Scrive Piergiorgio Odifreddi: “Lo spazio e il tempo corrispondono alle due grandi branche della matematica classica: da una parte la geometria, la teoria della forme, e dall’altra l’aritmetica, la teoria dei numeri. Lo spazio è ovviamente studiato dalla geometria, che si occupa delle figure elementari, delle proprietà del piano o dello spazio tridimensionale (anche se la geometria moderna arriverà a occuparsi di spazio a più di tre dimensioni, addirittura infinite). Il tempo è invece collegato con l’aritmetica, in un modo forse meno intuitivo. Dentro di noi, abbiamo tutti un orologio che batte circa sessanta volte al minuto: il nostro cuore. Dentro di noi c’è dunque qualcosa che pulsa in maniera ritmica, discreta, mentre la percezione che noi abbiamo col tatto degli oggetti intorno a noi è continua” (Pitagora, Euclide e la nascita del pensiero scientifico – La Biblioteca Di Repubblica, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2012, pp. 12-13).
Se fosse vero, però, che il nostro cuore pulsa in modo discreto (a-ritmetico), tra un movimento e l’altro dovrebbe darsi una sincope: grazie a Dio, invece, gli “arresti cardiaci” non costituiscono la norma, dal momento che un conto è il movimento discreto (della macchina), altro il movimento ritmico (della vita).
Nel nostro Sergej Prokofieff e La filosofia della libertà (18 ottobre 2007), abbiamo scritto: “Ogni processo di metamorfosi è caratterizzato dal fatto di essere, sia continuo (nel tempo), sia discontinuo (nello spazio): di presentare cioè, insieme, una continuità interiore e una discontinuità esteriore”.
Pensiamo, ad esempio, al bruco, alla crisalide e alla farfalla, e domandiamoci: tra questi tre esseri c’è solo una visibile discontinuità, o c’è pure una invisibile continuità (dal momento, per dirla con i numeri, che non è l’1+1 a realizzare il 2, e il 2+1 a realizzare il 3, ma ch’è l’1 a trasformarsi, sua sponte, prima nel 2 e poi nel 3)?
Chi non riesca a cogliere la continuità in un semplice processo di metamorfosi, come quello che trasforma il bruco nella farfalla, avrà ovviamente ancora maggiore difficoltà a cogliere quello che, durante la vita, trasforma incessantemente la sistole nella diastole e la diastole nella sistole, giacché questo, diversamente da quello, comporta non solo una metamorfosi, ma anche una enantiodromia: ossia, un rovesciamento nell’opposto.
Assimilare, come fa Odifreddi (“in un modo forse meno intuitivo”!), il movimento ritmico a quello discreto (il movimento vivente del cuore a quello meccanico dell’orologio), è dunque l’ennesima prova, vuoi della staticità o della gravità dell’ordinario intelletto (legato ai sensi e allo spazio), vuoi del fatto, come abbiamo spesso rilevato, che l’odierna scienza materialistica non eleva il pensiero per portarlo al livello di realtà dei fenomeni, bensì abbassa o riduce i fenomeni per portarli al livello di realtà dell’ordinario intelletto.
21/01/2012
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