non facciamoci pertanto illusioni: il pensiero ordinario (rappresentativo, vincolato ai sensi) l’amore non può pensarlo e sentirlo che come corpo e sesso.
Ci si conferma dunque, come sempre, che l’unica cosa da fare è impegnarsi a portare il pensiero e la coscienza al di là dei loro limiti ordinari.
“È facile disconoscere tutto questo, considerare unicamente la caduta nel materialismo, e quindi affliggersene. Ma mentre l’osservazione di quest’epoca doveva limitarsi al mondo fisico esteriore, venne sviluppandosi nell’interno dell’anima, quale esperienza, una spiritualità umana purificata, esistente in se stessa. Ora, nell’epoca di Michele, tale spiritualità non deve più rimanere un’esperienza incosciente, deve diventare cosciente della propria natura. Questo significa l’avvento dell’entità di Michele nell’anima umana” (p. 61).
Le Archài attuali – come abbiamo ricordato – hanno attraversato la loro esperienza “umana” con corpi di calore (sull’antico-Saturno), gli Arcangeli attuali con corpi di aria o di luce (sull’antico-Sole), gli Angeli attuali con corpi liquidi (sull’antica-Luna): solo noi, dunque, siamo scesi tanto in basso da arrivare a fare la stessa esperienza con corpi solidi o materiali (sulla Terra).
Tuttavia, proprio per il fatto di essere scesi più in basso degli altri, ci è data la possibilità di salire, un giorno, ancora più in alto (“Non sapete – dice Paolo – che noi giudicheremo persino gli angeli?” – 1Cor 6,3).
“Mentre l’osservazione di quest’epoca – dice Steiner – doveva limitarsi al mondo fisico esteriore”, a quanto vi è perciò di più basso (gerarchicamente), “venne sviluppandosi nell’interiorità dell’anima, quale esperienza, una spiritualità umana purificata, esistente in se stessa”.
Che cosa vuol dire “purificata” ed “esistente in se stessa”? Vuol dire scevra di elementi soggettivi o personali e in grado di reggersi su di sé.
Ripensate alle parole di Galilei: l’universo “è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola”.
Perché la matematica? Vuoi perché la matematica, in quanto impersonale, “non è – come si usa dire – un’opinione”, vuoi perché il pensiero, per convincersi, che so, che due più due fa quattro, basta a se stesso, e non ha bisogno di ricorrere al sostegno o alle grucce di una qualsivoglia autorità esterna.
Si potrebbe anche dire, volendo, che il pensiero matematico è un pensiero “de-luciferizzato”, ma non ancora “cristificato”, e che, proprio in ragione di questa sua neutralità (morale), si presta a essere messo al servizio, sia, inconsapevolmente, di Arimane, sia, consapevolmente, di Michele. Per questo Steiner afferma che “nell’epoca di Michele, tale spiritualità non deve più rimanere un’esperienza incosciente”, ma “deve diventare cosciente della propria natura”.
A tutt’oggi, è rimasta però incosciente (“E la luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l’hanno riconosciuta” Gv 1,5), prestando così il fianco alla volontà in-umana o dis-umana di Arimane.
Per porre fine a questo giogo, è dunque necessario che la scienza prenda coscienza di sé; disponiamo infatti di una scienza, ma non ancora di una scienza autocosciente (“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” – Lc 23,24), e quindi in grado di riconoscersi quale spirito (santo), e sottrarsi così alle grinfie di Arimane.
Ove questo ci sia chiaro, ci sarà anche chiaro, allora, che la “spiritualità umana purificata” (lo spirito scientifico) che ha animato inconsapevolmente Galilei, Copernico e Keplero (nella prima fase di sviluppo dell’anima cosciente: quella dell’ego) è la stessa che anima consapevolmente la scienza dello spirito (nella seconda fase di sviluppo dell’anima cosciente: quella del “Sé spirituale”).
Sbagliano di grosso, perciò, quanti (e non sono pochi) ricercano nel passato le “fonti” dell’insegnamento di Steiner, dal momento che come non c’è mai stata, prima della modernità, una scienza naturale (galileiana), così non c’è mai stata, e a maggior ragione, una scienza dello spirito (antroposofica).
Sentite che cosa dice a questo proposito Steiner, riferendosi al teologo Friedrich August Mahling, che aveva parlato, in una sua conferenza, dell’antroposofia: “Vediamo qui un uomo benevolo che considera il nostro movimento come sincretistico, soprattutto perché non conosce e non sa che si tratta assolutamente di un movimento nuovo, fondato su qualcosa che nel mondo è nuovo: sulla concezione scientifica moderna che ne è il fondamento” (10).
“ (…) Per un certo tempo l’uomo ha riempito la propria spiritualità con la materialità della natura; ora deve riempirla di nuovo con la spiritualità che gli è propria primordialmente come contenuto cosmico.
La formazione del pensiero si smarrì per qualche tempo seguendo la materia del cosmo; deve ritrovarsi nello spirito cosmico. Nel freddo e astratto mondo del pensiero può penetrare la realtà spirituale satura di essere. Questo significa l’inizio dell’epoca di Michele” (p. 61).
Riflettiamo bene su questa affermazione: “Nel freddo e astratto mondo del pensiero può penetrare la realtà spirituale satura di essere”.
Qual è questo “freddo e astratto mondo del pensiero” (che respinge Lucifero e attira di contro Arimane)? E’ il pensiero logico-matematico che, per emanciparsi dall’essere di Lucifero, si fa appunto fredda astrazione (un guscio vuoto di materia e di spirito o un “concetto-nome”).
Tale pensiero, per tornare all’essere, può prendere, come abbiamo detto, due opposte strade: quella, per così dire, in “discesa”, che conduce all’essere arimanico della morte (alla rappresentazione sensibile, al “concetto-nome” e all’ego), e quella, per così dire, in “ascesa” che conduce all’essere michaelita della vita (all’immaginazione, al “concetto-reale” e all’Io).
Se l’essere di Lucifero vorrebbe infatti trattenerci, in un modo o nell’altro, al di qua del non-essere, l’essere di Arimane vorrebbe invece condurci al di là del non-essere, ma soltanto per ibernarci e seppellirci nella materia.
“Solo nel distacco dall’entità del pensiero universale poteva svilupparsi la coscienza della libertà nelle profondità dell’anima umana. Ciò che un tempo discendeva dall’alto, doveva venir ritrovato nel profondo” (p. 61).
“Ciò che un tempo discendeva dall’alto”, vale a dire dalla trascendenza, “deve venir ritrovato nel profondo”, vale a dire nell’immanenza.
Fate attenzione, però, perché l’immanenza, nel profondo della quale può essere ritrovato ciò che un tempo discendeva dall’alto, non è più l’immanenza che si opponeva alla trascendenza, bensì una realtà rinnovata e redenta che ha soltanto bisogno di essere riconosciuta e amata (“Ma a quanti lo accolsero, a quelli che credono nel suo nome [“Io sono”], diede il potere di diventare figli di Dio” – Gv 1,12).
Di questa “terza”, nuova e unitaria realtà, potremmo parlare (lo abbiamo peraltro già fatto, citando anche Scaligero [massima 47]) come di una “trascendenza immanente” o di una “immanenza trascendente”.
Il pensiero, ad esempio, sul piano rappresentativo è già immanente, mentre su quello immaginativo, ispirato e intuitivo è ancora trascendente.
Fatto si è che ciò che oggi è immanente (conscio) un tempo fu trascendente, così come ciò che oggi è trascendente (inconscio) sarà un giorno immanente.
“Per questo lo sviluppo della coscienza della libertà fu collegato inizialmente ad una conoscenza della natura, diretta soltanto al mondo esterno” (p. 61).
Parlando del mondo animale, si parla in genere di “istinti”. Ma che cos’è propriamente un istinto? E’ presto detto: un “pensare nel volere”, e per ciò stesso una forza che veicola una forma o un pensiero.
Tutti gli animali, ad esempio, si cibano e si riproducono, ma lo fanno (come ben sanno gli etologi) in forme diverse, in forme che sono “modelli di comportamento” o “leggi”, e quindi idee.
Ebbene, come gli animali non fanno che seguire il “pensare nel volere” della loro specie, così gli uomini, prima dell’avvento dell’anima cosciente e dell’ego, non hanno fatto che seguire il “pensare nel volere” (e nel sentire) delle Gerarchie.
Perché potessero sviluppare la “coscienza della libertà”, si è reso perciò necessario che passassero dal “pensare nel volere” e dal “pensare nel sentire” al “pensare nel pensare” della terza Gerarchia, e che, per potersi emancipare anche da questa, tale pensare si riflettesse nell’organo cerebrale.
Pensate ancora alla matematica. Il fatto che due più due faccia quattro non ci lascia appunto indifferenti? O conoscete forse qualcuno (dotato di senno) che per il solo fatto che due più due faccia quattro si ecciti o si deprima?
Privato dei succhi del sentire e del volere, il pensare è divenuto un guscio: vale a dire, una pura forma, vuota di forza e di realtà.
Per colmare tale vuoto (horror vacui), il pensiero si è rivolto allora a ciò che viene percepito sensibilmente; si è applicato cioè alla natura, mettendo così al mondo la scienza naturale.
Lo spirito non vive dunque nel creato sensibile (nell’opera compiuta dell’Entità divino-spirituale originaria, dirà Steiner), ma nel pensare che lo conosce.
Questo però lo s’ignora, e si continua perciò a credere (com’è costume dell’anima razionale-affettiva) che lo spirito sia ”oggetto” del pensiero (un pensato), e non (come dovrebbe essere costume dell’anima cosciente), suo “soggetto” (un pensante).
Ricordiamo dunque, di nuovo, il prologo del Vangelo di Giovanni: “E la luce risplende fra le tenebre, ma le tenebre non l’hanno riconosciuta”.