Massime antroposofiche
112/113/114 – 2°

M

In una simile vita l’uomo perderebbe il Cristo, perché il Cristo è venuto nel mondo con un’intellettualità che è ancora quale viveva un tempo nel divino-spirituale, allorché questo ancora nella sua entità formava il cosmo. Se oggi parliamo in modo che i nostri pensieri possano essere anche quelli del Cristo, opponiamo alle potenze arimaniche qualcosa che ci preserva dal divenire loro preda” (p. 87).

Come vedete, viene qui detto esplicitamente che il Logos, facendosi “carne”, ha riportato agli uomini, viventi nella sfera dell’opera compiuta, l’Entità divino-spirituale, unitamente alla santità e alla forza dell’intellettualità originaria.
Arimane sa che questa forza è in grado di vincerlo (“Io ho vinto il mondo”) e s’industria allora, in tutti i modi, affinché gli uomini, che potrebbero liberamente tradurla da potenza in atto (da forza del Figlio di Dio in forza del Figlio dell’uomo), ne ignorino la realtà e la presenza.
A tal fine, provvede a “vaccinarli” fin dalla più tenera età, non tanto insegnando loro che il Cristo non esiste (e ch’è esistito, semmai, solo l’uomo Gesù), quanto piuttosto stimolandoli a sviluppare il più precocemente possibile (per mezzo, magari, dell’uso dei computer nella scuola primaria) una intellettualità che, essendogli affine, li porti, sua sponte, a non comprendere o a ignorare la realtà (spirituale e solare) del Cristo.
Sappiamo, però, che chi non comprende o ignora la realtà del Cristo, non comprende o ignora la realtà dell’uomo, e non è quindi in grado di accorgersi che quanto oggi ci circonda, intelligente o meno che sia, è sempre meno umano.
Torniamo, ad esempio, al problema degli embrioni. Come abbiamo visto, c’è chi pensa (scomodando perfino Aristotele) che l’embrione non sia un essere umano. Ma per quale ragione la pensa così? La pensa così, non perché non sia “intelligente” (anzi), ma perché la sua intellettualità, sganciata dal sentire umano, è stata inconsciamente agganciata dal sentire-non-sentire delle “potenze arimaniche”.
Ho detto dal “sentire-non-sentire, ma avrei potuto anche dire dall’”anima-non-anima” di tali potenze. Il che è significativo, giacché è proprio la presenza del Cristo nell’anima a permetterci di purificarla e nobilitarla, preparandola così all’avvento dello Spirito Santo (18).
“E’ l’anima – scrive Scaligero – che esige la Resurrezione, non lo spirito, che non è mai caduto e ha solo il compito di sapersi spirito: di esserlo” (19).
Il Cristo è infatti in noi (nell’Io), ma l’anima (la psiche ordinaria) non è con l’Io, e ciò fa sì che il corpo (la nostra vita terrena) non sia quindi per l’Io (“In Cristo, con Cristo, per Cristo”).

Domanda: Che differenza c’è tra l’intellettualità sganciata dal sentire umano e quella agganciata dalle potenze arimaniche?
Risposta: Abbiamo detto, una sera, che un conto è il pensare astratto, quello della matematica (della geometria o della logica), altro il pensare concreto, quello della matematica applicata alla realtà inorganica, e altro ancora il pensare riduttivo, quello del pensare concreto applicato non solo alla realtà inorganica, ma anche a quelle della vita dell’anima e dello spirito.
Il pensare concreto (ad esempio quello della fisica classica) in quanto sganciato dal sentire umano (in quanto cioè “impersonale”), ma agganciato al sensibile, è scientifico, mentre quello riduttivo, in quanto sganciato e dal sentire umano e dal sensibile (giacché la vita, l’anima e lo spirito sono extrasensibili), è intellettualistico (scientistico o ideologico).
Va aggiunto che quest’ultimo apre la strada a potenze ancor più temibili di quelle arimaniche (poiché provenienti dal sub-Devachan superiore): ossia a potenze che lo rafforzano volitivamente (come nel caso, ad esempio, della fisica sub-atomica o nucleare), mutandolo così in una forza distruttiva che scinde, smembra, disgrega o disintegra.
Tieni presente, a questo proposito, che Lucifero si è insinuato nell’anima senziente, Arimane nell’anima razionale, e “nell’epoca che ora verrà – dice Steiner – saranno delle entità denominate gli Asura che si insinueranno nell’anima cosciente, e perciò in quello che chiamiamo l’io dell’uomo (perché l’io sorge nell’anima cosciente)” (20).

Domanda: Perché il Cristo viene detto “Figlio dell’uomo”?
Risposta: Pensa all’inno alla Vergine, messo in bocca, da Dante, a Bernardo di Chiaravalle: “… tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”, e prova a dirlo in quest’altro modo: “… tu sei colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che il Figlio di Dio / non disdegnò di farsi Figlio dell’uomo”.
Come una madre porta in sé il bambino per darlo poi naturalmente alla luce, così ciascuno di noi porta in sé il Cristo, quale Figlio di Dio, per darlo poi spiritualmente alla luce, quale Figlio dell’uomo.
E’ ovvio che se il Cristo non si fosse “fatto carne”, mai potremmo darlo alla luce, così come mai potrebbe parlare un essere che non ne avesse la pre-disposizione. Non basterebbe però che l’avesse, dovrebbe anche e-ducarla: ossia portarla o tirarla fuori.
Il problema è tutto qui. Il Cristo è nel nostro spirito (nell’Io), ma, dal momento che non lo portiamo nella nostra anima e nel nostro esistere, è come se non ci fosse.
Come vedi, non aveva torto, Nietzsche, nell’affermare, l’ho ricordato una sera, che si sarebbe ricreduto se avesse visto negli occhi dei cristiani la gioia di essere dei redenti.

Domanda: Non mi è ancora chiaro questo passo: “L’uomo mette il suo divino-spirituale, conservato da tempi anteriori, in rapporto con le stelle che hanno in sé il loro divino-spirituale soltanto come effetto di un’epoca passata. Così, nel rapporto dell’uomo col mondo, entra un elemento divino che corrisponde a epoche precedenti ma che appare in tempi successivi”.
Risposta: Il divino-spirituale che le stelle “hanno in sé”, quale manifestazione in cui non è più attiva l’Entità divino-spirituale, rappresenta il passato. Il divino-spirituale che è nell’uomo, cioè a dire quel Verbo “conservato da tempi anteriori”, ossia dal “principio” (“In principio, era il Verbo”), rappresenta invece il presente e il futuro. Mettere in rapporto il divino-spirituale dell’uomo con il divino-spirituale delle stelle, vuol dire dunque armonizzare il presente e il futuro con il passato.
“Anticamente – dice Steiner – questa armonia si stabiliva da sé”: “si stabiliva da sé” perché l’uomo non era ancora separato o diviso dalla manifestazione, bensì era nella manifestazione e la manifestazione era nell’Entità divino-spirituale (dice appunto Steiner: “Perché il divino-spirituale [l’Entità] operava nelle stelle nelle quali aveva la sua sorgente anche la vita umana”).
Per quanto riguarda l’affermazione che “così, nel rapporto dell’uomo col mondo, entra un elemento divino che corrisponde a epoche precedenti ma che appare in tempi successivi”, ho già ricordato quel che disse il Cristo ai giudei: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, io sono”.
Il Cristo che s’incarna dopo Abramo (“in tempi successivi”) era dunque prima di Abramo (in “epoche precedenti”).
Ho già detto, una sera, che uno dei tanti compiti che abbiamo è quello di stabilire un sano e fecondo rapporto tra il passato, il presente e il futuro, dal momento che in qualità di corpo fisico (di costituzione), di corpo eterico (di temperamento) e di corpo astrale (di carattere), siamo frutto del nostro passato, mentre in qualità di Io siamo un presente ch’è il germe, in quanto inabitato dal Cristo, del nostro futuro.
Dunque, come dobbiamo mettere il nostro “divino-spirituale, conservato da tempi anteriori, in rapporto con le stelle che hanno in sé il loro divino-spirituale soltanto come effetto di un’epoca passata”, così dobbiamo mettere l’Io (in cui è l’Entità divino-spirituale) in rapporto con il corpo fisico, con il corpo eterico e con il corpo astrale “che hanno in sé il loro divino-spirituale soltanto come effetto di un’epoca passata”.

Riprendiamo la lettura.

Comprendere il senso della missione di Michele nel cosmo vuol dire parlare in questo modo. Oggi si deve poter parlare della natura come lo esige il gradino dell’evoluzione dell’anima cosciente. Si deve poter accogliere in sé il puro pensare scientifico, ma si dovrebbe anche imparare a parlare – cioè a sentire – intorno alla natura nel modo che è conforme al Cristo. Dobbiamo imparare a parlare il linguaggio del Cristo, non solo intorno alla liberazione dalla natura, non solo intorno all’anima e alla Divinità, ma intorno al cosmo” (p. 88).

Vedete questo libro? E’ intitolato: Una scienza senz’anima; ne è autore il genetista Giuseppe Sermonti (21).
Il titolo è interessante, ma non purtroppo il contenuto, giacché Sermonti prende, sì, le distanze dal meccanicismo e dal riduzionismo, ma lo fa più sulla base di un umanistico “buon senso” o di un sano sentimento, che non su quella di un lucido e agguerrito pensiero.
Consideriamo, ad esempio, questo passo: “Questa idea secondo cui la scienza possa assumere da sola la gestione della società, sostituendo i suoi precetti igienici ed economici alla grande ricchezza di un vivere fondato sulla partecipazione viva dell’uomo alla vicenda della natura e dell’universo, è stato chiamato “scientismo” e mi sembra analogo a quello che nel campo religioso abbiamo chiamato “moralismo”. Lungi dall’essere una vera opposizione al moralismo, lo scientismo moraleggia la scienza. Al di sopra di questi limiti, in un emozionante e pericoloso “al di là del bene e del male”, una religione elevata al piano metafisico e una scienza alla ricerca di uno spirito del mondo possono identificarsi, ritornare a essere un’unica cosa” (22).
Ma ha forse senso auspicare che “una religione elevata al piano metafisico e una scienza alla ricerca dello spirito del mondo” possano “ritornare a essere un’unica cosa”, mostrando al tempo stesso d’ignorare la scienza dello spirito: ossia la sola scienza in grado di realizzare un simile auspicio?
Dice ancora Sermonti che la scienza è “un modo di apprendere il mondo” (23): d’accordo, ma qual è questo modo? Che cosa lo rende diverso, ad esempio, da quello filosofico?
E’ impossibile rispondere a questi interrogativi se non si penetra nell’anima e non si osservano i vari rapporti che instaurano, tra loro, il pensare, il sentire e il volere. Abbiamo visto, infatti, che la scienza è nutrita dal “volere nel pensare”, mentre la filosofia è nutrita dal “sentire nel pensare” (al pari, diciamolo pure, di questo lavoro di Sermonti).
Perché vi ho detto questo? Perché possiate constatare, ancora una volta, quanto sia indispensabile opporre, a una scienza senz’anima (arimanica), non un’anima senza scienza (luciferica), bensì (nel nome di Michele) una scienza dello spirito.
Dice Steiner: “Si dovrebbe anche imparare a parlare – cioè a sentire – intorno alla natura nel modo che è conforme al Cristo. Dobbiamo imparare a parlare il linguaggio del Cristo …”.
Il che significa che non dobbiamo lasciare il pensare nelle mani di Arimane, bensì porlo in quelle del Cristo, con l’aiuto appunto di Michele.
(“Lo gnosticismo anticristiano trionfa – scrive Berdjaev – perché il cristianesimo non ritrova la propria gnosi cristiana” [24].)
Non si tratta, insomma, di pensare (nel solito modo) al Cristo, ma di pensare nel Cristo e di pensare col Cristo.
Chi è d’altro canto Michele, se non colui che porta l’amore del Cristo proprio nel pensare?

(…) L’antroposofia apprezza nel suo giusto valore ciò che da quattro o cinque secoli il pensiero scientifico ha imparato a dire sul mondo. Ma al di là di questo linguaggio essa ne parla un altro in merito all’essere dell’uomo, alla sua evoluzione e al divenire del cosmo; essa vorrebbe parlare il linguaggio di Cristo-Michele” (p. 88).

Vedete? “Al di là” del linguaggio della scienza naturale. Abbiamo infatti detto che chi segue seriamente l’antroposofia non solo apprezza in tutto il suo valore quanto la scienza (galileiana) ha fatto e fa nella sfera inorganica, ma si sente anche in vera comunione con il moderno spirito scientifico (“Per chi è penetrato nel vero senso della scienza moderna è chiaro che essa non mina la conoscenza del mondo spirituale, ma invece la sostiene e la assicura”) (25).
E’ in nome di questo spirito che ci si deve perciò battere contro la scienza materialistica che lo usurpa e mortifica ogni volta che si spinge “al di là” del mondo inorganico, con la pretesa di spiegare, in base a questo, i mondi della vita, dell’anima e dello spirito.
(“L’anima cosciente non arriverà mai alla conoscenza, neppure delle cose esteriori, se non si accosta ad esse con amore e dedizione, perché noi passiamo effettivamente davanti alle cose senza avvertirle, se non le avviciniamo con tali sentimenti, cioè con devozione. Questo sentimento è così la guida alla conoscenza dell’ignoto; lo è già nella vita ordinaria e tanto più lo è nei confronti del mondo soprasensibile” [26].)
Immaginate, per fare un banale esempio, d’inforcare degli occhiali con lenti rosse; vedrete tutto rosso: vedrete cioè rosse tanto le cose che sono rosse quanto quelle che non lo sono. Vedendo rosse le cose che sono rosse, vedrete dunque la realtà, mentre vedendo rosse le cose che non lo sono, non vedrete più la realtà, bensì v’illuderete o ingannerete.
Lo stesso vale per l’ordinaria “mente computazionale”: quando pensa in modo morto il mondo morto, pensa la realtà; quando pensa in modo morto i mondi della vita, dell’anima e dello spirito, non pensa più la realtà, bensì si pasce di se stessa, illudendosi o ingannandosi (il che è l’opposto della devozione, giacché questa, come dice Steiner, “deve sgorgare dall’Io e andare verso l’oggetto che si vuol conoscere”) (27).

Se verranno parlati tutti e due i linguaggi, l’evoluzione non potrà infatti interrompersi e cadere in balìa di Arimane prima di aver ritrovato il divino-spirituale originario (…)” (p. 88).

Potrebbe capitare che qualcuno, sentendo dire che si devono parlare “tutti e due i linguaggi”, ritenga che si tratti allora di raggiungere un compromesso tra la scienza spirituale e quella materialistica.
Sarebbe un grave errore, poiché si tratta invece di liberare il pensiero dai sensi, così che sia in grado di pensare in modo attivo la vita, in modo qualitativo l’anima e in modo essenziale lo spirito.
“Quando nel movimento antroposofico – afferma Steiner -, si parla di occuparsi di aspirazioni scientifiche, esse vanno condotte con profonda serietà, in modo da non esporre l’antroposofia al pericolo di deviarla verso la chimica, la fisica, la fisiologia di oggi o verso altre scienze, ma da far fluire le singole scienze nella vera corrente della vivente conoscenza. Si vorrebbe sentire che i chimici, i fisici, i fisiologi, i medici parlassero antroposoficamente [non in senso, ovviamente, terminologico], perché non porta a niente che i singoli scienziati riescano a costringere l’antroposofia a parlare secondo la chimica, la fisica o la fisiologia” (28).
Lo abbiamo detto: ad Arimane non tanto preme che non si parli di vita, di anima e di spirito, quanto piuttosto che se ne parli (se proprio non se ne può fare a meno) allo stesso modo in cui si parla delle cose morte o materiali (come avviene, ad esempio, quando si parla dell’energia come di una “grandezza fisica”, o quando si parla, invece che di pensiero, d’”informazione”).
Vediamo adesso le massime, anche se ci sarà poco o nulla da aggiungere.

112) “Il divino spirituale si afferma variamente nel cosmo attraverso le seguenti tappe: 1° – con la sua propria e n t i t à originaria; 2° – con la m a n i f e s t a z i o n e di quell’entità; 3° – con l’ e f f e t t o o p e r a n t e, quando l’entità si ritrae dalla manifestazione; 4° – con l’ o p e r a c o m p i u t a, quando nel parvente universo non c’è più il divino, bensì unicamente le sue forme”.

113) “Nella concezione attuale della natura, l’uomo non ha un rapporto col divino, bensì unicamente con l’opera di esso. Con ciò che questa concezione comunica alla disposizione della nostra anima, ciascuno può, in quanto uomo, congiungersi sia con le forze del Cristo, sia con le potenze arimaniche”.

Dal momento che il divino vive nel conoscere, e non nel conosciuto (nell’”opera di esso”), chi voglia “congiungersi con le forze del Cristo” deve congiungersi scientemente con il pensare e con il conoscere, onde evitare di venire inconsciamente congiunto, mediante il pensato e il conosciuto, “con le potenze arimaniche”.
Mi sembra di aver già fatto, una sera, questo esempio: l’Io è il soggetto “conoscente” e il cervello è l’oggetto “conosciuto”. Sembrerebbe ovvio, ma non è così. Le potenze arimaniche rovesciano infatti questo rapporto, sostenendo (tramite l’odierna neurofisiologia) che il cervello è il soggetto conoscente (addirittura “emotivo”, secondo Joseph LeDoux) (29), mentre il soggetto è l’oggetto conosciuto.
(Un recente lavoro del neurologo olandese Dick Swaab s’intitola: Noi siamo il nostro cervello. Come pensiamo, soffriamo e amiamo. Ci sarebbe però da chiedergli: “nostro” di chi? [30].)

114) “Michele è pervaso dall’intento di incorporare nell’evoluzione umano-cosmica, mercé il suo stesso esempio che agisce liberamente, quel rapporto col cosmo che l’uomo ha conservato dai tempi dell’affermazione divina come entità e come manifestazione [come Entità presente e attiva nella manifestazione, o come Io presente e attivo nel corpo astrale] , in modo che quanto dice la concezione naturale relativa alla semplice immagine, alla forma del divino, sfoci in una superiore concezione della natura, adeguata allo spirito. Quest’ultima sarà sì insita nell’uomo; sarà però appunto una successiva esperienza umana del rapporto divino col cosmo durante le due prime tappe dell’evoluzione cosmica. In questo senso l’antroposofia approva la concezione naturale dell’epoca dell’anima cosciente; la integra però con quella che risulta dalla visione dell’occhio dello spirito”.

Dice Steiner che tale “superiore concezione della natura”, sarà “una successiva esperienza umana del rapporto divino col cosmo durante le due prime tappe dell’evoluzione cosmica”. E perché? Perché, in grazia dell’incarnazione del Logos, si è trasferita nell’uomo non solo – come abbiamo detto – L’Entità divino-spirituale, ma anche la sua diretta o immediata manifestazione.
Che cosa dice infatti la massima 112? Dice che “Il divino spirituale si afferma” nel cosmo prima “con la sua propria entità originaria”, poi “con la manifestazione di quell’entità”, poi ancora “con l’effetto operante, quando l’entità si ritrae dalla manifestazione”, e infine “con l’opera compiuta, quando nel parvente universo non c’è più il divino, bensì unicamente le sue forme”.
Dunque, è “quando l’entità si ritrae dalla manifestazione” che questa cessa di essere creatrice, per mutarsi in una costante, e decadere così a effetto operante.
Riflettete: quando diciamo, recitando l’Ave Maria, “Il Signore è con te”, non alludiamo appunto alla manifestazione (astrale) nel cui grembo è l’Entità divina (l’”Io sono”), e non a quella ridottasi a effetto operante?
(“L’anima ridiventa completa soltanto accogliendo in sé il Cristo. Soltanto ora io sono completamente anima: ora soltanto io torno ad essere quello cui ero destinato per divino decreto fin dal principio della Terra” [31].)

Domanda: I miracoli sono una manifestazione?
Risposta: Sì, i miracoli (quelli veri) sono una manifestazione “creatrice”: ossia una manifestazione di quella Entità divino-spirituale (l’”Io sono”) che agisce al di là o al di sopra del piano (astrale) delle cause e delle leggi.
Ricordi che cosa abbiamo visto una sera (massima 20)? Che Steiner parla dei miracoli come di “effetti senza causa”, e quindi di eventi che in tanto infrangono la regolarità e la prevedibilità delle leggi naturali in quanto sgorgano da un’Entità presente e attiva a un livello che trascende quello causale o normativo.
Ti leggo, al riguardo, questi passi di Meditazione e miracolo di Scaligero: “Occorre esercitarsi ad aprire il varco all’idea più audace: la possibilità che il divino irrompa d’autorità nell’umano. La vera legge della Natura in realtà è questa: la Sopra-Natura ha in pugno la natura, può in qualsiasi momento farne quello che vuole. L’uomo può aprirle il varco con la meditazione e con la preghiera (…) Il miracolo è a disposizione di chiunque sia capace di una certezza appassionata, a cui risponda la forza del cuore, come forza di donazione assoluta di sé (…) Il miracolo è la legge vera del reale. E’ sufficiente destarsi dall’ottuso stato di coscienza quotidiano, per accorgersene. In realtà, ogni momento avviene un miracolo. La possibilità di superare l’ineluttabile, di vincere la morte, di liberarsi dell’angoscia e della paura, avvolge tutto l’essere dell’uomo, pronta ogni momento a realizzarsi. La libertà dell’uomo consiste nel respingere questa possibilità, o nello schiuderle il varco” (32).
Voglio solo aggiungere, avendo scritto, in un breve ricordo del mio incontro con Scaligero (33), che “certi incontri si fanno non perché li si merita, ma per poterli meritare”, che la stessa cosa si potrebbe dire dei miracoli: anche questi, infatti, avvengono non perché li si meriti, ma per poterli meritare, cambiando e ri-creando anzitutto se stessi (in Gesù – scrive Paolo – siete stati “ammaestrati a spogliarvi, per quanto riguarda la vostra vita passata, dell’uomo vecchio, che si corrompe, seguendo le passioni ingannatrici; a rinnovarvi nello spirito dei vostri pensieri, a rivestirvi dell’uomo nuovo, che è stato creato ad immagine di Dio, nella vera giustizia e santità” – Ef 4, 21-24).

Note:

1) G.W.F.Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche – Laterza, Bari 1989, p. 115;
2) R.Steiner: La storia alla luce dell’antroposofia – Antroposofica, Milano 1982, p. 92;
3) N.Berdjaev: Nuovo Medioevo – Fazi, Roma 2004, p. 67;
4) R.Steiner: La saggezza dei Rosacroce – Antroposofica, Milano 1959, p. 73;
5) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente – La Casa di Matriona, Milano 2007, pp. 121-122;
6) R.Steiner: I punti essenziali della questione sociale – Antroposofica – Milano 1999, p. 267;
7) R.Steiner: Il cristianesimo esoterico e la guida spirituale dell’umanità – Antroposofica, Milano 2010, p. 72;
8) M.Scaligero: Graal. Saggio sul Mistero del Sacro Amore – Tilopa, Roma 1982, p. 19;
9) N.Berdjaev: L’idea russa – Mursia, Milano 1992, p. 237;
10) N.Berdjaev: Pensieri controcorrente, p. 142;
11) R.Steiner: Calendario dell’anima – Arcobaleno, Oriago di Mira (Venezia) 2011, p. 113;
12) N.Berdjaev: Nuovo Medioevo, p. 107;
13) G.P.Eckermann: Colloqui col Goethe – Laterza, Bari 1912, vol. I, p. 168;
14) R.Steiner: Azione e impulsi delle potenze spirituali sulla scena del mondo – Antroposofica, Milano 2010, p. 133;
15) R.Steiner: Enigmi dell’essere umano – Antroposofica, Milano 2006, p. 124;
16) J.C.Eccles: Come l’io controlla il suo cervello – Rizzoli, Milano 1994, p. 67;
17) J.R.Searle: Mente, linguaggio, società – Raffaello Cortina, Milano 2000, pp. 36-37;
18) cfr. R.Steiner: Cristo e l’anima umana – Antroposofica, Milano 1996;
19) M.Scaligero: Iside-Sophia. La Dea ignota – Mediterranee, Roma 1980, p. 106;
20) R.Steiner: Antropologia scientifico-spirituale – Antroposofica, Milano 2009, vol. II, p. 117;
21) cfr. G.Sermonti: Una scienza senz’anima – Lindau, Torino 2008;
22) ibid., p. 122;
23) ibid., p. 91;
24) N.Berdjaev: Il senso della creazione – Jaca Book, Milano 1994, p. 26;
25) R.Steiner: Enigmi dell’essere umano, p. 105;
26) R.Steiner: Metamorfosi della vita dell’anima – Tilopa, Roma 1984, p. 58;
27) ibid., p. 59;
28) R.Steiner: Conoscenza vivente della natura – Antroposofica, Milano 1993, p. 50;
29) cfr. J.LeDouxe: Il cervello emotivo – Baldini Castoldi Dalai, Milano 2003;
30) cfr. D.Swaab: Noi siamo il nostro cervello. Come pensiamo, soffriamo e amiamo – Elliot, Roma 2011;
31) R.Steiner: Cristo e l’anima umana, p. 190;
32) M.Scaligero: Meditazione e miracolo – Mediterranee, Roma 1988, p. 101;
33) cfr. Intelletto d’amore, 20 giugno 2004.

Scarica PDF

Di Lucio Russo
Per qualsiasi informazione o commento, potete inviare una e-mail al seguente indirizzo: info@ospi.it



Nel campo sottostante è possibile inserire un nome o una parola. Cliccando sul pulsante cerca verranno visualizzati tutti gli articoli, noterelle o corrispondenze in cui quel nome o parola è presente