Massime antroposofiche
91/92/93

M

91) “Nella nostra epoca la volontà entra nella coscienza ordinaria solo attraverso il pensiero. La coscienza ordinaria può però riferirsi solo a ciò che è percepibile ai sensi. Anche della propria volontà essa afferra solo quel tanto che ne penetra nel mondo sensibile della percezione. In questa coscienza l’uomo sa dei suoi impulsi volitivi solo mediante l’osservazione rappresentativa di se stesso, come solo mediante l’osservazione sa del mondo esterno“.

“Nella nostra epoca – dice Steiner – la volontà entra nella coscienza ordinaria solo attraverso il pensiero”.
Quest’affermazione ci potrebbe a prima vista sconcertare, giacché siamo soliti dire che la coscienza ordinaria (rappresentativa) è morta, e che, per passare da questa a quella immaginativa, bisogna “immettere il volere nel pensare”.
E perché Steiner afferma allora che “la volontà entra nella coscienza ordinaria solo attraverso il pensiero”? Nel pensare ordinario c’è già forse il volere?
Certo che c’è; se non ci fosse, il pensare non si muoverebbe e, non muovendosi, non potrebbe giudicare (collegando soggetto a predicato), calcolare o far di conto: cose che mostra di saper fare invece egregiamente.
Non si tratta quindi di stabilire se all’interno del pensare ordinario vi sia o non vi sia il volere, quanto piuttosto di distinguere la qualità del volere che muove il pensare rappresentativo da quella del volere che muove il pensare immaginativo.
Intendiamoci, il volere dell’Io è uno: un conto, però, è che si muova sul piano fisico (nello spazio), altro che si muova sul piano eterico (nel tempo). Sul piano fisico (del pensare rappresentativo) si muove infatti in modo discreto o discontinuo, al pari di un robot (o di un impulso nervoso, frazionato dalle sinapsi), mentre sul piano eterico (del pensare immaginativo) si muove in modo fluido o continuo, al pari degli arti umani o del sangue (non dimentichiamo che il corpo umano è composto per più del 90 % di acqua).
Mai sarebbe nata, dunque, una vera scienza del mondo inorganico, se il pensare non avesse imparato a muoversi meccanicamente, così come mai nascerà una vera scienza del mondo organico se non imparerà a muoversi anche immaginativamente.

Domanda: Non ho capito se nell’odierno pensiero scientifico c’è o non c’è il volere.
Risposta: C’è, ma ha la caratteristica, come ho appena detto, di muovere il pensiero in modo discreto o algoritmico, e di poter così conoscere la realtà della morte, ma non quella della vita.

Domanda: Non mi è ancora chiaro che cosa sia il volere nel pensare.
Risposta: È il movimento del pensare: quel movimento ch’è possibile sperimentare per mezzo dell’esercizio della concentrazione.
Quando calcoliamo, ad esempio, che A più B è uguale a C o che A per B è uguale a D, non muoviamo forse, ragionando, il pensiero? Ma lo facciamo allo stesso modo in cui lo muoviamo quando vogliamo interpretare magari un sogno? No, di certo. Nel primo caso, infatti, seguiamo o assecondiamo la logica statica (spaziale) che governa il creato o il divenuto; nel secondo, invece, seguiamo o assecondiamo la logica dinamica (temporale) che governa il creare o il divenire. Una cosa è quindi il movimento o il processo, altra la sua qualità.
Non a caso, Steiner propone, per la “preparazione” (precedente l’“illuminazione” e l’“iniziazione”), di “cominciare col dirigere l’attenzione dell’anima su determinati processi del mondo che ci circonda; da un lato, sulla vita germogliante, crescente e fiorente; dall’altro, su tutti i fenomeni connessi con l’appassire, lo sfiorire e il morire” (1): su processi, dunque, di qualità non solo diversa, ma addirittura opposta.

Riprendiamo il discorso.
Teniamo presente ch’è solo avendo ben chiara la differenza tra la qualità del volere che muove il pensare rappresentativo e quella del volere che muove il pensare immaginativo ch’è possibile comprendere come Arimane entri in azione in veste di ostacolatore non quando il pensare si muove meccanicamente (tant’è che in Galilei – rivela Steiner – “risplendeva il corpo eterico del Cristo”) (2), ma quando pretenderebbe, servendosi di questo pensare (quantitativo), di comprendere e spiegare la vita (nonché l’anima e lo spirito).
“La coscienza ordinaria – dice Steiner – può però riferirsi solo a ciò che è percepibile ai sensi”. Nel pensare ordinario, c’è dunque il volere, ma un volere che lo porta a considerare solo ciò che percepiscono i sensi (fisici).
“Anche della propria volontà – continua – essa [la coscienza ordinaria] afferra solo quel tanto che ne penetra nel mondo sensibile della percezione”. E che cosa “ne penetra nel mondo sensibile della percezione”? In primo luogo, l’attenzione. Ricorderete, infatti, che quando ci occupammo de La filosofia della libertà (3), vedemmo che il darsi di una chiara immagine percettiva dipende, vuoi dall’intensità dello stimolo dell’oggetto, vuoi dall’intensità dell’attenzione del soggetto, e che l’attenzione è segno della presenza, tanto del volere nel pensare, quanto dell’Io nel volere.
Oggi, però, della volontà non si sa più nulla (giacché viene fatto carico di tutto al cervello), e nemmeno si afferra, perciò, “quel tanto che ne penetra nel mondo sensibile della percezione” (nell’”atto percettivo”).
Nella coscienza ordinaria, conclude Steiner, “l’uomo sa dei suoi impulsi volitivi solo mediante l’osservazione rappresentativa di se stesso, come solo mediante l’osservazione sa del mondo esterno”.
Che cosa significa? Che la coscienza ordinaria sa non della realtà della volontà, ma soltanto della sua rappresentazione.
Mi sembra di aver già detto, a questo proposito, che Schopenhauer ha intitolato la sua opera principale: Il mondo come volontà e rappresentazione (4), ma che, stando così le cose, avrebbe fatto meglio a intitolarla: Il mondo come rappresentazione della volontà e rappresentazione.
Immaginate, per fare un banale esempio, di sollevare una sedia. Siete consapevoli ch’è stata la vostra volontà a permettervi di farlo, ma non siete affatto consapevoli del come questa vostra intenzione si sia tradotta in atto. Si tratta dunque di un fatto del quale conoscete il principio e la fine, ma non quel che c’è nel mezzo.

92) “Il karma che agisce nella volontà è una qualità inerente ad essa e proveniente da vite terrene precedenti. Non può quindi essere afferrata per mezzo delle rappresentazioni dell’esistenza sensibile ordinaria che sono volte esclusivamente alla vita terrena attuale”.

Abbiamo detto, poco fa, che la qualità del volere che muove il pensare rappresentativo è diversa dalla qualità del volere che muove il pensare immaginativo. E che cosa dice adesso Steiner? Che “Il karma che agisce nella volontà è una qualità inerente ad essa e proveniente da vite terrene precedenti”.
Fate attenzione a questo ”inerente ad essa”.
Abbiamo anche detto, infatti, che il volere dell’Io è uno, ma che un conto è che si muova sul piano fisico, altro che si muova sul piano eterico. Il che significa che la qualità discreta (rappresentativa) o continua (immaginativa) del suo movimento non è, a differenza di quella del karma, “inerente ad esso” (“congenita”), bensì condizionata dal piano sul quale si muove (“acquisita”).
Sulla terra ad esempio camminiamo, mentre nell’acqua nuotiamo: è sempre l’Io a muoversi, ma il modo in cui lo fa dipende dalla natura dell’elemento o della realtà in cui si muove. Così è per il pensare: assume carattere rappresentativo quando è chiamato a muoversi (con Arimane) sul piano fisico, mentre assume carattere immaginativo quando è chiamato a muoversi (con Michele) sul piano eterico.
Le qualità di questi movimenti del volere nel pensare, in quanto non “inerenti ad esso”, non sono dunque espressione del karma.

Domanda: E il movimento di Lucifero?
Risposta: Il movimento del pensare luciferico, in quanto “pre-corticale”, e non “post-corticale” come quello michaelita, è fluido e continuo, ma sognante, fantasioso, visionario, e non immaginativo.
L’Io, insomma, per poter liberamente “volere la volontà” di Michele (“sia fatta la Tua volontà”), deve emanciparsi, prendendone in primo luogo coscienza, sia dalla volontà di Lucifero, attiva nella sfera del sogno, sia da quella di Arimane, attiva nella sfera del sonno.

93) “Poiché queste rappresentazioni non possono afferrare il karma, relegano l’incomprensibile che si fa loro incontro dagli impulsi volitivi umani nell’oscurità mistica della costituzione corporale; esso è invece l’effetto di vite terrene precedenti”.

Avrete notato che quando un adolescente ha delle difficoltà o si comporta male, si è subito portati, sulla scia di quelle teorie psicologiche o psico-pedagogiche che pongono unilateralmente l’accento sul cosiddetto “condizionamento ambientale”, a darne la colpa ai genitori, così che questi si vedono costretti a sopportare, oltre al dolore procurato loro dal figlio, anche quello derivante da tale collettivo e impietoso “j’accuse”.
Si dovrebbe invece dire, agli uni: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra” e, agli altri: “Ci sono genitori migliori di voi che hanno figli peggiori dei vostri, e ci sono genitori peggiori di voi che hanno figli migliori dei vostri”.
Fatto si è che tali teorie ignorano che, con l’emergere dell’individualità, emerge (in specie dopo il secondo settennio) un destino o un karma che avrebbe bisogno di essere saggiamente e amorevolmente compreso, gestito e orientato nella direzione di una crescita e di una maturazione umana.
Non ci si deve pertanto accontentare delle teorie o delle spiegazioni di quegli esperti che quasi sempre mostrano, soprattutto sulla stampa, di sapere tanto e di capire poco (il cosiddetto “disagio giovanile”, tanto per dirne una, tra il 1950 e il 1970 lo consideravano effetto del miracolo economico, mentre adesso lo considerano effetto della crisi economica. Se fossero capaci di autoironia, potrebbero dirsi quel che Indro Montanelli avrebbe voluto quale suo epitaffio: “Spiegava agli altri ciò ch’egli stesso non capiva”).
Ve lo dico con tutto il cuore: mai sarei arrivato all’antroposofia, se mi fossi accontentato delle teorie o delle spiegazioni che oggi passa (a tutti i livelli) il mercato.
Si dice: “Chi si accontenta gode”. Sarà vero, forse, sul piano materiale, ma non di certo su quello spirituale.
Come sapete, Kant ha scritto ben tre “critiche”: quella della “ragion pura” (5); quella della “ragion pratica” (6); quella “del giudizio” (7). Ma le ha scritte perché pensava, e non perché fosse un “criticone”, alieno dalla positività.
Per prendere “criticamente” le distanze dalle teorie o dalle spiegazioni degli odierni esperti, che collezionano i pensieri come altri collezionano i francobolli o le figurine, dobbiamo imparare dunque a pensare (meglio ancora, s’intende, di Kant).
Osserva appunto Steiner: “Possediamo una molteplicità di nozioni, ma abbiamo bisogno di un sapere unitario, che possa irraggiarsi in tutti i singoli campi dello scibile, e che ai singoli campi dello scibile possa conferire dei valori. Questo vuol essere l’antroposofia” (8).
Fatto sta che una cosa è l’informazione (quantitativa), altra la formazione (qualitativa), e ch’è soltanto su un orizzonte sgombro dalle nuvole della superficialità, del pressapochismo o della menzogna, che può affacciarsi la realtà: quella, nel caso specifico, del karma o di una volontà ch’è “effetto di vite terrene precedenti”.
Vi propongo, al riguardo, la seguente meditazione (9):

Vittorioso Spirito
Infiamma la debolezza
Delle anime timorose.
Brucia l’egoismo,
Accendi la compassione,
Che l’altruismo,
Linfa vitale dell’umanità,
Sgorghi quale sorgente
Della rinascita spirituale.

Note:

1) R.Steiner: L’iniziazione – Antroposofica, Milano 1971, p. 37;
2) R.Steiner: Economia spirituale e reincarnazione – Antroposofica, Milano 2008, p. 194;
3) cfr. R.Steiner: La filosofia della libertà – Antroposofica, Milano 1966:
4) cfr. A.Schopenhauer: Il mondo come volontà e rappresentazione – Mursia, Milano 1991;
5) cfr. I.Kant: Critica della ragion pura – Laterza, Bari 1966;
6) cfr. I.Kant: Critica della ragion pratica – Laterza, Roma-Bari 1997;
7) cfr. I.Kant: Critica del giudizio – TEA, Milano 1995;
8) R.Steiner: Sapere terreno e conoscenza celeste – Antroposofica, Milano 2011, p. 95;
9) R.Steiner: Indicazioni per una scuola esoterica – Antroposofica, Milano 1999, p. 95.

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Di Lucio Russo
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