“Mentre l’uomo, nell’intimo suo, educava inconsciamente il suo spirito alla purezza delle idee, i suoi sensi erano rivolti verso l’esterno solo alle cose materiali, che in nessun modo si intromettevano a disturbare ciò che si illuminava nell’anima, dapprima come delicato germe” (pp. 61-62).
Abbiamo appena detto che le idee sono diventate delle forme vuote di contenuto extrasensibile (dei “concetti-nome”), e per ciò stesso un qualcosa che non annulla né limita la nostra libertà.
Sta di fatto che la scienza naturale, nonostante i meriti che le vanno riconosciuti, tra i quali gli indubbi vantaggi (materiali) che ha arrecato e ancora arreca all’umanità, non è un fine, ma un mezzo: un mezzo per elaborare, sviluppare e mettere a punto un pensare che sia poi capace, proprio in virtù di tale tirocinio, di volgersi a se stesso e alla realtà del mondo divino-spirituale.
“Ma nell’osservazione dell’elemento materiale esterno può tornare ad entrare, in nuova forma, l’esperienza della spiritualità, e con essa l’osservazione spirituale. Il patrimonio di conoscenze naturali acquistato sotto il segno del materialismo può venir afferrato dalla vita animica interiore in modo conforme allo spirito. Michele, che parlò ”dall’alto”, può venir udito “dall’intima interiorità”, dove prenderà la sua nuova dimora” (p. 62).
Sappiamo che la scienza poggia a tal punto sulla percezione della realtà sensibile e sulla sua misurazione, da arrivare a fondare, per dirla con Guénon (11), il “regno della quantità” (si racconta che Enrico Fermi avesse la mania di misurare tutto con calibro e bilancia, perfino i suoi regali di nozze) (12).
E il “regno della qualità” (dell’essere)? Non potrebbe forse “tornare a entrare, in nuova forma” in quello della quantità? Certo che lo potrebbe, ma non in virtù dello stesso tipo di pensiero che ha fondato il “regno della quantità” (dell’avere).
Ascoltate quanto dice a questo proposito Hegel: “Non a torto si equiparò questo pensare [intellettuale] al calcolare, e viceversa il calcolare a questo pensare. Nell’aritmetica si prendono i numeri come un che vuoto di concetto, come quello che, all’infuori della sua uguaglianza e ineguaglianza, vale a dire all’infuori del suo rapporto affatto estrinseco, non ha alcun significato, come quello che né è in se stesso pensiero, né di cui nemmeno la relazione è pensiero” (13).
L’”esperienza della spiritualità” (del “concetto-reale”) può tornare dunque “ad entrare, in nuova forma”, nel “regno della quantità”: “in nuova forma”, perché la spiritualità, che discendeva un tempo dall’”alto” (dal trascendente), quale subcosciente ispirazione, può essere adesso ritrovata nell’”intima interiorità” (nell’immanente).
“Parlando immaginativamente, possiamo dire: l’elemento solare che per lunghe epoche l’uomo ricevette in sé soltanto dal cosmo, risplenderà nell’interiorità dell’anima. L’uomo imparerà a parlare di un “sole interiore” (…) Imparerà a sentire come verità che nel suo intimo vi è un’entità che lo pone in una luce che risplende sì sull’esistenza terrena, ma che non viene accesa in essa” (p. 62).
Il “sole interiore” e invisibile è il Sole del Cristo, mentre quello esteriore e visibile è il Sole di Lucifero. Affermano infatti i Rosacroce: Christus verus Lucifer (ergo, Lucifer falsus Christus).
Non è facile distinguerli perché tanto l’uno che l’altro sono portatori di luce. Si tratta però di una distinzione di estrema importanza. Stiamo infatti parlando non di ciò che si vede, ma di ciò che ci consente di vedere: in breve, non del veduto (del pensato), ma del vedere (del pensare).
Il “sole interiore” (il “sacro cuore” dell’Io) è la fonte e della luce-pensiero e del calore-volontà.
In noi, però, c’è una parte (quella cefalica) che ne accoglie la luce e ne respinge il calore, e un’altra (quella metabolica) che ne accoglie il calore e ne respinge la luce. Nel primo di questi due poli, sperimentiamo perciò una luce fredda (quella “asettica” della ratio) e, nel secondo, una tenebra calda (quella “settica” dell’eros cioè delle brame o degli istinti).
Dice Scaligero che “la misura dell’essere dell’uomo è la capacità di amare: la capacità di donarsi” (14). E’ solo grazie al Cristo, però, che possiamo conoscere l’amore, poiché solo in Lui la luce è tutt’uno col calore e il calore è tutt’uno con la luce (“Cristo Sole, luce divina, illumina le nostre menti, riscalda i nostri cuori”).
“All’inizio dell’epoca di Michele può ancora sembrare come se tutto questo sia ben lontano dall’umanità; ma “nello spirito” è vicino; deve soltanto venir “veduto”. Da questo fatto, che cioè le idee dell’uomo non restino soltanto “pensanti”, ma che nel pensare diventino “veggenti”, dipendono conseguenze incommensurabili. ”
La nuova epoca di Michele comincia nel 1879, e nel 1899 termina l’”era oscura” (il Kali Yuga): con l’inizio del ventesimo secolo, si apre dunque una nuova era.
E’ difficile crederlo, se si pensa a tutti gli inenarrabili orrori verificatisi nel corso del Novecento. Bisogna però considerare che quanto di oscuro alberga in noi diviene, in un’era non più oscura, ancor più pericoloso e minaccioso, poiché si fa più acuto e stridente il contrasto tra l’astrattezza e l’arretratezza del nostro pensiero e la realtà delle forze spirituali che vorrebbero risalire dalla tenebra (dell’incoscienza) alla luce (della coscienza).
Ascoltate quanto dice appunto Steiner: “Nei moti istintivi, inconsci della natura umana rumoreggia un elemento nuovo. Nel pensare cosciente le antiche idee non vogliono seguire i moti istintivi. Ma anche i moti istintivi migliori diventano barbarici e bestiali se non vengono illuminati da pensieri adeguati” (15).
Dobbiamo dunque affrontare la nuova era con nuove idee e, soprattutto, con un nuovo modo di pensare.
Crediamo, ad esempio, che i pensieri siano una nostra “invenzione”, e che sia perciò giusto inorgoglirsi o andare fieri della loro intelligenza, brillantezza od originalità (nel Barbiere di Siviglia, al Conte di Almaviva che canta “Oh che testa originale! Bravo, bravo in verità”, Figaro risponde: “Oh che testa universale! Bella, bella in verità”).
Non la pensiamo più così, però, allorché realizziamo che i pensieri non s’inventano (nella testa), ma si scoprono (nella realtà); anzi questo ci rende umili e ci fa capire che per scoprire i pensieri che sono nella realtà (in-re) dobbiamo tacitare, vincendo il nostro narcisismo o egoismo, tutti quelli che ci ronzano per la testa.
Sappiamo, del resto, che la realtà e la verità possono rivelarsi soltanto alle anima pure (“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” – Mt 5,8).
“Veggente” (e santo) è solo dunque quel pensiero che accoglie la realtà, così come l’accolgono ad esempio gli occhi o le orecchie, che mai appunto s’illudono di essere i creatori di quanto vedono od odono.
Abbiamo detto che i pensieri in-re sono l’essenza delle cose o dei fenomeni. Immaginate, dunque, come tutto sarebbe diverso se ci riuscisse di coglierli con la stessa immediatezza, con la stessa obiettività e con la stessa innocenza con le quali gli occhi colgono i colori o le orecchie i suoni.
Solo un’appropriata disciplina dell’anima, e il favore del mondo spirituale, possono però condurci a tale meta.
Occorre comunque sagacia, perché può accadere che, proprio nel momento in cui il pensiero prende a svilupparsi, si abbia l’impressione di regredire, dal momento che le nostre “opinioni” perdono smalto, e noi stessi perdiamo il gusto di esibirle, di vantarle o di tentare d’imporle.
Ma ciò accade proprio perché qualcosa di vecchio (l’ego) va tramontando e qualcosa di nuovo (l’Io) va sorgendo.
Dice Steiner che “all’inizio dell’epoca di Michele può ancora sembrare come se tutto questo sia ben lontano dall’umanità; ma “nello spirito” è vicino”.
Dopo la fine dell’”era oscura”, lo spirito vivente ci è in effetti vicino: ma ci è vicino come una potenzialità che chiede di essere liberamente e amorevolmente e-ducata o attuata (dice Silesio: “Seppure Cristo nasca mille volte a Betlemme ma non in te, tu resti perduto per l’eternità”) (16).
Leggiamo adesso le massime.
85) “Nella coscienza desta del giorno l’uomo sperimenta nell’epoca attuale in primo luogo se stesso. Questa esperienza gli nasconde che nella sua esperienza di veglia è presente la terza gerarchia”.
Credo di avervi già ricordato questo passo de La filosofia della libertà: “Non è che il soggetto pensi per il fatto di essere soggetto; bensì esso appare a se stesso come soggetto perché ha la facoltà di pensare” (17).
Come si vede, quel che capita quando si pensa un oggetto, di essere cioè tanto presi dall’oggetto da lasciare inosservato il pensare che lo pensa, capita anche quando si pensa se stessi. “Nella coscienza desta del giorno – dice infatti Steiner – l’uomo sperimenta nell’epoca attuale in primo luogo se stesso”: per l’appunto il soggetto (l’ego), e non il pensare che lo pensa.
Nella stessa misura, dunque, in cui ignoriamo il pensare che ci consente di qualificarci come “soggetti”, ignoriamo che nella nostra “esperienza di veglia è presente la terza gerarchia”.
Ricordo, peraltro, che fu proprio riflettendo e meditando su queste cose che scrissi quel vecchio articolo su La logica hegeliana e le gerarchie spirituali (18).
Ero infatti certo che, nell’esperienza pensante, si dà prima il concetto, poi l’attività giudicante, e poi ancora, quale frutto di quest’attività, l’immagine: quell’immagine che, riflessa dall’organo cerebrale, si dà infine come rappresentazione.
Ed ero anche certo che il concetto si dà in virtù di una incosciente attività intuitiva (non della “coscienza intuitiva”), che l’attività giudicante (che mette in rapporto tra loro i concetti) si dà in virtù di una subcosciente attività ispirata (non della “coscienza ispirata”), che l’immagine si dà in virtù di una precosciente attività immaginativa (non della “coscienza immaginativa”), e che la rappresentazione si dà in virtù della coscienza intellettuale, vincolata ai sensi e al cervello.
(“Parlando del pensare – afferma Steiner – è del tutto errato dire che sarebbero interessati processi nervosi di vibrazione o altri del genere. Alla visione immaginativa si svela che il pensiero [intuitivo-incosciente], che vive anche nel sogno, afferra anzitutto la parte aeriforme [ispirata-subcosciente]. In seguito, mentre l’elemento aeriforme passa determinati processi, i pensieri si trasferiscono alla parte liquida [immaginativa-precosciente], e da lì al solido elemento salino [rappresentativo-cosciente]” [19].)
Non ero altrettanto certo, invece (poiché so bene che bisogna guardarsi, in specie a questi livelli, dalle deduzioni logiche e dagli schematismi), che i concetti fossero da mettere in relazione con le Archài, l’attività giudicante con gli Arcangeli e le immagini con gli Angeli.
Avrei oggi buone ragioni per farlo, ma preferisco essere ancora prudente (dopo aver scritto queste cose, in un libro di Steiner appena pubblicato, leggo: “Gli Angeli, gli Arcangeli e le Archai si trovano fra l’uomo e le impressioni dei sensi, sono effettivamente di qua dal mondo sensibile (…) Mentre le Exusiai, le Dynameis, le Kyriotetes [gli Spiriti della forma, gli Spiriti del movimento, gli Spiriti della saggezza] si trovano effettivamente solo al di là; sono celate dalla coltre dei sensi”) (20).
86) “Nella coscienza di sogno l’uomo sperimenta in modo caotico il proprio essere congiunto disarmonicamente con la spiritualità del cosmo. Se alla coscienza di sogno, come altro suo polo, si contrappone quella immaginativa, l’uomo si accorge che nella sua esperienza è presente la seconda gerarchia”.
Abbiamo detto che la “coscienza di sogno” è legata al sentire, e che il sentire è stato la prima vittima del divorzio tra il pensare e il volere.
Non dobbiamo perciò meravigliarci che Steiner dica che, allo stato di sogno, “l’uomo sperimenta in modo caotico il proprio essere congiunto disarmonicamente con la spiritualità del cosmo”.
Dice “disarmonicamente”, perché è l’accordo tra il pensare e il volere che viene sperimentato di contro come “armonia”.
Teniamo comunque presente che parlare della terza Gerarchia significa parlare di ciò ch’è vivente nella testa (non quindi delle rappresentazioni), mentre parlare della seconda Gerarchia significa parlare di ciò ch’è vivente nella sfera mediana o ritmica del nostro organismo, e quindi di entità con le quali è possibile entrare in rapporto (cosciente) soltanto se si viene, per così dire, “presentati” dagli Angeli, dagli Arcangeli e dalle Archài: cioè a dire, dai loro “Messaggeri”.
87) “Nella coscienza di sonno senza sogni l’uomo, senza esserne cosciente, sperimenta il proprio essere congiunto con la spiritualità del cosmo. Se alla coscienza di sonno, come altro suo polo, si contrappone quella ispirata, l’uomo si accorge che nella sua esperienza è presente la prima gerarchia”.
Giorni fa ho comprato un libro intitolato: Neuroetica (21). Ne ho letto una ventina di pagine, poi, durante la notte, ho sognato che sputavo dei fogli di giornale che avevo masticato, perché intrisi di piombo, e quindi di veleno. La mattina dopo ho riposto il libro, e non l’ho letto più.
Me la sono presa naturalmente con me stesso, per aver ceduto, acquistandolo, a una banale curiosità.
Che cosa ha a che fare l’etica con la neurologia? Niente. La prima riguarda infatti il volere, mentre la seconda riguarda non il pensare, bensì il riflesso del pensare. Per questo uso dire: il nervo sa (a-posteriori) quello che il sangue fa (a-priori) (22).
E che cos’è allora, da questo punto di vista, la “neuroetica”? E’ l’etica – sia detto senza offesa – dei nevrastenici. Non c’è d’altronde una conferenza di Steiner intitolata appunto: Nervosità, fenomeno del nostro tempo (23)?
Perché vi sto dicendo questo? Ve lo sto dicendo perché serve a dimostrare, ove ce ne fosse ancora bisogno, che la volontà, per l’intelletto, è una vera e propria “incognita”. Si tratta infatti di una forza inconscia che, proprio perché inconscia, sembra o si crede che non esista (tant’è, come mi sembra di avervi già detto, che Cesare Musatti auspicava che venisse cancellata dai testi di psicologia).
Tale incoscienza comporta ovviamente delle gravi conseguenze, in specie sul piano educativo. Si è infatti convinti di dover educare soprattutto la testa (l’intelletto), badando poco o nulla al fatto che il restante organismo (il carattere, e in specie la volontà) finisce così col regredire, se non addirittura con l’imbestialirsi.
(Chi volesse farsi un’idea di quanto la scuola di oggi dia ai bimbi e ai giovani “pietre”, e non “pane”, legga e mediti, di Herbert Hahn, Pedagogia e religione [24].)
Fatto si è che la testa (il pensiero riflesso) non è in grado di nutrire il restante organismo (il sentire e il volere), tanto che la si potrebbe paragonare a una bocca che mastichi o rumini senza mai deglutire. Chi avesse una bocca del genere, pur masticando o ruminando di tutto, non finirebbe forse col morire di fame?
E proprio di fame sta morendo l’anima, dal momento che l’intelletto o, per essere più precisi, l’intellettualismo (che ha ridotto perfino la morte a “fatto cerebrale”) non sa far altro che imbottire la testa di nozioni e informazioni.
Ricordate il celebre L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse (25), un best-seller degli anni ‘70? Magari si fosse allora realizzato che il vero uomo “a una dimensione” è l’uomo dei nervi o l’uomo cerebrale (il famoso “cervellazzo” di Tommaso Garzoni)!
Due parole ancora sulla prima Gerarchia. Vale anche qui il principio che vi si può accedere solo passando per la seconda.
Pensate, per fare un solo esempio, all’immagine dell’Immacolata: la Vergine ha sotto i piedi la falce lunare e il serpente, e sul capo dodici stelle. Si tratta quindi di un’immagine che può rappresentare la seconda Gerarchia, dal momento che la sfera lunare può rappresentare la terza, le dodici stelle la prima e il serpente Lucifero.
Avendo un mondo sopra di sé e un altro sotto di sé, la Vergine, come abbiamo detto, è dunque “mediatrice”.
In verità, è assai più di questo, giacché il Suo manto celeste si estende o prolunga, in basso, fino a raggiungere, custodire e proteggere l’uomo (come si può vedere, ad esempio, nel polittico della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, nel Museo civico di Sansepolcro).
Resta lecito comunque affermare che la Sua sfera d’elezione (quella della Sophia) è la sfera degli Spiriti della saggezza: per questo, infatti, viene anche detta “Regina degli angeli” o “Regina dei logoi”: ossia, “Regina delle idee o dei concetti”.
Note:
1) cfr. Noterella 7 agosto 2009;
2) A.Zichichi: Galilei divin uomo – il Saggiatore – Milano 2001, p. 48;
3) ibid., p.68;
4) cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966;
5) cfr. Intelligenza umana e intelligenza artificiale, 8 marzo 2003;
6) cfr. R.Steiner: Il Cristianesimo come fatto mistico e i misteri antichi – Antroposofica, Milano 1988;
7) R.Steiner: Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe – Antroposofica, Milano 2008, p. 90;
8) P.Florenskij: Non dimenticatemi – Mondadori, Milano 2000, p. 75;
9) R.Steiner: Il quinto Vangelo – Antroposofica, Milano 1989, pp. 14-15;
10) R.Steiner: Il legame fra i vivi e i morti – Antroposofica, Milano 2010, p. 136;
11) cfr. R.Guénon: Il regno della quantità e i segni dei tempi – Studi Tradizionali, Torino 1969;
12) cfr. Concetto e numero, 20 febbraio 2002;
13) G.W.F. Hegel: Scienza della logica – Laterza, Roma-Bari 1974, vol. I, pp. 34-35;
14) M.Scaligero: Dell’amore immortale – Tilopa, Roma 1982, p. 19;
15) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica, Milano 1999, p. 221;
16) A.Silesio: Il viandante cherubico – Bocca, Milano 1942, p.18;
17) R.Steiner: La filosofia della libertà, p. 51;
18) cfr. La logica hegeliana e le gerarchie spirituali, 7 dicembre 2003;
19) R.Steiner: Cultura e antroposofia – Antroposofica, Milano 1996, p. 127;
20) R.Steiner: Azione e impulsi delle potenze spirituali sulla scena del mondo – Antroposofica, Milano 2010, p. 55;
21) cfr. L.Boella: Neuroetica – Raffaello Cortina, Milano 2008;
22) cfr. Noterella 11 gennaio 2008;
23) cfr. R.Steiner: Nervosità, fenomeno del nostro tempo – Antroposofica, Milano 1976;
24) cfr. H.Hahn: Pedagogia e religione – Antroposofica, Milano 2000;
25) cfr. H.Marcuse: L’uomo a una dimensione – Einaudi, Torino 1999.