Massime antroposofiche
109/110/111 – 1°

M

Prima di cominciare a leggere questa lettera, intitolata: Le esperienze e le vicende di Michele durante il compimento della sua missione cosmica (26 ottobre 1924), sarà bene, anticipando quanto dirà la massima 112, avere sotto gli occhi questo schema:

Entità divino-spirituale …….………………………… Io sono….……………………. essere
Manifestazione dell’Entità divina ……………… mondo astrale ……………. qualità
Effetto operante dell’Entità divina .………….. mondo eterico ……………. tempo
Opera compiuta dell’Entità divina ………….. mondo fisico ……………… spazio

Dalla Entità divino-spirituale (alla quale Unger fa corrispondere, come ho già detto, anziché l’”essere”, il “per-essenza”) (1) discendono, sia la manifestazione (cui possiamo far anche corrispondere, con Unger, la “causalità”), sia l’effetto operante, sia l’opera compiuta.
Abbiamo visto che quest’ultima è la spoglia dell’Entità divino-spirituale, e quindi una realtà che, prima di essere morta, è stata viva e animata.
L’Entità che la rendeva un tempo tale si è però trasferita nell’uomo (nell’Io), e rende ora inconsciamente viva e animata la conoscenza (scientifica) della propria spoglia. Lo riprova il fatto, rivelato da Steiner, che in Galilei, cioè proprio nell’indagatore per antonomasia dell’opera compiuta, risplendeva il corpo eterico del Cristo (massima 21).
Ma cominciamo a leggere.

Si può seguire dal punto di vista dell’umanità il progredire dell’umanità stessa dal gradino della coscienza, sul quale l’uomo si sente membro dell’ordinamento divino-spirituale, fino al gradino attuale sul quale egli si sente un’individualità staccata dal divino-spirituale, in possesso dell’uso autonomo dei pensieri. Lo abbiamo fatto nella lettera precedente” (p. 80).

Mi avete sentito dire, altre volte, che un aspetto, diciamo così, “positivo” della psicoanalisi freudiana (ma anche, benché in forma diversa, di quella junghiana, come dimostra il lavoro di Neumann che ho già ricordato – lettere 7/9/1924 e 19/10/1924) è costituito dal fatto che l’individuazione e la distinzione delle fasi (“orale”, “anale”, “genitale”) attraversate dal processo evolutivo della libido consente di vedere, nelle nevrosi e nelle psicosi, una “fissazione” o una “regressione” di tale processo a uno dei livelli precedenti quello della normale “genitalità”.
So bene, ci mancherebbe, che Freud distingue le fasi di una presunta evoluzione biologica o biochimica dell’energia “psico-sessuale”, mentre Steiner distingue le fasi (indicate nello schema) della reale evoluzione animico-spirituale del mondo e della coscienza umana.
Ove provassimo ciò nondimeno a porre (cum grano salis), al posto di quella “orale”, la fase dell’anima senziente, che si appropria, percependo, dei contenuti del mondo, al posto di quella “anale”, la fase dell’anima razionale-affettiva, che elabora interiormente, giudicando, i contenuti assunti dall’anima senziente, e, al posto di quella “genitale”, la fase dell’anima cosciente, che riporta al mondo, conoscendo, i frutti di quanto assunto dalla prima ed elaborato dalla seconda, disporremmo di un criterio per valutare il grado di maturazione (individuale e collettivo) raggiunto dall’anima.
(A chi, ignorando, sia il modo in cui Steiner caratterizza i gradi dell’evoluzione animica nelle prime pagine di Metamorfosi della vita dell’anima [2], sia il fatto che, per “inalare il male ed esalare il bene”, bisogna cominciare con l’”inalare l’errore ed esalare la verità”, dovesse stracciarsi le vesti per un accostamento del genere, mi limito a ricordare due sole affermazioni di Steiner: a) “Una facoltà umana di cui l’uomo nulla sapesse non verrebbe riconosciuta come sua, ma attribuita a un ente a lui estraneo” [3], ch’è il concetto psicodinamico di proiezione; b) “Nel momento stesso in cui l’uomo lo esilia dalla propria coscienza, lo spirito solleva le sue esigenze nell’inconscio” [4], ch’è il concetto psicodinamico di rimozione.)
Dice Steiner che l’uomo, durante la prima fase (quella dell’Entità divino-spirituale), si sente “membro dell’ordinamento divino-spirituale”, mentre durante l’ultima (quella dell’opera compiuta), si sente “un’individualità staccata dal divino-spirituale, in possesso dell’uso autonomo dei pensieri”.
Ricordiamoci che il processo creativo è l’inverso di quello conoscitivo. Gli Dèi infatti creano, per così dire, “dall’alto in basso” (dall’Entità all’opera compiuta), mentre gli uomini conoscono “dal basso in alto” (dall’opera compiuta all’Entità).
Abbiamo visto (nella lettera precedente) che l’uomo è stato dapprima in contatto diretto con le entità divino-spirituali, poi di fronte alla loro manifestazione animica, e poi ancora di fronte alla loro manifestazione mitica o immaginativa.
L’uomo è quindi passato da un contatto diretto con tali entità a un rapporto indiretto, in quanto mediato, in una prima fase, dall’elemento qualitativo (astrale), e, in una seconda fase, da quello vivente (eterico); questi, benché mediati, erano dunque dei rapporti animati e vivi con le entità divino spirituali.
Abbiamo anche visto, però, che l’uomo è passato infine dalla manifestazione mitica o immaginativa di tali entità, alla loro rappresentazione sensibile, e quindi a uno stato di totale oblio della loro realtà sovrasensibile.
A questo livello, infatti, il rapporto dell’uomo con le entità divino-spirituali diviene a tal punto indiretto e inconscio da ingenerargli “il sentimento di essere l’artefice delle idee, e che soltanto le percezioni gli giungono dal di fuori”.
Nella loro ultima e più bassa manifestazione, tali entità, in quanto riflesse dal cervello fisico, non vengono più dunque riconosciute come tali. Il loro riflesso corticale non ha infatti vita, né anima, né spirito: è solo un’ombra o, per essere più precisi, un non-essere.
Un non-essere al quale dobbiamo però la nostra libertà (“da”). Nella medesima misura in cui il pensiero perde forza, acquista infatti forza, come abbiamo visto, la nostra volontà personale (il fiat voluntas mea).

Mediante la veggenza soprasensibile, si può però anche tracciare un quadro di ciò che Michele e i suoi sperimentano durante questa corrente di evoluzione, si può cioè descrivere il medesimo ordine di fatti dal punto di vista di Michele. Questo vogliamo tentare ora” (p. 80).

Il punto di vista dell’umanità è quello del pensiero e della coscienza: ossia quello riassunto nella massima 103; il punto di vista di Michele è invece quello indicato nello schema. Ove volessimo illustrare le corrispondenze tra l’uno e l’altro, dovremmo allora porre, accanto alla Entità divino-spirituale, l’intuizione (incosciente), accanto alla manifestazione, l’ispirazione (subcosciente), accanto all’effetto operante, l’immaginazione (precosciente), e accanto all’opera compiuta, la rappresentazione (cosciente).
Ci si confermerebbe, così, che la coscienza rappresentativa o intellettuale (che ci permette di conoscere quanto, divenuto nel tempo, giace ormai nello spazio) si accende (naturalmente) solo sul piano dell’opera compiuta: sullo stesso piano, cioè, sul quale si accende l’autocoscienza e nasce la libertà (“da”).
Siamo dunque dei “neonati” e, come tali, dobbiamo affrontare una vita e dei compiti. E qual è il primo? Lo abbiamo detto: quello di ripercorrere a ritroso, seguendo Michele, tutto il tragitto della creazione, portando così alla coscienza quanto di norma sperimentiamo a diversi gradi d’incoscienza.
Rileggiamo la massima 106: “Michele riascende le vie che l’umanità ha discese sui gradini dell’evoluzione dello spirito fino all’esplicazione dell’intelligenza. Solo che Michele guiderà la volontà a riascendere le vie che la saggezza ha discese fino al suo ultimo gradino, l’intelligenza”.

Innanzi tutto vi è l’epoca più antica in cui veramente si può parlare soltanto di ciò che si svolge fra entità divino-spirituali. Si ha a che fare con continue azioni fra gli dèi. Entità spirituali compiono ciò che viene loro suggerito dagli impulsi della loro essenza; esse sono corrispondentemente soddisfatte in tale attività. Quello che importa è soltanto ciò che esse sperimentano in tali vicende. Soltanto in un angolo, nel campo delle azioni divine, si può rilevare qualcosa che è l’umanità. Essa è una parte nell’agire divino” (p. 80).

Riguardo a questo, non posso far altro che rimandarvi a quanto illustrato da Steiner nel capitolo de La scienza occulta dedicato a L’evoluzione del mondo e dell’uomo (5) e al ciclo di conferenze intitolato: L’evoluzione secondo verità (6).
(Chi studia i “cicli di conferenze – scrive Steiner -, ricordando dai titoli il contenuto dei singoli cicli, e poi si accosta alle Massime, si accorgerà di trovare in diversi punti di tali cicli di conferenze ciò che sviluppa ulteriormente le Massime. Rileggendo e ricollegando ciò che i singoli cicli di conferenze contengono separatamente, si potranno trovare i punti di vista partendo dai quali si potrà parlare intorno alle Massime” [7].)

Però l’entità spirituale, che fin dal principio ha rivolto il suo sguardo all’umanità, è Michele. In certo modo egli organizza le azioni degli dèi in modo che in un angolo cosmico possa sussistere l’umanità. E il genere di attività che egli compie a questo scopo è affine all’attività che più tardi si manifesta nell’uomo come intelletto; quell’attività si manifesta però come forza che fluisce attraverso il cosmo in idee ordinatrici che producono realtà. In quella forza agisce Michele. È suo ufficio amministrare l’intelligenza cosmica. Egli vorrebbe un ulteriore progresso nel suo campo. Tale progresso può consistere soltanto nel fatto che l’intelligenza, attiva in tutto il cosmo, si concentri più tardi nell’individualità umana. Ne deriva di conseguenza che nell’evoluzione del mondo giunge un’epoca in cui il cosmo non vive più della sua intelligenza presente, ma della sua intelligenza passata; e l’intelligenza presente è nella corrente dell’evoluzione umana” (pp. 80-81).

Dell’intelligenza cosmica presentemente attiva nella corrente dell’evoluzione umana abbiamo finora fatto nostra soltanto la parte che riguarda il mondo inorganico, tanto che, nell’ambito di questa, siamo diventati perfino creativi. Che cosa sono infatti i prodotti della tecnica, se non appunto il risultato di una creatività esercitata nella sfera della morte?
(Pensando alle armi, in specie agli ordigni nucleari, dovremmo tuttavia dar ragione a Berdjaev, quando scrive: “L’uomo è creatore non solo in nome di Dio, ma anche in nome del diavolo” [8].)
Ciò significa che gli Dèi hanno passato all’uomo la gestione della morte, continuando ad amministrare la vita, l’anima e lo spirito. Sarebbe però nostro compito appropriarci anche di questi superiori livelli, per poter così ri-creare la vita, l’anima e lo spirito (“In futuro […] la natura umana, accogliendo il principio del Cristo, sarà sempre più approfondita e accoglierà sempre più luce e amore entro il suo stesso essere, tanto che dovrà percepire la luce e l’amore come qualcosa che le è proprio”) (9).
E’ ufficio di Michele, dice Steiner, “amministrare l’intelligenza cosmica. Egli vorrebbe un ulteriore progresso nel suo campo. Tale progresso può consistere soltanto nel fatto che l’intelligenza, attiva in tutto il cosmo, si concentri più tardi nell’individualità umana”: è suo ufficio, dunque, concentrare nell’individualità umana, non solo l’intelligenza della morte, ma anche quelle della vita (la sua), dell’anima (della Vergine) e dello spirito (dello Spirito Santo e, per Sua intercessione, del Figlio e del Padre).
(L’antica “sapienza dovette realmente tramontare in tutti i suoi diversi aspetti, perché l’uomo fosse in certo modo costretto a ricominciare da capo, ma tendendo verso la libertà, sia nel sapere, sia nell’azione” [10].)
Ma veniamo all’effetto operante. Ovunque ci sia vita c’è questo effetto; ma effetto di quale causa?
Non so se sapete che, in specie nella seconda metà dell’ottocento, vi fu un acceso dibattito tra quanti sostenevano che la natura fosse “creatrice” e quanti invece sostenevano che fosse ormai “conservatrice”, e andasse perciò avanti per sola “forza d’inerzia”.
Ebbene, quello che Steiner chiama effetto operante è per l’appunto questa “forza d’inerzia”: ossia una forza (di vita) che, avendo avuto la sua origine (la sua causa) nel passato, è un creato, e non un creante.
(Scrive Rüdiger Safranski: “L’età moderna sviluppa il concetto d’una natura che conserva se stessa, che non ha più bisogno di un Dio. Durante un periodo di transizione ci si era ancora attenuti al principio della creazione, ma sotto forma dell’ipotesi dell’orologiaio. Dio ha costruito l’orologio, l’ha dotato di un meccanismo, e quello ora va: come un perpetuum mobile appunto, per dirla con Novalis” [11].)
Fatto si è che il creante (il Creatore), nel momento stesso in cui il “Verbo si è fatto carne” (“Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui, neppure una delle cose create è stata fatta” – Gv 1,3), si è trasferito nell’uomo, così che, da allora in poi, fosse l’uomo (non più la natura, ma la storia) a portare avanti l’evoluzione (“La creazione – scrive Paolo – attende con gran desiderio la glorificazione dei figli di Dio” Rm 8,19).

Michele vorrebbe mantenere continuamente in contatto con gli esseri divino-spirituali l’intelligenza che va così sviluppandosi in seno all’umanità.
Ma a questo si oppone una resistenza. L’evoluzione che gli dèi compiono, seguendo la linea del distacco dell’intellettualità dalla loro attività cosmica fino al suo innesto nella natura umana, è un fatto svolgentesi apertamente nel mondo. E se vi sono esseri dotati di una facoltà percettiva che consenta loro di vedere questi fatti, essi possono servirsene a loro vantaggio. Simili esseri esistono realmente; sono le entità arimaniche. Esse hanno la disposizione ad assorbire in sé tutta l’intelligenza che si distacca dagli dèi. Hanno la disposizione a riunire nel proprio essere la somma di tutta l’intellettualità. Diventano così le massime, le più vaste e penetranti intelligenze del cosmo
” (p. 81).

Ascoltate queste parole di Berdjaev: “Non è l’uomo che esige da Dio la sua libertà, ma è Dio che esige che l’uomo sia libero, perché in questa libertà vede il segno della dignità dell’uomo, creato a sua immagine” (12).
Si può però “esigere” la libertà solo dopo che la si sia creata (checché ne pensi Berdjaev, che la giudica, anteponendola all’essere, “increata” e “radicata nel nulla iniziale”), e non la si può creare senza che il male ne approfitti.
(“Per nulla al mondo – scrive – voglio essere liberato da Dio; io voglio essere libero in Dio e per Dio” [13]. Gli sfugge, dunque, che solo chi sia stato prima “liberato da Dio” – dal Padre – può poi “essere libero in Dio” – nel Figlio – e “per Dio” – nello Spirito Santo. E’ questo uno dei motivi che hanno determinato, in Berdjaev, la totale incomprensione dell’antroposofia, come dimostra, in modo perfino imbarazzante, ciò che scrive nell’ottavo capitolo della Filosofia dello spirito libero. Le radici di tale incomprensione affondano nell’ingenuità della sua posizione gnoseologica, come testimoniato ad esempio da questo passo: la passività “può appartenere allo spirito solo nella percezione e nella ricezione di oggetti appartenenti al mondo empirico esteriore, poiché per concepire e riconoscere tali oggetti non è necessaria la libera attività dello spirito” [14]. In ogni caso, a chi volesse farsi un’idea di ciò che ha significato, per il mondo spirituale, la creazione della libertà umana, consiglierei un attento ascolto de L’anello del Nibelungo di Richard Wagner.)
Sappiamo che mèta dell’evoluzione terrestre è l’amore, ma sappiamo pure che non può darsi amore se non si dà libertà, e che non può darsi libertà se non si è pronti, come abbiamo appena detto, ad affrontare il male (per crucem ad lucem).
A differenza dei minerali, delle piante e degli animali che esistono come sono e sono come esistono (massima 4), noi siamo sempre inquieti e insoddisfatti (guarire, diceva Freud, significa trasformare una sofferenza acuta in quella insoddisfazione cronica che appare propria del genere umano); questo stato, però, non è che il sintomo o il segno di un compito che non può e non deve più rimanere incosciente.
E’ di questo che approfitta infatti Arimane: “Qui c’è un essere – possiamo immaginare che si dica – che non solo non è più protetto e governato dagli Dèi, ma che dispone pure di una intelligenza simile, ma inferiore, alla mia, e della quale posso perciò servirmi per cercare di piegarlo ai miei fini”.
Ecco come si può arrivare a pensare, oggigiorno, che l’uomo “più ha cervello, più è intelligente”, e che “più è intelligente, più è uomo” (diceva Fichte: “E’ più facile indurre un individuo a credersi un pezzo di lava della luna che un vivo Io”).
Teniamo infine presente che Arimane si presenterà (tra non molto) non come un diavolo con le corna e il forcone, bensì come un benefattore che darà agli uomini tutto ciò che desiderano, togliendo loro però la libertà.
E’ quanto hanno intuito e profetizzato Dostoevskij, ne Il grande inquisitore (15), e Solov’ev, nel Breve racconto dell’anticristo (16).

Michele prevede che l’uomo, procedendo sempre più verso l’uso autonomo dell’intelligenza, debba incontrarsi con gli esseri arimanici, e che egli possa in seguito diventare loro preda, legandosi con loro. Perciò Michele mette sotto i piedi le potenze arimaniche, e continuamente le incalza, respingendole in una sfera sottostante a quella dove l’uomo si evolve. Michele con il drago sotto i piedi mentre lo spinge nell’abisso: questa è la poderosa immagine, vivente nella coscienza umana, dei fatti soprasensibili qui descritti” (pp. 81-82).

Sapete che cosa mi disse una volta Scaligero? Che Michele non lo si può pregare. E perché? Perché il “pregante” si aspetta qualcosa dal “pregato” (che so, una grazia), mentre Michele si aspetta qualcosa da noi: si aspetta, cioè, che per nostra libera iniziativa gli si vada incontro e lo si emuli.
Dice Steiner: “Michele con il drago sotto i piedi mentre lo spinge nell’abisso: questa è la poderosa immagine, vivente nella coscienza umana, dei fatti soprasensibili qui descritti”.
Anche noi dovremmo pertanto imparare a metterci sotto i piedi e a spingere nell’abisso la menzogna.
Scrive Jean-Francois Reveĺ: “La prima di tutte le forze che governano il mondo è la menzogna” (17); e Berdjaev ribadisce: “L’amore per la verità è la virtù fondamentale e il mondo ha bisogno soprattutto di questo. Il mondo si è talmente incancrenito nella menzogna da aver perso il criterio di verità” (18).
A tal fine, dovremmo alimentare, tenacemente, tale “poderosa immagine” di Michele con il pensiero e la coscienza, e il pensiero e la coscienza con tale “poderosa immagine”.

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Di Lucio Russo
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